Non che non lo sapessimo, che il nostro Mezzogiorno stesse messo piuttosto male: ma insomma, sentire le cifre snocciolate ieri dal Censis è stato comunque un bel pugno sullo stomaco. E la crisi ha allargato, continua costantemente ad ampliare, il divario con il Nord e il Centro Italia. Tanto che ormai i redditi del Sud risultano più bassi (di 497 euro) rispetto a quelli della già inguaiatissima Grecia.
Tra il 2007 e il 2012, rileva l’istituto guidato da Giuseppe De Rita, nel Sud il Pil si è ridotto del 10% in termini reali a fronte di una flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord. Quindi un taglio della crescita quasi doppio. I dati sono contenuti nel rapporto «La crisi sociale del Mezzogiorno», presentato ieri a Roma dal presidente De Rita e da Giuseppe Roma, direttore generale del Censis.
Nel 2007 il Pil italiano era pari a 1.680 miliardi di euro, mentre cinque anni dopo si era ridotto a 1.567 miliardi. Nella crisi abbiamo perso quindi ben 113 miliardi di euro, molto più dell’intero Pil dell’Ungheria, un paese di quasi 9 milioni di abitanti. Di questi 113 miliardi, 72 si sono persi al Centro-Nord e 41 miliardi (pari al 36%) nel solo Sud. Ma la recessione attuale è solo l’ultimo tassello di una serie di criticità che si sono stratificate nel tempo, insomma che precedono di decenni – potremmo dire – la crisi globale iniziata nel 2007. «Piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a spezzarlo», spiegano gli analisti del Censis.
Ma non basta: nel confronto con i grandi sistemi dell’euro zona, l’Italia è il Paese con le più rilevanti diseguaglianze territoriali. Il Centro-Nord può contare infatti su 31.124 euro di Pil per abitante, avvicinandosi così vicino ai valori dei paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Mentre se andiamo nel Sud, improvvisamente il termine di paragone diventano gli ultimi d’Europa. I livelli di reddito del Mezzogiorno sono infatti addirittura inferiori a quelli della Grecia: 17.957 euro a fronte dei 18.454 ellenici. Quasi 500 euro in meno, come detto.
Ancora: dei 505 mila posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il Sud (più di 300 mila).
Un’arretratezza economica cronica che si riflette sulla condizione sociale delle famiglie meridionali: il 26% dei nuclei residenti nel Mezzogiorno (cioè oltre un quarto del totale) è materialmente povero, a fronte di una media nazionale ben più bassa, pari al 15,7% («soltanto» un sesto, in pratica). Famiglie materialmente povere, spiega l’istituto, significa «con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali, o impossibilitate a sostenerle per mancanza di denaro». Ancora, nel Sud sono «a rischio di povertà» 39 famiglie su 100, a fronte di una media nazionale del 24,6% (in questo caso, si estende la definizione anche a quei nuclei che, se non sono del tutto poveri, rischiano però di precipitare a breve in quella condizione).
Non va meglio guardando ai giovani: nelle regioni meridionali, i «neet», quanti cioè tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non si formano, sono il 31,9%: un’incidenza decisamente superiore alla media nazionale, che si attesta al 22,7%. Peggio ancora in Campania dove la quota sale al 35,2%, e in Sicilia dove è al 35,7%: la situazione è da «emergenza sociale», evidenzia allarmato il rapporto del Censis.
Queste cifre sono così gravi, nonostante la spesa pubblica per l’istruzione e la formazione nel Mezzogiorno sia molto più alta di quella destinata al resto del Paese: il 6,7% del Pil contro il 3,1% del Centro-Nord, ovvero 1.170 euro pro-capite contro 937 euro (ben il 24,9% in più). Eppure, il tasso di abbandono scolastico è del 21,2% al Sud e del 16% al Centro-Nord, i livelli di apprendimento e le competenze «peggiori».
«Il dato che preoccupa di più è quello dei neet – dice Serena Sorrentino, segretaria confederale della Cgil – Si devono rimettere al centro istruzione e occupazione». La Cisl, con il segretario confederale Luigi Sbarra, chiede al nuovo governo (quello che verrà) di «collocare le politiche per il Mezzogiorno al centro delle sue strategie di crescita».
Il Manifesto 20.03.13
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MEZZOGIORNO, UN TERZO D’ITALIA È PIÙ POVERO DELLA GRECIA
E’ davvero impressionante la serie di dati sul Mezzogiorno d’Italia messi in fila dal Censis nella presentazione dello studio “La crisi sociale del Mezzogiorno” nel corso della giornata dedicata a Gino Martinoli, che del Censis è stato uno dei fondatori.
Disegnano un parte di un paese che sembra ormai aver rotto i ponti con il Nord e si avvia ad affondare in una profondissima crisi. che coinvolge aspetti economici, sociali e demografici, in stretta correlazione tra loro.
Il Segretario del Censis. Situazione non esplosiva ma disperata
“La crisi del Mezzogiorno d’Italia non è esplosiva, è disperata” e la soluzione del problema “non è solo questione di soldi, di investimenti, ma sta nell’aumentare la socialità”.
A dirlo Giuseppe Roma, segretario del Censis che sottolinea inoltre come anche la trasformazione della composizione demografica non faccia sperare in niente di buono: 400 mila giovani in meno già oggi e, tra 15 anni, 3 milioni di anziani in più, con un saldo demografico di un milione di abitanti in meno. Si prevede al 2030 un incremento della popolazione anziana di oltre il 35% . Crescerà molto anche il numero dei non autosufficienti, destinati a superare i 783.000, con un balzo di oltre il 50%.
Persi oltre 300.000 posti di lavoro
Al Sud la crisi ha infatti colpito durissimo con redditi più bassi che in Grecia, con il Pil che si è ridotto del 10 % dal 2007 contro il meno 5,7% del Centro Nord nello stesso periodo, con la maggior parte dei posti di lavoro persi dal 2008 oltre 300.000 su 505.000 nazionali con con un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non riesce a trovare un lavoro, a fronte di un tasso nazionale al 25%. Se oltre ad essere del Sud e giovani si è anche donne la disoccupazione sale al 40%. L’’Italia si afferma come il Paese con le più rilevanti diseguaglianze territoriali fra i grandi sistemi dell’euro zona. Negli ultimi decenni il Pil pro-capite meridionale è rimasto in modo stabile intorno al 57% di quello del Centro-Nord, sancendo l’inefficacia delle politiche finora attuate per il sostegno allo sviluppo.
Le due Italie fermano lo sviluppo. Secondo il Censis fra i grandi sistemi dell’euro zona l’Italia è il Paese con le più rilevanti diseguaglianze territoriali. Il Censis mette infatti a confronto il reddito pro-capite delle tre regioni più ricche e più povere dei grandi Paesi dell’area dell’euro, confronto da cui emerge come l’Italia abbia il maggior numero di regioni con meno di 20.000 euro pro-capite, ben 7 rispetto alle 6 della Spagna, le 4 della Francia e una sola della Germania.
Al capo opposto della classifica la Germania ha 10 regioni con oltre 30.000 euro pro-capite, la Francia la sola Ile-de-France, mentre l’Italia ne ha 5 e la Spagna nessuna.
In particolare il Centro-Nord, con i suoi 31.124 euro di Pil per abitante, registra livelli vicini a quelli della Germania e ai suoi 31.703 euro. Al capo opposto i livelli di reddito del Mezzogiorno, 17.957 euro pro capite, sono inferiori a quelli della Grecia, 18.454 euro. Sono ormai due Italie
Più povertà e più disuguaglianza
Calabria, Sicilia, Campania e Puglia registrano indici di diseguaglianza più elevati della media nazionale. Il 26% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno è materialmente povero, ovvero 1 famiglia su 4 ha difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali o è impossibilitate a sostenere tali spese per mancanza di denaro. La media nazionale è al 15,7%. E nel Sud sono a rischio di povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6%.
Fondi europei. O non spesi o spesi inutilmente
I contributi assegnati per i programmi dell’Obiettivo Convergenza destinati alle regioni meridionali ammontano a 43,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. Di questi fondi a 9 mesi dalla chiusura del periodo sono impegnate appena il 53% delle risorse disponibili e spesi 9,2 miliardi, un quinto.
Ma le spese sembrano essere state effettuate inutilmente, tanto che nel prossimo ciclo di programmazione l’Ue stima che la popolazione sottoposta all’Obiettivo Convergenza passerà in Italia dall’11% al 14% del totale, mentre altri Paesi vedranno calare drasticamente tale quota: la Germania passerà dal 5,4% allo 0% e la Spagna dal 9,1% allo 0,9%.
Scuola e formazione. Si spende di più e si ottiene di meno
La spesa pubblica per l’istruzione e la formazione nel Mezzogiorno è molto più alta di quella destinata al resto del Paese: il 6,7% del Pil contro il 3,1% del Centro-Nord, ovvero 1.170 euro pro-capite nel Mezzogiorno rispetto ai 937 del resto d’Italia (ovvero il 24,9% in più). Nonostante ciò il tasso di abbandono scolastico è del 21,2% al Sud e del 16% al Centro-Nord e i livelli di apprendimento e le competenze sono decisamente peggiori. Preoccupante poi il fenomeno Neet con le regioni meridionali che presentano una incidenza superiore alla media nazionale: il 31,9% dei giovani di 15-29 anni non studiano e non lavorano. Dati da emergenza sociale in Campania, 35,2%, e in Sicilia, 35,7%.
Sanità Pubblica in via di chiusura. Per chi se lo può permettere c’è il “turismo sanitario”
Il giudizio dei cittadini in termini di qualità dei servizi sanitari è nettamente peggiorato negli ultimi cinque anni. A dirlo sono il 7,5% dei cittadini nel Nord-Ovest e il 32,1% al Sud. Come conseguenza di ciò ben il 17,1% dei residenti meridionali si è spostato in un’altra regione per farsi curare.
Dazebao.org
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“IL SUD E’ ABBANDONATO A SE STESSO, REDDITI PIU’ BASSI CHE IN GRECIA”. IL RAPPORTO DEL CENSIS
Al Sud redditi piu’ bassi che in Grecia. Qui il 60% dei posti di lavoro persi dall’inizio della crisi. Spesa pubblica per l’istruzione superiore del 25% a quella del Centro-Nord, ma i livelli di apprendimento sono peggiori. E si fugge dalla bassa qualita’ dei servizi nella sanita’ e all’universita’. E’ quanto emerge dal rapporto Censis ‘La crisi sociale del Mezzogiorno’.
La crisi degli ultimi anni, spiega il Censis, ha allargato il divario Nord-Sud. Tra il 2007 e il 2012 nel Mezzogiorno il Pil si e’ ridotto del 10% in termini reali a fronte di una flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord. Nel 2007 il Pil italiano era pari a 1.680 miliardi di euro, cinque anni dopo si era ridotto a 1.567 miliardi. Nella crisi abbiamo perso quindi 113 miliardi di
euro, molto piu’ dell’intero Pil dell’Ungheria, un Paese di quasi 9 milioni d’abitanti. Di questi, 72 miliardi di euro si sono persi al Centro-Nord e 41 miliardi (pari al 36%) al Sud. Ma la recessione attuale e’ solo l’ultimo tassello di una serie di criticita’ che si sono stratificate nel tempo: piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a
spezzarlo.
Negli ultimi decenni il Pil pro-capite meridionale e’ rimasto in modo stabile intorno al 57% di quello del Centro-Nord, testimoniando l’inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo messe in atto, che non hanno saputo garantire maggiore occupazione, nuova imprenditorialita’, migliore coesione sociale, modernizzazione dell’offerta dei servizi pubblici.
La bassa crescita del nostro Paese e’ fortemente influenzata dal dualismo territoriale. Fra i grandi sistemi dell’euro zona l’Italia e’ il Paese con le piu’ rilevanti diseguaglianze territoriali.
Se si confronta il reddito pro-capite delle tre regioni piu’ ricche e piu’ povere dei grandi Paesi dell’area dell’euro emerge che l’Italia ha il maggior numero di regioni con meno di 20.000 euro pro-capite: sono 7 rispetto alle 6 della Spagna, le 4 della Francia e una sola della Germania. All’estremo opposto, la Germania ha 10 regioni con oltre 30.000 euro pro-capite, la Francia la sola Ile-de-France, mentre l’Italia ne ha 5 e la Spagna nessuna. Il Centro-Nord (31.124 euro di Pil per abitante) e’ vicino ai valori dei Paesi piu’ ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite e’ di 31.703 euro. Mentre i livelli di reddito del Mezzogiorno sono inferiori a quelli della Grecia (17.957 euro il Sud, 18.454 euro la Grecia).
Il mercato del lavoro si destruttura e si impoverisce ulteriormente. Dei 505.000 posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il Mezzogiorno (piu’ di 300.000). Il Sud paga la parte piu’ cospicua di un costo gia’ insopportabile per il Paese e si conferma come un territorio di emarginazione di alcune categorie sociali, come i giovani e le donne. Un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni non riesce a trovare un lavoro (in Italia il tasso di disoccupazione giovanile e’ al 25%). Se poi oltre a essere giovani si e’ donne, la disoccupazione sale al 40%. Il tasso di disoccupazione femminile totale e’ del 19% al Sud a fronte di un valore medio nazionale dell’11%. I disoccupati con laurea sono in Italia il 6,7% a fronte del 10% nel Mezzogiorno.
Un tessuto d’impresa a rischio di deindustrializzazione. Un sistema imprenditoriale gia’ fragile e diradato, se messo a confronto con quello del Centro-Nord, e’ stato sottoposto negli ultimi anni a un processo di progressivo smantellamento, costellato da crisi d’impresa molto gravi come quelle dell’Ilva di Taranto e della Fiat di Termini Imerese. Tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell’industria meridionale si sono ridotti del 15,5% (con una perdita di oltre 147.000 unita’) a fronte di una flessione del 5,5% nel Centro-Nord. Oltre 7.600 imprese manifatturiere del Mezzogiorno (su un totale di 137.000 aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con una flessione del 5,1% e punte superiori al 6% in Puglia e Campania.
Si allargano le distanze sociali. Il Mezzogiorno resta un territorio in cui le forme di sperequazione della ricchezza non diminuiscono, ma anzi si allargano. Calabria, Sicilia, Campania e Puglia registrano indici di diseguaglianza piu’ elevati della media nazionale. Il 26% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno e’ materialmente povero (cioe’ con difficolta’ oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate a sostenere tali spese per mancanza di denaro) a fronte di una media nazionale del 15,7%. E nel Sud sono a rischio di poverta’ 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6%. Il persistere di meccanismi clientelari, di circuiti di potere impermeabili alla societa’ civile e la diffusione di intermediazioni improprie nella gestione dei finanziamenti pubblici contribuiscono ad alimentare ulteriormente le distanze sociali impedendo il dispiegarsi di normali processi di sviluppo.
Fondi europei: risorse non spese e programmi inefficaci. I contributi assegnati per i programmi dell’Obiettivo Convergenza destinati alle regioni meridionali ammontano a 43,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. A meno di un anno dalla chiusura del periodo di programmazione risulta impegnato appena il 53% delle risorse disponibili e spesi 9,2 miliardi (il 21,2%). Anche l’efficacia dei programmi attivati con i fondi europei e’ discutibile. Al contrario di cio’ che e’ accaduto in altri Paesi con un marcato dualismo territoriale, in Italia la convergenza tra Sud e Nord non si e’ mai realmente affermata. Prova ne e’ il fatto che nel prossimo ciclo di programmazione l’Ue stima che la popolazione sottoposta all’Obiettivo Convergenza passera’ in Italia dall’11% al 14% del totale, mentre altri Paesi vedranno calare drasticamente tale quota: la Germania passera’ dal 5,4% allo 0% e la Spagna dal 9,1% allo 0,9%.
Le risorse spese nelle regioni meridionali non solo hanno contribuito debolmente al riequilibrio territoriale, ma hanno rafforzato i circuiti meno trasparenti e congelato l’iniziativa imprenditoriale con incentivi senza obbligo di risultato e progetti spesso estranei alle vere esigenze delle economie locali.Scuola e formazione: si spende di piu’ che nel resto del Paese, ma i risultati sono peggiori.
Uno dei principali fattori di debolezza del Sud e’ ancora oggi l’incapacita’ del sistema educativo di accompagnare i processi di sviluppo attraverso la formazione di un capitale umano qualificato, contribuendo cosi’ a contrastare il disagio sociale ed economico della popolazione. La spesa pubblica per l’istruzione e la formazione nel Mezzogiorno e’ molto piu’ alta di quella destinata al resto del Paese: il 6,7% del Pil contro il 3,1% del Centro-Nord, ovvero 1.170 euro pro-capite nel Mezzogiorno rispetto ai 937 del resto d’Italia (ovvero il 24,9% in piu’). Eppure, il tasso di abbandono scolastico e’ del 21,2% al Sud e del 16% al Centro-Nord, i livelli di apprendimento e le competenze sono decisamente peggiori, tutte le regioni meridionali si caratterizzano per una incidenza del ½fenomeno Neet» superiore alla media nazionale: il 31,9% dei giovani di 15-29 anni non studiano e non lavorano, con una situazione da emergenza sociale in Campania (35,2%) e in Sicilia (35,7%). E il 23,7% degli iscritti meridionali all’universita’ si e’ spostato verso una localizzazione centro-settentrionale, contro una mobilita’ di solo il 2% dei loro colleghi del Centro e del Nord.
L’abbandono della sanita’ pubblica e i bisogni assistenziali crescenti. Il progressivo deterioramento dei servizi sanitari negli ultimi cinque anni e’ riferito dal giudizio dei cittadini:
lo afferma il 7,5% al Nord-Ovest, l’8,7% al Nord-Est, il 25,6% al Centro e addirittura il 32,1% al Sud. Il 17,1% dei residenti meridionali si e’ spostato in un’altra regione per farsi curare, non fidandosi della qualita’ e della professionalita’ disponibili nella propria. Forte e’ la tendenza all’aumento della longevita’. Si prevede al 2030 un incremento della popolazione anziana di oltre il 35% contro dinamiche di crescita meno marcate nelle altre aree geografiche. In parallelo crescera’ molto anche il numero dei non autosufficienti, destinati a superare i 783.000, con un balzo di oltre il 50%.
da Agenzia Dire 20.03.12