La XVII legislatura della storia repubblicana si è ufficialmente avviata. Barlumi di speranza per il prossimo futuro si sono potuti già percepire nei discorsi di insediamento di Grasso e Boldrin. In particolare per quanti vivono le difficili condizioni in cui versa il mondo dell’istruzione e della ricerca ci sono segnali indubbiamente positivi. Da un canto il presidente del Senato non trascura di ricordare «tutti quei giovani che vivono una vita a metà», quegli stessi giovani in condizioni di assoluta precarietà lavorativa dei quali, nell’altro ramo del Parlamento e quasi nello stesso momento, stava parlando il presidente Boldrini. La Boldrini ha auspicato che si ascoltino le sofferenze «di una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia». Ed è sacrosanto, infine, che il presidente Grasso pensi al mondo della scuola «nelle cui aule ogni giorno si affaccia il futuro del nostro Paese, e agli insegnanti che fra mille difficoltà si impegnano a formare cittadini attivi e responsabili». Queste parole vanno associate idealmente a quanto è andato ripetendo il presidente della Repubblica negli ultimi mesi sulla necessità di non sacrificare ulteriormente il mondo della ricerca con «tagli lineari» e simili. Aggiungiamoci, infin, l’ottavo «punto» dell’agenda di Bersani dedicato a istruzione e ricerca (con misure per gli studenti e per i ricercatori). È legittimo sperare in un’inversione di tendenza rispetto all’immediato passato. Un passato fatto soprattutto di fastidio, indifferenza, cinismo e denigrazione nei confronti del mondo dell’educazione. Fino alla sublime prova della «legge di stabilità 2013» che dava soldi ai maestri di sci e li toglieva all’università e alla ricerca. Abbiamo un Parlamento nuovo dal quale ci si attende molto. Si dimostri una vera discontinuità rispetto agli anni scorsi inserendo nei provvedimenti dei primi 100 giorni un «pacchetto-emergenza» per l’università e la ricerca. Se è vero che per ciascun punto dell’agenda-Bersani si deve costruire un disegno di legge corrispondente, è il momento di parlarne. I contenuti sono ben noti; sono stati ribaditi una settimana prima del voto da vari organismi universitari. Ci sono stati impegni pubblici da parte di alcuni candidati, fra cui lo stesso segretario del Pd. In primo luogo ci vuole maggiore attenzione per le famiglie che desiderano investire nell’università. Lo scopo è quello di evitare il decremento dei laureati e degli immatricolati, fra i più bassi d’Europa; e perseverare nella formazione superiore che – dice il rapporto di «AlmaLaurea» – ancora consente a cinque anni dal conseguimento della laurea al 90% dei giovani di trovare un’occupazione. Aiutare le famiglie significa defiscalizzare tasse e contributi universitari e incrementare il diritto allo studio che oggi non garantisce né borse per tutti i meritevoli né residenzialità. In secondo luogo facilitare l’accesso alla carriera ai tanti precari con un piano di assunzioni per posti di ricercatore che sfocino in posti di professore. L’assorbimento dei laureati nel nostro mercato dei cervelli significa non regalare all’estero qualcosa come due leggi di stabilità: più di 8 miliardi di euro. A tanto ammontano i denari regalati all’estero per la formazione dei quasi 70.000 laureati «fuggiti» negli ultimi dieci anni. In terzo luogo garantire posti per i giovani. Oggi, anche se paradossalmente gli atenei avessero soldi a sufficienza, non potrebbero assumere per il blocco del turn-over, che va, dunque, rimosso non comportando comunque spese aggiuntive per lo Stato. In quarto luogo: cifre ragionevoli per le infrastrutture delle università. I 6,6 mld di euro frutto del taglio del 13% «tre-montiano» (la lineetta è importante) bastano a stento per gli stipendi e i 38mln di euro per i Progetti della ricerca di base (Prin) sono ridicoli. In quinto luogo defiscalizzare i contributi delle imprese alla ricerca sia delle università sia degli enti per promuovere l’innovazione e superare le fragilità del nostro tessuto imprenditoriale in vista degli specifici finanziamenti europei 2014-2020. Inutile dire che ogni punto dovrebbe essere accompagnato dalle opportune semplificazioni dell’attuale giungla normativa. Se l’istruzione è una delle chiavi per l’occupazione, il problema principale oggi per più di un terzo dei giovani italiani, la ricerca è la chiave per lo sviluppo dell’Italia. Non ci può essere l’una senza l’altro.
*Presidente Conferenza Rettori
L’Unità 22.03.13