Investimenti in caduta libera. Le imprese non hanno risorse proprie e le banche non prestano più soldi se non a tassi proibitivi. Anche per questo il sistema produttivo, da sempre banca-dipendente, si sta fermando e la ripresa non si vede. Il Centro studi della Cna, la confederazione delle imprese artigianali, ha calcolato che tra il 2007 e il 2012 si sono persi, in termini reali, circa 6,7 miliardi di euro di investimenti. Vuol dire meno innovazione e meno produttività. Significa ridimensionamento delle aziende, riduzione della manodopera e perdita di competitività. È l’economia reale che si spegne e non riesce più a scommettere sul futuro.
Nel 2007, anno che precede il fallimento della banca d’affari della Lehman Brothers e dunque l’inizio di questa lunga fase recessiva, gli investimenti realizzati dall’intero sistema produttivo italiano (escludendo dunque le famiglie, le banche e le società finanziarie)
ammontavano a 43 miliardi e 460 milioni di euro. Nel 2012 sono precipitati a 36.768 milioni. Ogni giorno la spesa per investimenti si è dunque ridotta di 3,7 milioni rispetto a quella del 2007. «Un dato sconfortante», commentato i ricercatori della confederazione.
C’è una morsa che stringe gli investimenti: da una parte il crollo della domanda interna, che per alcuni prodotti (l’auto, innanzitutto) è tornata a livello degli anni Settanta, e dall’altra la chiusura dei rubinetti del credito. Un mix micidiale che è difficile allentare per i vincoli di finanza pubblica (che non consente una riduzione del peso fiscale sul lavoro e sulle imprese) e per quelli imposti dalle regole europee (Basilea III) alle nostre banche largamente sottocapitalizzate. Secondo le elaborazioni della Cna «il costo del denaro per investimenti è aumentato del 30 per cento in tre anni». Il confronto è stata fatto sui tassi applicati dalle banche alle imprese per importi a revoca modesti, cioè non superiori a 125 mila euro, nel 2009 e poi nel 2012. Bene, nell’ultimo anno il tasso si è attestato in media al 10,8 per cento, il valore più alto dal primo trimestre del 2009 quando era pari a circa l’8,4 per cento. Un dato che pesa tantissimo sull’attività delle imprese artigianali più piccole. Tutto ciò, infatti, nonostante che a partire dalla seconda metà del 2011 il tasso Euribor a tre mesi (che misura il costo della raccolta interbancaria) sia progressivamente diminuito e abbia toccato nel dicembre scorso il valore più basso degli ultimi dieci anni. «Si sono esauriti — commentano così gli economisti della Cna — gli effetti benefici dell’euro. Al momento della sua introduzione, e fino al 2008, la moneta unica europea aveva garantito una riduzione significativa dello spread tra i tassi applicati alla clientela e l’Euribor. La crisi ha progressivamente ampliato la forbice tra i due tassi che oggi supera i dieci punti percentuali per i prestiti a revoca». Per oltre il 45 per cento degli artigiani, così, i tassi di interesse bancari risultano in aumento. Tre anni fa era il 21,3 per cento che lamentava un incremento dei tassi. C’è stato un raddoppio significativo.
Soffrono e rischiano di chiudere le imprese artigianali senza l’accesso al credito. A fine 2012 i finanziamenti sono diminuiti per 372.495 imprese. In sostanza la riduzione delle erogazioni ha interessato un’impresa su quattro (esattamente il 25,9 per cento). Si accorciano i fidi bancari: nel 2007 ciascuna impresa artigianale disponeva di 41 mila euro di credito, ora siamo intorno a 36 mila.
È in questo contesto (al quale va aggiunto il dato relativo ai circa 100 miliardi di euro di crediti vantati dalle aziende nei confronti della pubblica amministrazione) che molte imprese abbassano la saracinesca per non riaprirla più: tra il 2007 e il 2012 le aziende artigiane sono diminuite di quasi 56 mila unità. L’effetto sull’occupazione è stato durissimo: circa 100 posti di lavoro saltati. E il Pil continua ad avere in segno meno davanti.
La Repubblica 05.04.13