Restituire risorse, stabilità, fiducia a Scuola e Università
– Riportare gli studenti all’Università: più borse di studio, meno tasse
– Contratto unico di ricerca, con standard retributivi certi e diritti assistenziali e previdenziali. No ai dottorati senza borsa
– Aumentare gli investimenti pubblici, ripristinare almeno le risorse del Fondo di Finanziamento Ordinario del 2012.
– No a finanziamento pubblico alle università telematiche
– Piano straordinario di 7,5 miliardi in 3 anni per mettere in sicurezza gli edifici scolastici
– Dimezzare l’abbandono scolastico entro il 2020, con formazione ai docenti, nuove tecnologie, scuole aperte tutto il giorno e rilancio dell’istruzione tecnica
– Stabilità è sinonimo di qualità. Assegnare ad ogni scuola una dotazione di personale stabile. Collocare il personale nelle graduatorie ad esaurimento al massimo in 5 anni
– Piano triennale per aumentare gli asili nido con l’obiettivo di coprire il 33% dei posti e con un Fondo statale di 350 milioni di euro in 3 anni
– Autonomia e semplificazione per il governo della scuola
DATI NEGATIVI
– Negli ultimi 20 anni spesa per istruzione e ricerca -5,4%.
– Investimenti nell’università 0,8% del Pil in Italia contro l’1,3% della media Ue
– Fuga dall’università. Immatricolazioni calate del 17% negli ultimi dieci anni
– Il 64% delle scuole non rispetta le norme su sicurezza dell’edilizia scolastica
– Solo il 10% dei giovani con il padre non diplomato riesce a laurearsi (40% in Gran Bretagna, 35% in Francia)
PER UNA SCUOLA GIUSTA
Dopo i tagli degli ultimi 5 anni e le riforme sbagliate o contraddittorie, dobbiamo restituire all’istruzione risorse, stabilita’, fiducia. Se c’è un settore per il quale è giusto che altri ambiti della spesa statale rinuncino a qualcosa, è quello della formazione dei nostri giovani: la scuola, l’Università, la ricerca. L’istruzione e la ricerca sono gli strumenti più importanti per assicurare la dignità del lavoro, combattere le disuguaglianze, dare forza e prospettiva allo sviluppo. Scuola e universita` sono i luoghi della nuova questione sociale: oggi solo il 10% dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi, mentre sono il 40% in Gran Bretagna, il 35% in Francia, il 33% in Spagna. Non c’è democrazia senza istruzione. La scuola è un bene comune, che oggi ha bisogno di cura e di un impegno collettivo per restituirle il giusto rango Costituzionale che le spetta. Dobbiamo affrontare da subito alcune vere e proprie emergenze.
Edilizia Scolastica
Anzitutto le condizioni di sicurezza dell’edilizia scolastica. Oggi il 64% delle scuole non ne rispetta le norme. Dopo le ferite di Rivoli e di San Giuliano, non possiamo permettere il ripetersi di tragedie mentre si sta seduti in un banco di scuola. Investiremo 7 mld e mezzo in tre anni per l’edilizia scolastica. Taglieremo gli F35 e libereremo risorse allentando il patto di stabilita’ interno per quegli enti locali che investono nella ristrutturazione o nella edificazione di nuove scuole, incentivando la costruzione di scuole con ambienti di apprendimento innovativi ed eco sostenibili. E’ un investimento che con l’apertura di tanti cantieri in tutto il Paese attiverà 17.000 posti di lavoro solo nel centro sud, permetterà di risparmiare 2 milioni di euro di energia grazie all’utilizzo di pannelli fotovoltaici e materiali per il risparmio energetico, genererà un gettito fiscale di oltre 500 milioni di euro.
Abbiamo già depositato alla Camera e al Senato la legge scritta con l’associazione Libera per offrire ai cittadini e alle cittadine la possibilità di destinare l’8 x mille dello Stato, in modo mirato all’edilizia scolastica.
I Fondi non dovranno essere più frammentati tra Ministero delle Infrastrutture, Miur e Tesoro, ma devono finanziare la Legge 23 del ’97 che ha un ottimo modello di programmazione e governance delle risorse e degli interventi.
Autonomia e governance della scuola. Riorganizzazione Istituzionale per sottrarre il MIUR dal Ministero dell’Economia
Oggi il governo della scuola è frammentato su troppi livelli: Ministero dell’Istruzione, con competenza sulle regole generali e gli ordinamenti; Ministero dell’Economia, con competenza sugli stipendi degli insegnanti; Regioni, responsabili del dimensionamento, ovvero del numero e della localizzazione degli istituti, e della formazione professionale; Province, a cui spetta la manutenzione degli edifici nella secondaria di secondo grado (le superiori); Comuni, a cui spettano gli edifici della scuola primaria e secondaria di primo grado, oltre a tutta la scuola dell’infanzia; Istituzioni scolastiche autonome, cui oggi di fatto competono solo le supplenze brevi e le attività extra-curriculari.
L’autonomia delle scuole, che è la più importante riforma degli ultimi 13 anni, è stata voluta da Luigi Berlinguer e dal governo di centro-sinistra: ben presto, però, il processo si è interrotto e con i ministri Gelmini e Profumo si è ritornati a un ruolo centrale del Ministero; inoltre non è mai stata data attuazione alla riforma del Titolo V della Costituzione, che prevede un ampio trasferimento di poteri alle Regioni.
Un efficace coordinamento fra tanti livelli di governo della scuola è difficile da realizzare: sarebbe necessario semplificare e chiarire le diverse responsabilità. Una strada possibile è quella di svuotare il Miur e decentrare verso le Regioni: il rischio di aumentare ulteriormente i già enormi divari territoriali è però molto elevato. La soluzione preferibile, è quella di realizzare pienamente l’autonomia delle singole scuole in campo didattico, finanziario, amministrativo e gestionale, rafforzando al contempo la verifica dei risultati dal parte del centro. Il centro rinuncia quindi ai compiti di autorizzazione amministrativa a priori, ma mantiene il ruolo di valutatore a posteriori, oltre a fissare le indicazioni nazionali (i programmi) e le competenze richieste al termine di ogni ciclo scolastico. E’ chiaro che gli organi interni alle 8127 istituzioni scolastiche (di cui 1.500 ancora prive di dirigente scolastico) dovrebbero essere adattati alla maggiore autonomia decisionale delle scuole: il dirigente scolastico non può rimanere senza un controllo efficace da parte del consiglio di istituto, in modo da garantire una verifica di qualità.
Lotta alla dispersione scolastica
Vogliamo cambiare la scuola insieme agli insegnanti per combattere la dispersione scolastica. Questo fenomeno è il vero nemico della crescita economica, della legalità e del successo formativo personale. Per dimezzarla, come ci chiede di fare l’Europa entro il 2020, servono interventi mirati, percorsi individualizzati e tempi distesi per l’apprendimento.
Dobbiamo impegnarci con ogni mezzo per affrontare questa situazione: da una formazione in servizio offerta ai docenti per innovare la didattica, alle nuove tecnologie, dalle scuole aperte tutto il giorno al rilancio dell’istruzione e formazione tecnica e professionale che dovrà diventare il vero laboratorio di innovazione di cui ha bisogno il Paese per rilanciare il Made in Italy nel mondo e contrastare la disoccupazione giovanile.
Stabilità è sinonimo di qualità
a) Per migliorare la qualità della scuola di tutti dobbiamo eliminare la precarietà, assegnando a ogni scuola una dotazione di personale stabile, stabilizzando coloro che da troppi anni stanno lavorando su posti vacanti con contratti annuali e quegli insegnanti di sostegno che sono fra i più precari e che invece dovrebbero garantire continuità didattica agli studenti più deboli. Si tratta di 50.000 posti che si possono stabilizzare subito per garantire continuità e qualità alla scuola e dare concretezza all’organico funzionale, senza spese aggiuntive per lo Stato. Aumentare dal 70 al 90% il personale di sostegno stabile in organico di diritto.
b) Dobbiamo procedere alla stabilizzazione degli Ata cancellando la norma sugli insegnanti inidonei e gli ITP che tiene bloccate le stabilizzazioni;
c) Mandare in pensione gli insegnanti Quota 96, come previsto da proposta di legge che stiamo ripresentando alla Camera e al Senato (4000 posti);
d) Riusciremo ad esaurire le graduatorie ad esaurimento in massimo 5 anni.
Emergenza infanzia
Poi c’è un’emergenza infanzia. Siamo lontanissimi, soprattutto nel mezzogiorno, dal raggiungimento dell’obiettivo del 33% di copertura dei posti all’asilo nido e nella scuola dell’infanzia sono tornate a crescere le liste d’attesa in tutto il Paese, mentre dovremmo garantire a tutti i bambini e le bambine l’opportunità di frequentarla. La lotta alla dispersione scolastica per noi deve iniziare da qui. Investendo in educazione di qualità nell’età dell’oro, consapevoli che darà frutti certi al successo scolastico futuro dei bambini e delle bambine e che costituirà anche una spinta fondamentale per l’occupazione femminile.
Un nuovo piano triennale per l’estensione della rete di asili nido, per raggiungere l’obiettivo della copertura del 33% dei posti che possa contare su un fondo Statale di 350 milioni di euro in tre anni, su fondi europei erogati alle regioni secondo obiettivi verificabili da raggiungere e su una quota di quel risparmio che lo Stato ha ottenuto dall’allungamento dell’età pensionabile delle donne.
Un investimento per 500 nuove sezioni di scuola dell’infanzia perché nessun bambino e bambina tra i 3 e i 5 anni resti a casa. Per questo piano costituiremo una cabina di regia presso il Miur.
UNIVERSITÀ E RICERCA
Negli ultimi 20 anni istruzione e ricerca sono le uniche voci del bilancio pubblico che sono scese drasticamente in termini di composizione della spesa (-5,4%). In istruzione universitaria l’Italia investe poco più della metà della media UE (0,8% contro 1,3%). Il risultato è una fuga dalle università, con un calo di immatricolazioni significativo (17%) negli scorsi dieci anni. Alla base è un modello sbagliato che coniuga tasse universitarie molto elevate (l’Italia è terza in Europa dopo Gran Bretagna e Paesi Bassi) e il peggior sistema di diritto allo studio (solo il 7% degli studenti ottiene una borsa di studio, contro il 25/30% di Francia e Germania). Senza contare che anche la classe docente è in calo (-10% in tre anni) oltre ad avere il triste primato di essere la più anziana d’Europa. Questo immobilismo alimenta la “emigrazione intellettuale”, con la triste conseguenza che i giovani laureati che abbandonano l’Italia sono più che raddoppiati dal 2002 al 2011, mentre l’attrattività del Paese verso i ricercatori stranieri è quasi nulla.
Le nostre proposte
1) Riportare gli studenti all’università: più borse, meno tasse. Contrastare la “fuga dall’università” e riattivare l’ascensore sociale è il primo impegno politico per il governo del sistema. Per questo, serve un sistema di diritto allo studio mobile e un servizio di orientamento già nella scuola secondaria superiore. Per fare questo lanceremo un Programma nazionale per il merito e il diritto allo studio che affianchi gli interventi regionali (su cui è necessario adeguare il livello essenziale delle prestazioni). Occorre inoltre individuare strumenti per conciliare studio e lavoro, definendo in modo chiaro la categoria degli studenti part-time. La riduzione delle risorse non può certo essere compensata con aumenti della tassazione studentesca: al contrario, la tassazione deve essere riportata nella media dell’Europa continentale. Ciò significa ridurre decisamente le tasse universitarie (ristabilendo il limite del 20% rispetto al FFO) e rendendo il sistema maggiormente progressivo e più omogeneo territorialmente.
Le proposte del PD:
– Programma nazionale per il merito e il diritto allo studio, per giungere in 5 anni alla media europea di studenti che percepiscono borse di studio;
– Riduzione delle tasse universitarie.
2) Riaprire l’università a nuovi giovani docenti, con regole semplici e percorsi rapidi. L’università italiana soffre anche di una fuga dei docenti a causa dei vincoli al turn-over, ma anche alla diffusione endemica di precarietà e perfino attività gratuite.
Per dare dignità e certezza alla carriera universitaria, partiremo dal rispetto della Carta europea dei ricercatori, e proponiamo la semplificazione delle figure pre-ruolo, con un Contratto unico di ricerca (con garanzie assistenziali e previdenziali) e un percorso di tenure track, con proporzioni certe per l’ingresso in ruolo. Investiremo sulla mobilità, per impedire lo svolgimento di tutta la carriera sempre nella stessa sede. Proporremo bandi nazionali per posizioni post-doc e di tenure track che offrano ai vincitori il budget e i fondi, lasciando loro la possibilità di scelta dell’ateneo in cui svolgere l’attività (escluso l’ateneo di origine). Pensiamo, infine, a un sistema di controllo e all’introduzione di limiti per il part-time, e all’ancoraggio al beneficio dell’università delle attività libero-professionali dei docenti, come avviene in molti altri Paesi.
Le proposte del PD:
– Contratto unico di ricerca, con standard retributivi certi e diritti assistenziali e previdenziali;
– Tenure track per professori junior;
– No ai dottorati senza borsa e altri contratti a “zero euro”;
– Mobilità dei docenti;
– Beneficio per l’università dai proventi delle attività esterne dei docenti.
3) Aumento delle risorse pubbliche e degli investimenti privati per ripartire dalle idee e dalla conoscenza. L’illusione di “riforme senza risorse” è finita. Gli investimenti in università e ricerca devono essere aumentati, con l’obiettivo di fondo di una graduale convergenza verso la media UE. Quindi, Il primo obiettivo è quindi ripristinare le risorse del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) del 2012, rimediando al taglio di 300 milioni operato dal governo Mont con quote crescenti in base a criteri valutativi (numero di studenti, valutazione di ricerca e didattica, contemperati da obiettivi di coesione del sistema, impatto della formazione). Inoltre, i progetti bandiera saranno finanziati con risorse aggiuntive e stabiliti secondo le priorità attribuite da Parlamento e governo, senza attingere a risorse già previste. Il percorso prevede un lavoro adeguato sulla revisione del sistema fiscale, sull’utilizzo delle risorse europee dei Fondi Strutturali, su un nuovo e adeguato regime giuridico per incentivare i contributi privati, sui finanziamenti derivanti dall’attività di ricerca e dalle attività esterne dei docenti.
Le proposte del PD:
– Ripristinare, nell’immediato, almeno le risorse del FFO del 2012;
– Riattivazione degli investimenti nell’università, verso media UE;
– Criteri trasparenti per assegnazione risorse agli Atenei;
– Nessun finanziamento pubblico alle università telematiche;
– Interventi per favorire la diversificazione delle fonti di finanziamento;
– Ripristino dei finanziamenti per la ricerca fondamentale almeno ai livelli pre-2008.
www.partitodemocratico.it
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