attualità, politica italiana

"L’Europa teme la crisi italiana", di Paolo Soldini

Tutti si preoccupano, giustamente, degli effetti che lo stallo italiano può provocare sui mercati. Ma c’è un pericolo ancora più grave del quale non pare che ci sia, qui da noi, grande consapevolezza ma che sta inquietando, e molto, le istituzioni di Bruxelles e le maggiori can- cellerie: la mancanza di un vero governo a Roma rischia di aprire una crisi politica in tutta l’Unione europea. L’Italia insomma può trascinare l’Europa nel disastro. Non è pensabile, dicono negli ambienti della Commissione a Bruxelles, che si gestisca la politica europea senza l’iniziativa e la responsabilità del terzo paese del continente. «Troppo grosso per fallire», come si dice, ma anche per mettersi fuori, tra parentesi. Un governo che svolge solo gli affari correnti non può avere né l’iniziativa né la responsabilità. Gli incoscienti che blaterano sul «precedente» del Belgio non sanno di che cosa parlano: è vero che in quel paese è mancato per tanti mesi il governo nazionale, ma là esistono i governi delle tre comunità linguistiche che svolgono molte delle funzioni amministrative e politiche che negli altri stati sono prerogative dell’autorità centrale nazionale. Non c’è stato un vuoto politico, né una mancanza di iniziativa: il Belgio durante la sua lunghissima crisi del governo centrale ha esercitato persino la presidenza di turno del Consiglio europeo. Lasciamo stare il Belgio, perciò, e concentriamoci sui disastri che l’esistenza in Italia solo di un governo per gli affari correnti può produrre a livello europeo. Cominciamo dai dati più banali. Entro il 10 aprile l’esecutivo (quale?) deve presentare, com’è noto, il Documento Economico e Finanziario. Può farlo il governo Monti, ovviamente, ma il Def non indica soltanto i provvedimenti che riguardano la situazione interna. Deve contenere anche il piano di riforme che l’Italia si impegna ad adottare per rispettare il Fiscal compact. È un piano che deve essere concordato con Bruxelles e con i governi dei partner. Come potrà farlo un governo che, ammesso che esista ancora, saprà di dover essere presto sostituito da qualcuno che magari avrà in testa tutt’altre idee? E quale fiducia riscuoterebbero (riscuoteranno) da parte degli interlocutori le misure indicate? Seconda questione: l’Italia nel secondo semestre dell’anno prossimo eserciterà la presidenza di turno del Consiglio. Il piano delle iniziative e degli appuntamenti viene scadenzato su 18 mesi. La Lettonia e il Lussemburgo, che saranno di turno dopo di noi, hanno già presentato il loro programma. Noi abbiamo tempo per farlo fino al prossimo novembre ed è evidente che non si tratta di iniziative che possano essere prese da un governo provvisorio.

Facciamo un’ipotesi ancora più drammatica. La crisi di Cipro è stata, per il momento, allontanata. Ma mettiamo il caso che una situazione simile si determinasse, com’è purtroppo possibile, in Slovenia, dove ci sono forti investimenti italiani. Se questi dovessero essere salvati con l’intervento del fondo di salvataggio Esm il governo di Roma dovrebbe firmare un Memorandun of Understanding come quello che fu fatto firmare alla Grecia. E quale governo potrebbe sottoscrivere un documento che conterrebbe impegni pesantissimi? Oppure, meglio, quale governo avrebbe la forza di strappare una rinegoziazione che eviti il commissariamento puro e semplice dell’economia italiana da parte della trojka? Non certo un governo provvisorio, in carica solo per gli affari correnti.

Fin qui abbiamo messo in fila alcune ipotesi che mostrano come lo stallo a Roma possa portare complicazioni enormi sul piano del puro e semplice funzionamento dell’Unione europea. Ma dietro c’è uno scenario ancora più inquietante. L’Italia, l’unico grande paese in cui la ripresa non si avvicina ma pare allontanarsi, è ormai, agli occhi dell’establishment e dell’opinione pubblica di tutti i paesi, la grande malata del continente. Non solo per la sua debolezza economica ma anche per la debolezza della sua politica. L’Europa non si era ancora ripresa dallo choc Berlusconi che sulla scena, insieme con il suo, è venuto alla ribalta un altro populismo segnato dall’ostilità contro Bruxelles. Come faceva notare all’indomani delle elezioni Giovanni Di Lorenzo, direttore della Zeit e acuto osservatore delle cose di casa nostra, per la prima volta in uno dei grandi paesi dell’Unione c’è una maggioranza parlamentare potenzialmente antieuropea. E François Hollande non ha certo forzato i fatti ricordando l’insicurezza che il populismo dilagante in Italia porta a tutti i paesi dell’Unione. È una paura diffusa dappertutto, al di là delle Alpi. Ed è da irresponsabili non rendersene conto. Certo, non è un problema soltanto nostro e a determinarlo sono stati, in larghissima parte, gli errori e le incredibili insensibilità di chi ha imposto le scelte dell’austerity, gli ayatollah del neoliberismo. Ma è qui che il corto circuito è avvenuto. E l’incendio potrebbe dilagare molto rapidamente. Chi guarda a Roma, in questi giorni, ha paura.

L’Unità 30.03.13