In questa difficile crisi politica giocata quasi integralmente sul ruolo del presidente della Repubblica Napolitano e sul possibile incarico al segretario del Pd Bersani di formare il governo, c’è un convitato di pietra con cui tutti sono costretti a fare i conti. Ossia Silvio Berlusconi. Il leader del Pdl al momento non è seduto intorno al tavolo che dovrà decidere le sorti del futuro esecutivo e di questa zoppicante legislatura.
Eppure la sua ombra si sta già stendendo sulle soluzioni più nefaste. L’ex premier ha rappresentato un vero e proprio tappo che ha impedito per vent’anni il rinnovamento e il cambiamento della politica, a destra e a sinistra. Una volta saltato, il primo effetto è stata l’esplosione dell’antipolitica, della demagogia, del grillismo e del populismo più virulento. Eppure, in un quadro parlamentare tanto debole e frammentato il Cavaliere si gioca il tutto per tutto per riconquistare un ruolo. Con un obiettivo prioritario: tornare, appunto, a sedersi al tavolo delle decisioni. Non sono più importanti le cariche o le poltrone. Non si tratta più di discutere — come accadeva nelle precedenti legislature — sulla presidenza del consiglio o sui ministeri. Bensì di far valere la sua forza di interdizione e di utilizzarla con una finalità: spiattellare su quello stesso tavolo il vero nodo della questione, la salvaguardia giudiziaria. All’ultimo incontro con i vertici del suo partito, infatti, è stato sul punto chiarissimo, quasi crudo: «Non dovete spaventarvi nei prossimi giorni, arriveranno delle sentenze e saranno molto brutte. Ma voi non dovete temere, noi resisteremo».
Le sue preoccupazioni sono queste e in gioco c’è essenzialmente l’idea di escogitare una qualche forma di “salvacondotto”. Qualcosa che lo renda immune dalle «brutte sentenze » che stanno per essere pronunciate. La sua ricerca si focalizza quasi esclusivamente su una nuova forma di “scudo”. Fino allo scorso anno il peso
elettorale del centrodestra e la guida dell’esecutivo gli avevano permesso di plasmare diversi e fantasiosi mezzi di salvaguardia. Ora la sua strategia è cambiata perché i rapporti di forza sono mutati. E anche la richiesta — formalmente legittima — di far partecipare la coalizione che rappresenta un terzo degli elettori italiani, nel complicato risiko per l’elezione del nuovo capo dello Stato, è solo una mossa per rimettersi al centro della discussione. Contribuire a far nascere un governo di emergenza e a insediare un presidente della Repubblica di “garanzia” è la premessa per inserire nel menu della trattativa anche il capitolo giustizia.
La disponibilità a quello che chiama «governo della concordia » insieme al Partito Democratico, non è altro che la voglia di mettersi seduto a quell’ideale tavolo delle decisioni. Va bene Bersani presidente del Consiglio, va bene l’ex magistrato Grasso a Palazzo Chigi, va bene chiunque purché il centrodestra rimetta un piede nel piatto. D’un tratto sembra svanire il suo viscerale anticomunismo sacrificato sull’altare del “salvacondotto”. Del resto, i verdetti di alcuni delicatissimi processi si stanno avvicinando: Ruby e Mediaset. Se le sentenze dovessero arrivare prima che la crisi politica trovi una soluzione, la capacità di incidere del Cavaliere si ridurrebbero sensibilmente. Senza contare che il processo Mediaset sta chiudendo il suo secondo grado di giudizio e, nel caso in cui la condanna dovesse essere confermata anche in Cassazione, scatterebbe anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Quindi, via dal Parlamento.
Non è un caso che l’ex premier alterni il dialogo alle prove di forze. Il “governo della concordia” con la piazza. Sabato prossimo il Pdl manifesterà ma l’oggetto della protesta sta lentamente variando: fino a pochi giorni fa era indispensabile alzare un muro contro le toghe rosse. Ora sembra più semplicemente che il Pdl voglia mostrare la sua azione per una “Nuova Italia”. Un cambio di rotta determinato dalla convinzione che è di nuovo alla portata la possibilità di sedersi al “tavolo delle decisioni”. In quel caso, non solo gli altri commensali dovranno misurarsi sulla vera questione irrisolta della stagione berlusconiana ormai avviata al tramonto, ma saranno costretti ad accettare che anche in questa legislatura il Cavaliere potrà confermare la sua funzione di tappo per il rinnovamento della politica italiana. Ma quando le sue esigenze saranno soddisfatte o respinte, l’ex premier farà comunque precipitare la situazione verso un esito scontato: le elezioni anticipate. «Il ritorno al voto — ha infatti avvertito i suoi fedelissimi — è comunque un’opzione cui dobbiamo prepararci».
La Repubblica 21.03.13