L’Italia ha tagliato più di qualsiasi altro Stato europeo sull’istruzione e da Bruxelles arriva una autentica strigliata. “Sono tempi difficili per le finanze nazionali ma abbiamo bisogno di un approccio coerente in tema di investimenti pubblici nell’istruzione e nella formazione poiché questa è la chiave per il futuro dei nostri giovani e per la ripresa di un’economia sostenibile nel lungo periodo”. Come dire: la crisi c’è ma occorre capire cosa tagliare. La tirata di orecchie all’Italia arriva direttamente dalla Commissione europea che ha passato in rassegna i bilanci dei 27 Paesi membri scoprendo che negli ultimi tre anno soltanto otto hanno tagliato sull’istruzione. E l’Italia è la prima.
“Se gli Stati membri non investono adeguatamente nella modernizzazione dell’istruzione e delle abilità – ha affermato Androulla Vassiliou, commissario europeo responsabile per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù – ci troveremo sempre più arretrati rispetto ai nostri concorrenti globali e avremo difficoltà ad affrontare il problema della disoccupazione giovanile”. Un vero e proprio avvertimento neppure troppo velato al nostro Paese che soprattutto dopo il 2008 – con le riforme Gelmini – ha cominciato a tagliare su scuola e università senza troppi scrupoli e che adesso trova mille difficoltà a gestire e ad uscire dalla crisi economica globale degli ultimi tre anni.
Ma non tutti i Paesi alle prese con la crisi hanno tagliato sull’istruzione. Lussemburgo,
Danimarca, Austria, Finlandia, Svezia e Turchia – solo per citare alcuni Stati dell’Ue o candidati a farne parte – nonostante le difficoltà hanno scommesso sulla scuola incrementando le risorse. In testa la Turchia che fa registrare un più 16,5 per cento, seguita dal Lussemburgo col 7,4 per cento in più in appena due anni. Grecia, Italia e Inghilterra in coda. Col nostro Paese che dal 2010 al 2012 ha tagliato il bilancio della scuola – dalla materna alle superiori – del 10,4 per cento. Una sforbiciata accompagnata dal taglio di quasi 100mila cattedre e da un alleggerimento dei conti anche dell’università: meno 9,2 per cento in 24 mesi.
Lo studio della Commissione europea prende in considerazione anche l’impatto dei tagli sul numero di insegnanti, che in Italia – dal 2000 al 2010 – è calato dell’11,1 per cento mentre in Germania si è incrementato del 13,0 per cento. Così com’è avvenuto in Finlandia (più 12,9 per cento), in Svezia (più 21,9 per cento) e Norvegia. L’esecutivo Ue stigmatizza anche gli effetti della crisi sulle buste paga degli insegnanti – che pesano per il 70 per cento della spesa scolastica – congelate o addirittura ridotte in 11 Paesi, Italia compresa.
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