Se davvero sperava, a oltre un mese dalle elezioni, e sotto l’incalzare della crisi economica che ha visto di nuovo salire la febbre degli spreads, di riuscire a imporre una soluzione ormai non più rinviabile, Giorgio Napolitano, alla fine del terzo giro di consultazioni (dopo il primo che aveva portato al preincarico di Bersani e quello successivo del leader del Pd), ha dovuto prendere atto che è molto difficile trovare una via d’uscita per ridare un governo al Paese.
L’imbarazzo del Quirinale trapelava dal modo in cui s’è chiusa la giornata, con l’annuncio di una nuova pausa di riflessione del Capo dello Stato. I dati allineati con cura sullo scrittoio del Presidente segnalano un completo stallo, aggravato dalla chiara indisponibilità tra i partiti che dovrebbero concorrere a individuare uno sbocco. Malgrado gli alti e bassi che lo hanno accompagnato, il tentativo di Bersani si è arenato sul “no” pregiudiziale di Grillo, ribadito anche ieri, e sulla richiesta di Berlusconi, inaccettabile per il centrosinistra, di indicare il candidato alla successione di Napolitano. L’ipotesi di un rinvio di Monti alle Camere, per sancire un periodo anche breve di tregua in attesa di un’alternativa più solida o di nuove elezioni, s’è sciolta negli ultimi giorni, con l’incresciosa conclusione del caso dei marò, le dimissioni del ministro Terzi non concordate con nessuno e la drammatica richiesta alle Camere del presidente del consiglio di essere sollevato al più presto dalla sua responsabilità. Infine anche la possibilità di un nuovo governo tecnico, o del Presidente, spedito direttamente dal Colle in Parlamento per cercarsi una maggioranza, è franata di fronte all’opposizione di Berlusconi e Maroni, che ripropongono, ma senza molta convinzione, il governo di larga coalizione che il Pd non può nè vuole accettare.
Se non fosse che Napolitano, grazie alla sua esperienza e al carisma di cui gode, ci ha abituato a dei colpi di scena che intervengono sempre quando tutto sembra perduto, si dovrebbe ammettere che stavolta il Presidente non ha più carte da giocare. Chi gli è stato vicino in queste lunghe ore di consultazioni s’è accorto che la sequela di incontri reiterati con tutti gli esponenti della classe politica vecchia e nuova ha provocato in lui una specie di sconforto. Non tanto per la distanza delle posizioni e per la scarsa disponibilità a farsi carico dei problemi del momento, ma per l’assoluta incomunicabilità tra i leader e i vertici dei partiti. Se solo si riflette sul fatto che Bersani, in sei giorni di lavoro come per incaricato, non ha mai avuto un colloquio diretto con Berlusconi, neppure una telefonata, accontentandosi dei contatti informali tra i suoi luogotenenti e quelli del Cavaliere, si può capire fino a che punto sono caduti i rapporti interni alla classe dirigente. Quel telefono rosso, che, anche nei momenti peggiori della Prima Repubblica, suonava nelle stanze dei grandi avversari del tempo, oggi non solo tace, ma praticamente non esiste più. Ed è questo pesante silenzio, interrotto dal crepitare continuo di insulti e dichiarazioni di guerra, che, più di ogni altro aspetto, a Napolitano ha dato per la prima volta la sensazione di una crisi insolubile: di sistema, di uomini, di strategie.
L’unica cosa chiara è che i leader che non hanno vinto e non hanno perso le ultime elezioni non esitano a sfidarsi nuovamente e a trovare nel ricorso alle elezioni l’unico modo di camuffare la loro impotenza e impedire l’avvento di un cambiamento, che invano invocano, ma in realtà temono. Berlusconi sfoglia i sondaggi che hanno riportato in testa il Pdl e sogna di rigettarsi in campagna elettorale. Bersani teme la resa dei conti con il suo partito e sa che le urne subito sgombererebbero dal campo il rischio di vedersi sostituito – da Renzi o da altri – alla guida del Pd. Grillo conta di avvantaggiarsi dal fallimento evidente di centrosinistra e centrodestra, seguito ai risultati del 25 febbraio.
È di fronte a un quadro così scomposto che il Capo dello Stato si trova a riflettere. Non gli sfugge che il suo mandato giunto agli ultimi giorni, e i suoi poteri limitati dal ritorno del semestre bianco dopo il voto, lo mettono in una condizione di maggiore difficoltà, rispetto all’egoismo e alle volontà contrastanti delle forze politiche. La leva dello scioglimento anticipato delle Camere, l’unica che forse potrebbe spingere a un ripensamento i suoi interlocutori (perché un conto è parlare di ritorno al voto, e un conto è trovarcisi davvero), Napolitano non ce l’ha più. Ed è un’ulteriore debolezza di fronte a una situazione che richiede interventi d’eccezione.
Forse è anche per questo che tra le riflessioni ascoltate dal Presidente qualcuno dei suoi interlocutori ha creduto di cogliere anche una disponibilità a dimettersi in anticipo e ad accelerare l’elezione del suo successore, che tornerebbe nel pieno dei poteri. Un rovello carico di incognite, a cominciare dalle reazioni degli osservatori stranieri, che considerano Napolitano l’ultimo punto di riferimento stabile in un Paese da tempo sull’orlo di un baratro e da mesi privo di un governo in grado di funzionare. E una decisione che il Presidente sta maturando in piena solitudine e che potrebbe essere annunciata nelle prossime ore. Così, «nave senza nocchiero in gran tempesta», l’Italia e la Seconda Repubblica sono entrate tutt’insieme nella loro notte più lunga.
La Stampa 30.03.13