Siamo ai tempi supplementari. Ma non si poteva abbandonare così il solo, plausibile tentativo di dare un governo politico all’Italia. Il piano B – cioè un esecutivo simil-tecnico, sostenuto dalla stessa «strana» maggioranza di Monti – benché desiderato concordemente da Berlusconi e Grillo, sarebbe una condanna per il Paese. Lo sanno tutte le persone responsabili, anche se per prudenza o amor di Patria evitano di dirlo esplicitamente davanti alle difficoltà di oggi.
I mercati sono pronti a mordere, anzi già lo fanno, e la stabilità dell’intera area-euro è fortemente minacciata dall’incertezza italiana. Ancor più minacciati siamo noi, sono i cittadini, le imprese, i lavoratori che perdono lavoro, i giovani che non lo trovano: è la nostra società, la nostra economia in crisi ad aver bisogno di un governo politico, che affronti con autorità i problemi in Europa, che assuma decisioni non scontate in Italia, che riapra un confronto pubblico trasparente tra opzioni diverse in temi di diritti, di politiche industriali, di riforma del welfare, di mobilità sociale. Un governo simile a quello di Monti rischia di non avere oggi neppure la buona partenza che allora il Professore garantì, risollevando l’immagine dell’Italia dopo l’umiliazione ad essa inflitta dai governi del Cavaliere.
La ragione dei tempi supplementari non previsti sta anzitutto in questo forte interesse nazionale. Che il Capo dello Stato ha voluto ancora una volta rappresentare, ovviamente riservandosi una libertà di giudizio al termine delle nuove consultazioni. La convergenza di Berlusconi e Grillo risponde anch’essa ad interessi, benché di parte: il primo vuole tornare ad avere un’influenza determinante sul governo, il secondo vuole avere il monopolio dell’opposizione e usarla in chiave anti-sistema. C’è peraltro anche un interesse elettorale, ben misurabile sull’esperienza greca (purtroppo simile alla nostra, nel senso che la loro «strana» maggioranza è sovrapponibile a quella italiana): quando le «larghe intese» sono spogliate dell’autonomia politica dei protagonisti, perché ogni dialettica viene assorbita dalle direttive economiche imposte dall’Europa, a guadagnarci elettoralmente sono solo la destra e le forze anti-sistema. La sinistra riformista, invece, è condannata e ridotta ai minimi termini.
E la condanna del centrosinistra finisce per essere anch’essa un danno per il Paese. Non perché a sinistra ci sia un deposito maggiore di verità, ma perché il solo bipolarismo che emerge nella drammatica crisi sociale finisce per essere quello tra politica e forze anti-sistema. Così la crisi economica resta senza soluzioni coraggiose e la sfiducia verso la politica invade le istituzioni, minacciando la democrazia. Questo è lo scenario della nostra crisi. Bersani ha proposto al centrodestra e al Movimento 5 Stelle un governo di cambiamento. Non solo perché i contenuti del suo programma hanno una radicalità innovativa. Il cambiamento maggiore, forse, riguarda proprio i rapporti tra governo e Parlamento. Le Camere possono dotarsi di nuovi, più robusti contrappesi: si può invertire la rotta anti-parlamentare dell’ultimo ventennio. Le forze antagoniste del centrosinistra possono assumere in Parlamento le maggiori responsabilità operative e di controllo, fino a guidare il processo di riforme istituzionali, che i cittadini italiani tanto attendono (a partire dalla modifica della legge elettorale). Da quelle postazioni possono anche condizionare il programma del governo, costruire maggioranze variabili sui singoli provvedimenti, proporre e far passare loro progetti. Crediamo ancora che questa sia la risposta politica più alta, e la più rispettosa del risultato elettorale, che insieme a tante complicazioni ci ha consegnato una grande domanda di cambiamento.
Sarebbe un governo fragile, di minoranza, dicono alcuni. Non si può negare la difficoltà. Ma cosa vale di più di un ritorno ad un confronto politico trasparente, in cui ognuno sia se stesso, con le proprie proposte e la propria faccia? Come si può sottovalutare la frattura politica, evidenziata dal voto, riproponendo una solidarietà coatta nel bunker di un governo necessitato? Al fondo tutti i soggetti in campo ne avrebbero da guadagnare. Di certo, ne ha da guadagnare chi desidera un centrodestra democratico nel dopo-Berlusconi e chi immagina per il Movimento di Grillo un futuro di responsabilità nelle istituzioni, e non un crescendo di violenza verbale e di disprezzo per tutti gli altri.
Il dilemma non è Bersani o il nulla. Il segretario del Pd non ha mai posto una pregiudiziale personale. Il Capo dello Stato accerterà se e in che modo sarà possibile avviare un governo parlamentare sotto la responsabilità del centrosinistra, e al tempo stesso procedere in una logica di corresponsabilità sul binario delle riforme. Tutte le forze parlamentari devono avere la loro dignità istituzionale, perché ciò è dovuto anzitutto agli elettori. Ma se fallisce questo tentativo, sarà un colpo durissimo per l’Italia. Speriamo che il Pdl abbandoni il ricatto sulla presidenza della Repubblica, che deve essere una garanzia per tutti. E speriamo che Grillo la smetta con questa assurdità di prorogare il governo Monti perché lui ha paura di scegliere.
L’Unità 29.03.13