«Da grande voglio fare lo scienziato». In Italia a dirlo sono il 38,8% dei ragazzi e il 32,8% delle ragazze all’età di 15 anni. Un dato alto, superiore alla media dei paesi dell’Ocse. Dimostra che non è la passione a mancare fra i giovani del nostro paese. E sarebbe difficile altrimenti spiegare il piazzamento dell’Italia fra le potenze della scienza mondiale: ottavo in assoluto, nonostante un finanziamento molto al di sotto della media delle nazioni avanzate. Il nostro paese dedica alla scienza l’1,26% del Pil contro l’1,91% dell’Europa a 27, il 2,9% degli Stati Uniti e il 3,36% del Giappone. Eppure, secondo i dati della società di analisi “Science Watch”, non abbiamo nulla da invidiare al resto del mondo quanto a produzione di articoli scientifici. Le pubblicazioni italiane accettate da riviste internazionali sono 50mila ogni anno (spazio, medicina clinica e fisica le discipline di punta) e per il suo impatto la scienza del nostro paese si piazza appunto all’ottavo posto nel mondo.
Perché tanto entusiasmo fra i giovani non trova sbocchi e va ad alimentare soprattutto istituzioni e aziende di altri paesi? Si stima che i ricercatori emigrati siano 20mila. Alla ricerca delle ragioni di questo squilibrio fra passione e risultati è partito 12 anni fa il centro di ricerca “Observa, science in society” del cui comitato scientifico fa parte Massimiano Bucchi, docente di Scienza, tecnologia e società all’università di Trento. «L’analfabetismo scientifico nel nostro paese è un tema molto dibattuto» spiega. «Ma in mancanza di dati, la discussione rischia di fermarsi a pregiudizi e stereotipi». Il dato sulla passione dei quindicenni, che emerge dalle ricerche di Obsersciamo, va messo a confronto con la tabella sui paesi che a scuola dedicano più tempo alle materie tecniche e scientifiche. Tra i 12 e i 14 anni, i ragazzi russi hanno il 41% di ore. Gli inglesi il 40%, i polacchi il 32% e i tedeschi il 29%, mentre l’Italia è al 27%. «La quantità va ovviamente distinta dalla qualità — spiega Bucchi — e il problema non è solo trasferire contenuti, ma far crescere una cultura della ricerca».
I piccoli scienziati che a 15 anni erano pieni di entusiasmo, dopo le superiori finiscono quasi sempre per iscriversi alle facoltà umanistiche. I dati di
Observa (elaborati anche da statistiche Invalsi, Eurostat e Ocse) parlano del 6,7% di laureati in discipline scientifiche, rispetto al totale degli studenti che concludono l’università. Le donne sono leggermente meno della metà (3,2%). Ma questa discrepanza fra i sessi viene enormemente amplificata quando si vanno a contare le professoresse universitarie. In Italia le donne in cattedra sono il 35,6%. Solo Malta in Europa ha un dato più basso di noi, mentre i primi paesi in classifica (Lettonia, Lituania e Finlandia) sono tutti al di sopra del 50%. Dove
a toccare davvero il fondo della classifica è nell’età dei professori. «È chiaro che nel nostro paese — commenta Bucchi — c’è un problema di rinnovamento generazionale». Solo il 17% dei docenti universitari in Italia ha meno di 40 anni.
In Germania sono il 48%, in Gran Bretagna il 29% e in Francia il 27%. E se usciamo dall’ambito accademico, il panorama non migliora di certo. «La fragilità della cultura della scienza — spiega il docente di Trento — si riflette anche nel peso che le imprese danno a questo settore. Per le caratteristiche del tessuto produttivo formato da aziende di piccole dimensioni, gli investimenti privati in ricerca in Italia sono particolarmente esigui. E anche nella percezione pubblica gli scienziati che lavorano per un’impresa vengono giudicati meno obiettivi e indipendenti. Mentre in Italia abbiamo poco più di 4 ricercatori ogni mille occupati, in Corea arriviamo a undici. Tre quarti dei quali lavorano in un’azienda privata: il doppio rispetto al nostro paese ».
Ecco il mix di ragioni per cui i “piccoli scienziati” in Italia non riescono a crescere. I loro voti a scuola non smentiscono i dati complessivi. L’Ocse ha calcolato che i più bravi in scienze sono i finlandesi, che raggiungono un punteggio di 554 con gli italiani quasi in fondo alla classifica (489). La promozione è lontana anche in matematica. Questa volta gli adolescenti coreani superano di poco i finlandesi (546 il punteggio di Seul). Con l’Italia che sprofonda a quota 483.
La repubblica 20.03.12