La crisi politica che l´Italia sta vivendo non è paragonabile ad una semplice crisi di governo. C´è qualcosa di più. Emergono fattori che le pur travagliate esperienze della Prima e della Seconda Repubblica non avevano mai registrato. Ci sono elementi in grado di spostare gli eventi verso una vera e propria crisi di sistema. Ed è di fronte a questi rischi – messi a nudo dalla crudezza dei risultati elettorali – che si stanno muovendo il presidente Napolitano e il segretario pd Bersani.
Il “preincarico” che ieri il capo dello Stato ha affidato al leader democratico ne è in parte la dimostrazione. Non ci sono i margini al momento per assegnare un mandato pieno a chi ha formalmente vinto le elezioni ma non gode di una maggioranza piena e visibile al Senato. Il Quirinale, insomma, pretende certezze prima di autorizzare Bersani a presentarsi in Parlamento. Non vuole esperimenti al buio. E non solo perché la Costituzione non permette la nascita di “governi di minoranza” ma perché la fase che sta vivendo il Paese non consente passaggi empirici senza una effettiva rete di protezione. Un eventuale voto di sfiducia ad un esecutivo appena insediato non solo provocherebbe uno scivolone verso il ritorno al voto ma renderebbe ancora più esacerbato il disprezzo verso la politica e i politici che attraversa buona parte dell´opinione pubblica. Per non parlare delle reazioni che si scatenerebbero in Europa e nei mercati finanziari. Tutto insomma si sfilaccerebbe in un vortice incontrollabile e dagli esiti imprevedibili.
Il leader democratico, dunque, si deve muovere in un sentiero piuttosto stretto. Con una serie di paletti che lo stesso Napolitano ha piantato lungo il percorso. Il primo dei quali si configura appunto nella necessità di verificare un «sostegno certo» prima di compiere qualsiasi altro passo.
In questo quadro Bersani ha una sola chance di conseguire l´obiettivo fissato dal Colle: presentare ai suoi interlocutori politici una sorta di “doppia offerta”. Una riguarda la formazione del governo e l´altra concerne la soluzione da dare alla crisi del sistema. Ossia le riforme, istituzionali ed elettorale. La prima esclude il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, la seconda lo include. Due binari che corrono paralleli ma che nelle intenzioni del premier “incaricato” sono destinati a non intersecarsi mai. Dovrebbero restare distinti. Semmai uniti in un solo punto: la possibilità che in qualche modo il governo nasca. Altrimenti la legislatura non prende il via e anche le modifiche ad un assetto costituzionale da aggiornare non potranno essere apportate.
In questo è stato in parte aiutato anche dal presidente della Repubblica che pur mettendo l´accento sulle larghe intese realizzate in altri paesi europei, ha ammesso che al momento in Italia non sono realizzabili. Il governissimo non è una prospettiva credibile, almeno in questo stadio della crisi. Gli incontri che oggi Bersani farà con alcuni autorevoli rappresentanti dell´associazionismo e del volontariato sono allora il primo segno che per quanto riguarda l´azione politica in senso stretto, il centrosinistra non potrà che rivolgersi in primo luogo al Movimento 5Stelle. Sembra un modo per dire che i capitoli ineludibili per un governo – come gli interventi economici, l´emergenza sociale e le misure per ridurre i costi della politica e incrementare la moralità pubblica – non possono che rientrare in un rapporto con i grillini.
Poi, però, c´è il secondo capitolo: le riforme, le regole condivise dalla collettività, le revisioni del sistema-Paese, tutto questo invece viene affidato a tutte le forze parlamentari, compreso il Pdl. Con l´obiettivo di individuare una sorta di “convenienza comune”, un interesse collettivo a migliorare il futuro per cui nessuno può pensare di replicare la “conventio ad excludendum”. Come diceva il filosofo francese Ernest Renan: «Non sono i confini, l´eredità storica o il territorio a fare le nazioni, ma uno sguardo comune verso il futuro».
Naturalmente nella strategia del “premier incaricato” c´è una premessa che non viene esplicitata: il futuro comune viene realizzato se il governo nasce. Non se il centrodestra entra nella maggioranza ma se non si oppone al suo battesimo. Gli stessi uomini di Bersani ammettono che esistono diverse tecniche parlamentari per stare all´opposizione senza far cadere un esecutivo.
Il disegno di Bersani, però, è tanto ardito quanto complicato. In primo luogo perché non esiste alcuna assicurazione sulla collaborazione “esterna” del M5S all´azione del suo governo. Anzi lo stesso Grillo continua ad escludere qualsiasi tipo di fiducia e lo conferma in maniera sprezzante anche nei confronti del primo partito del Paese, ossia il Pd. In secondo luogo, Berlusconi accetterà questa soluzione solo se potrà incassare un dividendo: sulla scelta del successore al Quirinale, sulle sue indicibili garanzie giudiziarie e sulla possibilità di dichiarare apertamente che il nuovo esecutivo ha avuto il suo placet. Condizioni che allo stato non sembrano digeribili per il Partito Democratico. Non a caso, nonostante l´incontro positivo di ieri tra Napolitano e Bersani, le loro idee sul medio-lungo periodo sono piuttosto diverse. Il segretario è convinto che non ci siano alternative al suo tentativo quasi indicando come unica subordinata le elezioni anticipate. Mentre per il Colle altre soluzioni dovranno comunque essere ricercate. Ma il leader pd ha qualche giorno di tempo per verificare se la sua “doppia offerta” possa essere davvero accolta.
La Repubblica 23.03.13