Se qualcuno aveva dubbi residui, la manifestazione del Pdl a piazza del Popolo li ha dissolti. Non c’è alleanza politica possibile tra il Pd e il Pdl e, se si vuol bene all’Italia, non è immaginabile neppure una prosecuzione in altre forme della «strana maggioranza» che ha sostenuto il governo Monti.
L’attacco ai magistrati, il disprezzo verso la sinistra, la difesa di se stesso anteposta ad ogni altro interesse delineano un quadro di alternatività radicale, che speriamo almeno le istituzioni siano capaci di contenere. L’apello finale di Berlusconi a unire in un governo le forze «responsabili», oltre ad essere in palese contraddizione con quanto detto e ripetuto nel comizio, suona falso e vano, utile semmai per la campagna elettorale che il Pdl non ha mai chiuso.
Sempre ieri i grillini hanno manifestato ai cantieri No Tav della val di Susa, chiedendo il blocco dell’opera e una commissione parlamentare d’inchiesta. Nessuno pensava che il Movimento Cinque stelle, una volta entrato in Parlamento, avrebbe rinunciato alle proprie battaglie. La marcia di ieri, insomma, è nell’ordine delle cose, come legittime sono le manifestazioni della destra, quando si svolgono pacificamente e senza invasione dei tribunali. Il problema piuttosto è il rifiuto dei Cinque stelle di condividere la responsabilità nel governo delle istituzioni, il crescendo di violenza verbale per garantire l’isolamento politico, il tatticismo esasperato per spingere il Pdl al governo insieme al Pd.
È lo scenario in cui si svolge il tentativo di Bersani. E le due manifestazioni di ieri, proprio mentre l’incaricato cominciava dalle forze sociali le consultazioni per formare un governo, davano il senso della grande difficoltà. Il bipolarismo non c’è più, i binari della politica italiana sono almeno tre, e non sono neppure paralleli: il treno Italia rischia di deragliare. Ma, per quanto stretta sia la via di Bersani, ora appare ancor più come la sola praticabile. La sola chance disponibile nelle istituzioni per dar vita a un governo, che scongiuri la divisione del Paese e il distacco dell’Italia dall’Europa.
Pd, Pdl e Cinque stelle sono partiti tra loro alternativi. Che non possono rinunciare alla loro alternatività. Farlo vorrebbe dire congelare la politica, e dunque minacciare la vitalità stessa della democrazia. La crisi sociale è pesantissima: gli italiani chiedono che si inverta la rotta del declino, dell’impoverimento, della perdita del lavoro. Ma per intervenire sulla crisi serve una politica efficace. Ed è necessario che i partiti vengano percepiti dai cittadini come soggetti autonomi, capaci di dare battaglia in modo chiaro e trasparente. Anche la gabbia della Grande coalizione – peraltro blindata dal vincolo esterno, assai più che da un serio compro- messo interno – ha contribuito a dare della politica un’immagine di impotenza.
Cambiare è una necessità. Se non si spezza la retorica dell’immobilismo per necessità, l’Italia rischia di non risalire la china, e di vedersi scippare i suoi pezzi migliori (in termini di aziende, di intelligenze, di mercato). La proposta di Bersani muove dalla constatazione di queste alternatività. Il centrosinistra è disposto ad assumersi il carico del governo e di portarlo avanti con un programma e per un tempo limitato, mettendo in campo le proprie proposte. Alcune di queste proposte sono condivise dal Movimento Cinque stelle, altre dal centrodestra, altre – forse in misura maggiore – dall’area montiana. Ma non ci sono trattative in vista. C’è invece un Parlamento da valorizzare. Con la responsabilità di tutti, anzi con un ruolo da protagonista delle forze antagoniste al centrosinistra.
È questa la sfida, che ieri anche il presidente Napolitano ha provato a delineare per l’avvio della legislatura, ovviamente insistendo, da par suo, sulla necessaria condivisione degli interessi nazionali. Il capitolo della Grande coalizione va chiuso. Il governo Bersani può partire senza una maggioranza precostituita, purché gli avversari, o almeno alcuni di essi, consentano di avviare la macchina parlamentare. Il contrappeso di questo governo di «minoranza» sta proprio in una maggiore responsabilità nelle Camere dei gruppi che non fanno parte del governo. E in un lavoro comune sulla riforma eletto- rale e sulle riforme istituzionali, che ovviamente non potrebbero mai vedere la luce senza un consenso ampio.
È il doppio binario, quello virtuoso, che potrebbe consentire al treno di non deragliare. Attenzione: il pericolo è grande. E dopo tanti errori, sbagliare è ancora possibile. Chi pensa, in termini difensivi e meccanici, che Pd e Pdl debbano mettere da parte le loro diversità per cercare i sempre più esili fattori comuni, in realtà non si rende conto del rischio, anzi della sicura sconfitta a cui saremmo condannati. È tempo di recuperare la libertà di dire e di proporre ciò che si pensa, restituendo ai cittadini una politica trasparente, competitiva e finalmente efficace. Bersani porti in Parlamento i suoi progetti sul lavoro, sulla cittadinanza ai bambini nati in Italia, sulla revisione del Patto di stabilità interno, sul conflitto di interessi, sui costi della politica e la riforma dei partiti. Il Parlamento deciderà. In trasparenza. Berlusconi e Grillo, se votano insieme, possono bocciare questa o quella proposta. E possono portare le loro, costringendo gli altri a votare sì o no. Può tornare la politica. Speri mo di non perdere l’occasione per un atto di egoismo. Anzi, di masochismo.
L’Unità 24.03.13