La mia eroina di questa settimana si chiama Mervat Tallawy. Siete autorizzati a non sapere chi sia, perché neanche io lo sapevo qualche giorno fa. Ma quello che ha fatto mi piacerebbe raccontarvelo. La signora Tallawy occupa un posto di prestigio: ambasciatore, qualche giorno fa ha guidato la delegazione egiziana alla conferenza delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, dalla quale è uscito un documento firmato da 131 paesi che enuncia i principi a cui le nazioni firmatarie dovranno ispirarsi.
A leggerli così, non sembrerebbero contenere nulla di rivoluzionario: il testo afferma che religione, tradizioni e costumi non devono essere usati come una scusa per minare l’obbligo dei governi a contrastare la violenza, sottolinea la “piena eguaglianza nel matrimonio” fra uomini e donne, propone “la cancellazione della richiesta di consenso da parte del marito per quanto riguarda viaggi, lavoro e uso del contraccettivo” e riconosce “alla moglie il diritto di denunciare il marito per stupro o aggressione sessuale”. Non è vincolante e dunque, come tante altre carte siglate alle Nazioni Unite, ha più un valore di “buona volontà” che non di obbligo reale.
Eppure ai Fratelli musulmani che dall’uscita di scena di Mubarak dominano l’Egitto, non è andata giù: in una nota pubblicata sul loro sito, la Fratellanza ha sostenuto che il documento conteneva articoli che “vanno contro l’Islam e la Sunna (tradizione islamica ndr.) che porteranno al sabotaggio della moralemusulmana e alla demolizione della famiglia”. In particolare, il partito se la prendeva con gli articoli che “danno ad una ragazza la libertà sessuale, la libertà di scegliere il sesso del proprio partner, danno i diritti ai gay, li proteggono e li rispettano così come proteggono le prostitute, cosa che va contro i principi dell’islam”.
All’Onu, la nota dei Fratelli musulmani ha creato attimi di terrore: si temeva che il lavoro di mesi finisse nel cassonetto, che l’Egitto avrebbe non soltanto ritirato l’appoggio al documento, ma anche convinto altri Paesi a fare lo stesso. Così non è stato, anzi. L’ineffabile signora Tallawy ha firmato la dichiarazione in quanto rappresentante dell’Egitto, contro il parere del partito del Presidente della Repubblica Morsi – che è un alto esponente dei Fratelli musulmani ma ufficialmente non si era schierato e quindi non poteva richiamarla all’ordine – per poi dichiarare alla stampa che era giusto farlo, perché “le donne sono le schiave di quest’epoca. E questo è inaccettabile, in particolare nella nostra regione”. Tanto basta, ai miei occhi, per farne un’eroina.
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