"Così si muore all'Ilva", di Adriano Sofri
Moccia, dirà il direttore dello stabilimento tarantino in un comunicato di condoglianze, è “lavoratore modello… sempre disponibile”. Ambedue disponibili a salire, alle 4 e mezzo di notte, sul ponte che sovrasta le batterie della cokeria: vi corrono i binari della macchina caricatrice che va su e giù ai forni. Sulla batteria 9, ferma per i primi lavori di messa a norma, una rotaia ha un rialzo che intralcia la corsa, i due devono ripararla. Lavorano a cielo aperto, fra i binari c’è una passerella assicurata, ai lati invece sono state posate alla meglio delle lamiere, solo per impedire che cadano materiali sugli operai che lavorano sotto. La lamiera cede e i due precipitano: Liddi è sopravvissuto solo perché è caduto addosso al compagno. In ospedale, le sue sorelle raccontano che anni fa avevano perduto un altro fratello precipitato da un ponteggio. Moccia, un omone cordiale di origine napoletana e di famiglia tarantina di “Paolo VI”, il quartiere che prese il nome dalla visita del Papa, ha moglie, che lavora alla mensa dell’Ilva, e due figlie …