Secondo i dati Ue il nostro Paese è quello che ha tagliato di più per scuola e università. Gli stanziamenti sono tornati al livello del 2001
Edilizia e insegnanti sono i settori più colpiti dalla riduzione dei fondi. Peggio di Cipro, Romania, Lettonia e Ungheria. Peggio di qualsiasi altro paese Ue ma anche dei paesi che aspirano ad entrarci come la Turchia. Nessuno Stato europeo riesce ad eguagliare la pessima performance italiana nel finanziamento all’istruzione. Nell’Europa in crisi, alle prese con le misure di austerità e di rigore finanziario, nessun paese ha ridotto, in termini reali, i finanziamenti a scuola, università e ricerca. Solo l’Italia ha attuato una politica così miope, riportando indietro le lancette a 10 anni fa. Il finanziamento per l’anno 2012 è infatti lo stesso previsto per l’anno 2001. A fotografare l’amara realtà è la Commissione Europea, che in una sua pubblicazione ufficiale, «L’impatto della crisi economica nel finanziamento all’istruzione in Europa», uscita da pochi giorni e liberamente disponibile su Internet, mette insieme per la prima volta dati, tabelle e statistiche di 31 diversi paesi europei.
L’Italia è il fanalino di coda. Se infatti nell’ultimo anno la maggior parte dei paesi ha ridotto gli stanziamenti per l’istruzione, tutti nell’ultimo decennio avevano aumentato i fondi, anche del doppio. In Italia, invece, il taglio si è abbattuto su un budget disponibile già al di sotto delle necessità.
In Grecia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Portogallo, Romania, Galles e Croazia, i tagli dal 2011 al 2012 sono stati superiori al 5%, mentre in altri 12 paesi il taglio è stato più contenuto, dall’1% al 5%. In nessuno di questi paesi però il budget a disposizione è ritornato ai livelli di dieci anni fa, come è accaduto invece in Italia.
Ma c’è anche chi ha aumentato i soldi per scuola, università e ricerca. La medaglia d’oro in questo caso se l’aggiudica la Turchia che ha aumentato i fondi del 5%, seguita da Malta ed dal Lussemburgo. In altri importanti paesi, come Irlanda, Lettonia, Austria, Romania, Slovacchia, Finlandia, Svezia e Islanda, l’aumento è stato più contenuto. Mediamente nel decennio 2001-2011, i paesi europei hanno aumentato del 10% la loro spesa in istruzione. L’Italia è invece rimasta ferma al palo. Non si è praticamente mossa e oggi gli stanziamenti in termini reali sono gli stessi di 10 anni fa, mentre il tasso di inflazione ha fatto aumentare i prezzi in misura considerevole. Questo significa che oggi la scuola, l’università e la ricerca in Italia sotto largamente sottofinanziate.
Il rapporto della Commissione esamina analiticamente quali sono state le componenti più importanti di questo grande taglio di bilancio. Il nostro paese ha smesso di investire nelle infrastrutture della conoscenza, sia per quel che riguarda l’edilizia scolastica (secondo i dati del ministero, meno del 20% delle strutture scolastiche sono a norma) sia per quel che riguarda l’adeguamento degli strumenti didattici alle nuove tecnologie (ad Ottobre 2012, a causa dei minori soldi a disposizione, è stata tagliata la connessione ad internet a 3800 scuole).
Un’altra fonte di risparmi è stata negli ultimi anni la politica di contenimento degli organici e delle relative retribuzioni. Sempre secondo il rapporto della Commissione Europea, in un terzo dei paesi presi in esame è stato ridotto il numero di insegnanti mentre spesso aumentava il numero degli alunni. Anche in questo caso il record negativo viene raggiunto dall’Italia, con l’8,5% in meno di insegnanti negli ultimi 5 anni. Una riduzione significativa che ha portato a risparmi nell’ordine di centinaia di milioni di euro solo per quel che riguarda la scuola primaria e secondaria. Nello stesso tempo i salari degli insegnanti rimasti in servizio sono stati spesso congelati con il blocco degli aumenti che ha fatto diminuire il loro potere d’acquisto. Infine un’altra fonte di risparmi per lo stato italiano sono state le recenti riforme dei servizi offerti agli studenti sempre meno numerosi e sempre più costosi.
La penuria di soldi ha reso via via meno fertile il dibattito pubblico italiano sul sapere e sul ruolo che può avere come strumento d’uscita dalla crisi. Non passa giorno che non venga pubblicato un documento sul finanziamento delle scuole, degli atenei o dei centri di ricerca italiani. L’ultimo appello è il documento della Conferenza dei Rettori del 21 marzo in merito al piano triennale del ministero per l’Università. Se solo i docenti, gli studenti ed i ricercatori italiani avessero pochi soldi in più, potrebbero parlare delle opportunità che il loro lavoro offre come strumento indispensabile e indifferibile per la crescita economica e lo sviluppo sostenibile, una prospettiva di cui tanto ci si affanna a ricercare il bandolo della matassa.
L’Unità 30.03.13
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