Pier Luigi Bersani prosegue nelle consultazioni.
Per verificare, come ha chiesto il Presidente Napolitano, se vi siano le condizioni per un governo che disponga di una maggioranza effettiva. E stabile. Non è una “missione impossibi-le”, ha avvertito il segretario del Pd. Ma sicuramente molto improbabile. Soprattutto se Bersani mira a un’intesa fra il centrosinistra e il M5S, come ha fatto intendere fin qui. Perchè i margini, in tal senso, sono davvero stretti. O meglio: non ci sono. Beppe Grillo l’ha ribadito anche ieri. E l’altro ieri. Ma lo farà, sicuramente, anche oggi — e domani. Perché Grillo non parla — solo e tanto — agli altri. Ma anzitutto ai suoi.
Ha bisogno di tenerli uniti. Fino a quando, almeno, le consultazioni di Bersani si saranno concluse. Senza il sostegno del M5S. Se un gruppo di parlamentari del suo gruppo votasse la fiducia — com’è avvenuto in occasione dell’elezione di Piero Grasso alla carica di Presidente del Senato — non sarebbe un problema. Si tratterebbe di un “tradimento”. Allungherebbe ombre sul futuro del nuovo — eventuale — governo. E sulla maggioranza. Fondata, fin dall’avvio, sul sostegno di “transfughi”, più o meno “responsabili”.
Ma attendersi un sostegno aperto dal M5S mi sembra impossibile, più che improbabile.
Non solo da parte di Grillo. Anche del gruppo dirigente del MoVimento. Una eventuale consultazione, al proposito, non è plausibile. Né in Parlamento, fra gli eletti. Né in rete, fra gli aderenti e gli elettori. Perché, se ciò avvenisse, diverrebbe evidente quel che Grillo, per primo, sa. Cioè: che sull’argomento la base del M5S è divisa. Anzi, spezzata. Visto che il suo elettorato è equamente ripartito, in base alla provenienza politica ed elettorale (come mostrano le indagini sul tema. Da ultimo: il volume di Roberto Biorcio e Paolo Natale, “Politica a 5 Stelle”, pubblicato da Feltrinelli). Tanto più e a maggior ragione di fronte a una possibile alleanza.
Lo conferma un sondaggio dell’Osservatorio elettorale del LaPolis (Università di Urbino), condotto nei giorni scorsi. I risultati, al proposito, appaiono eloquenti. Un accordo tra Pd e M5S a sostegno di un nuovo governo, infatti, otterrebbe il favore del 55%
degli elettori. E di una quota molto più elevata fra quelli di centrosinistra, ma anche di centro. In particolare: appoggerebbero l’intesa quasi 8 su 10 fra gli elettori del Pd e del centrosinistra, ma anche il 65% degli elettori di Monti. Fra gli elettori del M5S, però, si osservano orientamenti molto diversi e, nell’insieme, divergenti. I favorevoli all’accordo, infatti, si riducono al 54%. I contrari al 45%. Cioè: circa metà e metà.
Questa s-composizione dipende, come si è detto, dalla provenienza dell’elettorato. Il consenso all’intesa, infatti, sale al 63% fra gli elettori che nel 2008 avevano votato per il centrosinistra. Ma tra gli elettori provenienti dal centrodestra, quasi, si dimezza: 36%.
In altri termini, la partecipazione a un governo guidato da Bersani spaccherebbe in due l’elettorato del M5S. Ma anche la base più “fedele”. Fra coloro che si definiscono “molto vicini” al MoVimento, infatti, i favorevoli all’intesa sono esattamente la metà: 50%. Per questo Grillo, oltre a esprimere il proprio dissenso, chiama “fuori” il M5S da ogni discussione. Al governo? Da soli o non se ne parla. Perché qualsiasi altra decisione rischierebbe di produrre lacerazioni e opposizioni. All’interno e alla base. L’accordo con Bersani: susciterebbe disagio, se non rifiuto, da parte di quasi metà dei suoi elettori. Soprattutto, di quelli che provengono dal centrodestra. Tuttavia, anche una rottura esplicita con il Centrosinistra solleverebbe malessere. Perché il M5S nasce da una costola della Sinistra, ma l’altra è di Destra. E, per ora, il MoVimento non dispone di un’identità definita e precisa, che permetta agli elettori di distinguersi e di distanziarsi dagli altri. Certo, il M5S della prima fase è sorto e si è sviluppato sull’azione dei comitati e dei movimenti locali, impegnati sul tema dei “beni comuni”. Ma il successo elettorale è avvenuto intorno alle rivendicazioni sulla trasparenza e sui costi della politica. Infine: contro la Casta e le oligarchie di partito. In definitiva: contro i partiti.
Da ciò la differenza rispetto alla Lega degli anni Novanta, che ha raccolto anch’essa il malessere contro il sistema dei partiti e contro il ceto politico, ormai al collasso. Ma disponeva di un’idea — meglio, di un’ideologia — forte. La Questione Settentrionale, poi: la Padania. Inoltre, si riconosceva in un leader carismatico ed era organizzata, come un partito di massa, radicato sul territorio. Il M5S, invece, non ha radici né organizzazione sociale e territoriale. È una rete. Esposta alle “incursioni”, sul Web, dei dissidenti e dei “trolls”, come li definisce Grillo. Inoltre, Grillo non è un leader carismatico. Il grado di identificazione personale nei suoi confronti, presso gli attivisti e gli elettori, è analogo, ma non superiore, rispetto a quello degli altri partiti (come mostra il recente saggio di Bordignon e Ceccarini pubblicato sulla rivista ComPol).
Il M5S non è, dunque, un partito tradizionale e neppure “personale”. Semmai “personalizzato”. Per riprendere la metafora che ho già usato una settimana fa: è come un Autobus. Sul quale sono saliti molti passeggeri. Alcuni diretti alla Terra dei Beni Comuni e della Democrazia Diretta. Altri, i più, “fuggiti” dalle loro case (politiche). Mossi da risentimenti — più che da sentimenti — verso i partiti maggiori. Per questo il Conducente, per ora, non si può fermare. E, anzi, accelera, sempre più veloce. Perché, se si fermasse a una stazione, molti passeggeri potrebbero scendere. Senza più risalire. Così continua a correre. In attesa che le case “politiche”, vecchie e nuove, crollino definitivamente. E altri passeggeri, in fuga, salgano in corsa sull’Autobus 5 Stelle. Un’attesa che potrebbe essere breve, visto il clima politico ed economico generale. Ma, in un paesaggio ridotto in macerie: che farebbero Grillo e il suo Autobus?
La repubblica 25.03.13
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