attualità, politica italiana

“Scelti due testimoni, la mia rinuncia non è eroismo”, di Umberto Rosso

«Un segnale forte, di discontinuità, di cambiamento. Questo vuol dire l’elezione di Laura Boldrini e Pietro Grasso alle presidenze delle Camere, due importanti personalità che arrivano dalla società civile e con due bellissime storie alle spalle. La gente è stanca di parole, vuole testimoni».
E lei onorevole Franceschini, ha dovuto compiere il passo indietro dal vertice di Montecitorio.
«Il Pd aveva immaginato un altro percorso, per allargare la maggioranza. Ci siano ritrovati di fronte solo dei no. A quel punto, quando siamo stati nelle condizioni di fare la mossa nuova, un minuto dopo l’abbiamo fatta. E per me, l’interesse personale viene sempre dopo quello generale. Chi mi conosce lo sa. C’è la mia storia politica che parla».
Com’è andata?
«Siamo partiti, appunto, dalla necessità di scelte ampie per individuare i presidenti delle Camere. Non una cosa targata sola Pd. Passaggio obbligato, se vogliamo far nascere il governo. Abbiamo provato con il M5S: un muro. Abbiamo tentato anche con Monti: un altro muro. Con il Pdl non lo abbiamo trovato, quel muro, per il semplice motivo che siamo stato noi ad alzarlo: con Berlusconi non facciamo intese».
In questo percorso “condiviso”, lei era destinato alla presidenza della Camera…
«Mi è stata chiesta questa disponibilità da Bersani, in uno scenario di nomi finalizzati a costruire un allargamento a Scelta civica, e io l’ho data. Non facciamo gli ipocriti: per chi fa politica da tanti anni, come me, la presidenza della Camera è una bella sfida, un compito di grande prestigio e responsabilità».
Poi, dopo i no di Grillo, siete rimasti appesi al filo della trattativa con Monti che voleva il Senato.
«E’ andata avanti per quasi tutta la notte. Da Napolitano è venuto un no alle dimissioni da presidente del Consiglio. La discussione è andata avanti, si è provato con qualche altro candidato di Scelta Civica. Infine, da Monti è arrivato il rifiuto netto: nessun altro nome dei nostri e non voteremo nessuno dei vostri. A quel punto, non potevamo che fare da soli, per dare un presidente a Montecitorio e a Palazzo Madama. Ecco, la Boldrini e Grasso».
E Franceschini, davanti al gruppo del Pd che lo applaude, rinuncia e confessa umanamente il dispiacere…
«Se uno fa il parlamentare, il ruolo da presidente della Camera è l’aspirazione forse più grande.
Però, e penso di averne dato prova, cerco di mettere sempre prima gli interessi generali. E’ un atto dovuto, mica eroismo. In questi giorni ho silenziosamente sofferto nel vedermi rappresentato come uno che briga, nel leggere certe dichiarazioni acide. Spero che il dibattito si faccia nel Pd, non sui giornali, possibilmente senza cattiverie».
Segnali di disgelo con i grillini, dopo quei voti finiti a Grasso?
«Volevano nomi nuovi e abbiamo proposto i migliori. Mi aspettavo e mi aspetto scelte trasparenti, alla luce del sole, ciò che loro reclamano per ogni cosa. Non qualche voto segreto scappato al controllo ».
Ci sperate sempre?
«Al Senato, escludendo alleanze col Pdl, in base ai numeri il governo si può fare solo con il M5S oppure non si fa. Ci dicano perciò se intendono dare un esecutivo al paese o se pensano solo agli interessi del loro movimento».

La Repubblica 17.03.13

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Il Colle e il governo: ci vuole “il miracolo”, di FRANCESCO BEI

BERSANI inizia a crederci. «Si può fare, un passo alla volta – ripete – ma si può fare». E tuttavia per il capo dello Stato la questione principale (l’esistenza di una maggioranza di governo) resta
un rebus senza soluzione.
NAPOLITANO lo ha spiegato ai dirigenti del Pd, euforici per aver segnato un punto sulle presidenze delle Camere: «Voglio vedere una maggioranza. Il miracolo deve essere dimostrabile». Su questo dunque si lavora, per rendere “visibile” il miracolo. E il laboratorio è sempre quello di palazzo Madama.
Il primo terreno da dissodare è quello dei 22 montiani. «La scheda bianca su Grasso — ragiona Nicola Latorre al termine di una giornata lunghissima — è un segnale molto positivo e non affatto scontato. Hanno ricevuto lusinghe dal Pdl per votare Schifani, li abbiamo visti, ma hanno resistito ». Insomma, nel Pd considerano «interlocutori naturali» i civici, anche se il Professore si appresta a mettere sul tavolo della trattativa la poltrona più ambita, quella del Quirinale. Anche ieri, del resto, nei contatti di Monti con il Pdl, proprio la sua candidatura sul Colle è stata al centro della discussione. «Monti ci ha proposto i suoi voti per Schifani — racconta
un senatore del Pdl — in cambio di un nostro appoggio a Bersani premier e, soprattutto, a sostegno delle sue ambizioni per il Quirinale». Ma quella per la successione a Napolitano è una partita che si aprirà soltanto tra un mese, dopo quella del governo, e dunque non è difficile per il Pd far entrare anche Monti nella rosa dei papabili in cambio dei suoi voti per Bersani.
L’altro terreno dove seminare è il movimento cinque stelle. Se è eccessivo e sbagliato, come dice Paolo Romani, sostenere che «tra Pd e grillini c’è stato il primo inciucetto », non c’è dubbio che quella dozzina di senatori che hanno scritto “Grasso”, disobbedendo alle indicazioni del guru, costituiscono una prima, vistosa,
crepa nel centralismo democratico del movimento. Bersani ci spera. E con la trovata di due outsider di lusso per le presidenze delle Camere, scelti sacrificando le aspirazioni di Finocchiaro e Franceschini, il segretario ha dimostrato di avere ancora qualcosa da dire. Ma la vera carta segreta è ancora più difficile da giocare. E passa per il rapporto con il Carroccio. I 17 senatori leghisti sono un plotone compatto, non sono previste defezioni. Si tratta dunque di costruire un’intesa politica, quantomeno per far partire il governo nella comune consapevolezza che nessuno vuole le elezioni anticipate.
«Contatti sono in corso», racconta un senatore del Pd, «perché Maroni è una cosa, Berlusconi un’altra». D’altronde anche se Roberto Calderoli smentisce di aver avuto un colloquio segreto con Anna Finocchiaro per concordare la sua elezione alla presidenza, conferma comunque che con la capogruppo del Pd «ci sentiamo tutti i giorni». Un’offerta esplicita non è ancora arrivata. Ma i leghisti se l’aspettano. Dentro il Carroccio la prospettiva di riaprire le urne a giugno viene infatti vista con orrore, specie per lo strascico di problemi interni ancora aperti dopo il deludente risultato
elettorale. Con il leader ormai governatore, i maroniani non hanno intenzione di gettarsi di nuovo in campagna elettorale. Anche i rapporti con Bossi sono ai minimi termini. E lo dimostra la voce che il Cavaliere, che vede come prospettiva solo le urne, avrebbe anche prospettato al fondatore della Lega di lasciare Maroni al suo destino, dando vita a una «lista Bossi» alleata del Pdl.
Nel nome delle riforme e della governabilità, gli stessi berlusconiani non vengono dimenticati. A sperare in un loro coinvolgimento sono soprattutto i montiani. «In questi giorni — spiega infatti il coordinatore di Scelta civica Andrea Olivero — possono nascere disponibilità anche nel Pdl. Non mi sembra che lì dentro tutti abbiano questa fretta di rovinare verso elezioni anticipate. E noi possiamo costruire dei ponti». Un altro costruttore di “ponti” è il socialista Riccardo Nencini, che invita gli alleati del Pd, incassati i numeri uno di Camera e Senato, «a evitare ogni tipo di forzatura sulle presidenze delle commissioni».
Certo, resta da vedere se «il miracolo » di trovare una maggioranza sarà «dimostrabile», come
chiede Napolitano. Il capo dello Stato, per non farsi trovare impreparato, si tiene comunque aperta anche la possibilità di un governo del Presidente, affidato magari al direttore della Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni. Resta per ora sullo sfondo la partita del Quirinale, la più importante. Oltre all’autocandidatura di Monti, in queste ore spuntano altri possibili papabili. Come l’ex presidente della Consulta, Alberto Capotosti, un moderato. Oppure lo stesso Pietro Grasso o Romano Prodi. Ma ogni giorno ha la sua pena. «Lo storico Huizinga — sospira Latorre — ha scritto “nelle ombre del domani”. Be’, per noi domani le ombre saranno un po’ meno scure ».