Nel pantano della crisi ci sono Regioni che sprofondano e altre che riescono a galleggiare. Altre ancora si trovano a metà del guado, bilanciando forti perdite e buone performance. E non mancano le sorprese. A braccetto con il Sud (esclusa la Puglia) e l’Umbria vanno Emilia Romagna e Veneto, lungo la linea rossa che collega i territori dove il campanello di allarme ha suonato più forte dal 2008 a oggi.
Nella classifica del disagio economico – realizzata dal Centro studi Sintesi per Il Sole 24 Ore – oltre la metà delle Regioni ha perso più terreno rispetto alla media nazionale, mentre le performance meno disastrose si registrano in Trentino Alto Adige, seguito a larga distanza da Liguria e Marche. Nel mix di 10 indicatori – dal tasso disoccupazione ai fallimenti, dai consumi alle sofferenze, tutti considerati non in valore assoluto ma mettendo sotto la lente il trend dal 2008 al 2012 – ad essere più colpite sono Umbria, Calabria e Sardegna. Nella prima pesa l’aumento dei disoccupati (+5%) e delle imprese protestate (+31%). Le ore di cassa integrazione si sono decuplicate – rispetto a una crescita media intorno al 400% – con effetti a cascata sul calo dei consumi e sull’acuirsi delle difficoltà per famiglie e imprese. La Sardegna è zavorrata dal boom di default aziendali (+94%) e dal flop degli investimenti, calati di oltre un quarto in 4 anni, al pari della Calabria.
«Nell’indice – spiega Stefano Manzocchi, direttore Luiss Lab of European Economics – troviamo sia la conferma di un paese spaccato a metà, con le regioni del Sud ancora più indebolite dalla recessione, sia i segnali di un progressivo sgretolamento di alcune sicurezze socio-economiche nella cosiddetta Terza Italia, cioè la dorsale adriatica e il Centro. Il Mezzogiorno sta vivendo la più profonda e rapida trasformazione del proprio tessuto produttivo, con un altissimo turnover di imprese accompagnato in media da uno stallo delle iniziative di investimento e di internazionalizzazione. Ma anche nelle regioni come l’Umbria, e in misura minore il Veneto, si “contano” le ferite che la crisi ha inferto, spiazzando alcuni settori tradizionali e a danno soprattutto delle Pmi».
Male Veneto ed Emilia
Nel plotone dei peggiori troviamo, come detto, anche Veneto ed Emilia Romagna. Nel primo pagano sia le famiglie, che spendono di meno (-2,4%) e subiscono una crescita record dei debiti verso le banche (+141%), sia le imprese, con l’aumento di un quarto di quelle protestate e dei fallimenti, oltre all’esplosione (+526%) delle ore di cassa integrazione. Ammortizzatori su larghissima scala pure in Emilia Romagna (+971%) e dove i “debiti” accumulati dalle aziende sono cresciuti del 142%. Si registra poi, in entrambe, un pesante calo degli investimenti (intorno al -20%).«Evento comprensibile – commenta Paolo Gubitta, docente di Organizzazione aziendale all’Università di Padova – vista la carenza di risorse, ma che rischia di pregiudicare le opportunità di sviluppo e ostacola il recupero del gap sui Paesi concorrenti. In un’ottica di più breve periodo il massiccio incremento della cassa integrazione e delle società protestate indica che anche la gestione day-by-day segna il passo. Da questo punto di vista servirebbe rimettere benzina nel motore dell’economia: basterebbe scongelare i pagamenti della Pa, poiché è inaccettabile che un’economia imploda per eccesso di credito».
Vicine, invece, alla media nazionale: Toscana, Lazio, Abruzzo e Puglia. Quest’ultima fa segnare un aumento più contenuto dei fallimenti delle imprese (+13,5% rispetto al +33% generale), che fanno da contraltare ai cali oltre la media del reddito reale e dei consumi delle famiglie (-8%).
In Toscana, invece, la disoccupazione – come nel Lazio – è cresciuta di meno e la spesa mensile delle famiglie è addirittura salita (+3,6%), mentre le ditte protestate sono aumentate del 15% (rispetto al +7,2% medio).
Si salva il Trentino
Il gruppetto dei virtuosi è guidato dal Trentino Alto Adige, la regione meno colpita grazie alle “difese” sul mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione è cresciuto meno che nel resto dell’Italia e soft è stato il ricorso alla Cig, senza contare il calo contenuto di redditi e investimenti. «Risultati – conclude Egidio Riva, ricercatore di sociologia alla Cattolica di Milano – che hanno mantenuto stabili i consumi e nettamente inferiori alla media le sofferenze di imprese e delle famiglie: si è difeso meglio chi ha saputo proteggere i risparmi».
Hanno attutito l’impatto della crisi anche regioni di taglia small come Liguria, Marche e Valle d’Aosta, e sopra la media ci sono pure Piemonte, Friuli e Lombardia. A salvare le due big settentrionali la tenuta dei consumi, oltre all’assottigliarsi dei protesti, grazie anche alla maggior forza di un tessuto imprenditoriale più strutturato.
Sole 24 Ore 18.03.13