Quando sul palco si alternano le voci di chi legge uno per uno i nomi delle vittime della mafia, il silenzio è irreale nella grande piazza vicina allo stadio di Campo di Marte. Viene interrotto solo dagli applausi della gente. Sullo sfondo la marea dei centocinquantamila, che ieri a Firenze hanno sfilato in corteo nella Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo di chi ha perso la vita sotto i colpi della mafia, camorra e ‘ndrangheta, organizzata da Libera e Avviso Pubblico. Tanti gli striscioni, le bandiere (ci sono anche quelle dei sindacati di Cgil, Cisl e Uil) e i palloncini colorati. In testa al lungo serpentone i familiari delle 900 vittime. I Gonfaloni dei comuni e della Province fanno da contorno, come la lunga bandiera della pace che idealmente abbraccia chi ha dovuto sopportare il dolore per un parente o un figlio ucciso dalla criminalità di stampo mafioso. Sul palco ad uno ad uno sono ricordati i nomi dei magistrati, giornalisti, uomini delle forze dell’ordine e bambini morti per mafia. Dietro di loro una storia straziante, famiglie che ancora continuano a chiedersi il perché di questa strage. «Chi non lotta ha già perso» dice un giovane. «No alla camorra, sì alla vita libera» commenta un altro. Il silenzio è interrotto solo dalla voce di chi scandisce i nomi, uno per uno. Il ritrovo della manifestazione è alla Fortezza Da Basso, il punto di arrivo è allo stadio di Campo di Marte, dove è stato allestito il grande palco sul quale, a fine giornata, Fiorella Mannoia ha cantato l’Italia che non si arrende. Ci sono studenti, giovani e meno giovani giunti da Scampia, Bari, Palermo, Trapani, Torino, Salerno e dalla Valle d’Aosta. In pratica tutto lo stivale è a Firenze. Dalla folla parte un applauso spontaneo quando la speaker sul palco ricorda, oltre alle vittime delle mafie, che quella di ieri è anche la giornata di anniversario della strage di via Fani in cui le Brigate Rosse sequestrarono Aldo Moro, uccidendo gli uomini della sua scorta. «Ci sono tante belle facce, volti puliti qui a Firenze, facce di giovani che rappresentano un’Italia che manda un grido di dolore e una richiesta di giustizia al Parlamento. Credo che sia un bel modo di ricordare le vittime delle mafie» commenta Paolo Siani, fratello del giornalista napoletano Giancarlo, ucciso dalla camorra per le sue inchieste sulla criminalità organizzata. TANTA L’EMOZIONE Mischiati fra la gente ci sono anche i sindaci di Firenze e Napoli, Renzi e De Magistris, si vede anche il primo cittadino di Bari, Emiliano, il segretario della Cgil Camusso, la vedova Caponnetto, il premio Nobel Esquivel e l’allenatore della Nazionale Prandelli che ha letto, sul palco allestito nello stadio, alcuni dei 900 nomi delle vittime della mafia, accolti da un lungo e intenso applauso, il segretario di Prc Ferrero, il leader di Rivoluzione civile Ingroia, il procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi. Il corteo ha anche sostato per alcuni momenti di raccoglimento sotto la casa dove il 26 giugno 1967 morì don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana del Mugello. Tanta l’emozione per le parole di Don Ciotti: «La mafia è come la peste. Dobbiamo unire ciò che le mafie e i potenti vogliono dividere» poi ricorda le vittime di tutti i grandi misteri dello Stato, dai morti per l’Eternit a quelli della strage di Viareggio, dalla Thyssen a Ustica. Dal palco hanno salutato le decine di migliaia di giovani il premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel e Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione dei famigliari delle vittime della strage mafiosa di via dei Georgofili. Tocca al prefetto di Firenze, Luigi Varratta, leggere il messaggio del Capo dello Stato, Napolitano. «Non uccidiamoli una seconda volta, non uccidiamoli con la ritualità, non uccidiamoli con la mafiosità che può annidarsi in ognuno di noi, nelle coscienze addormentate o addomesticate» tuona don Luigi Ciotti. A Firenze si guarda anche a che cosa succede nei palazzi della politica romana, e il fondatore di Libera si rivolge ai deputati e senatori «mi auguro una rivolta delle coscienze. Fate in fretta, il Paese ne ha bisogno» dice «c’è bisogno di un governo veloce». «C’è nel Paese una tendenza perversa – osserva il procuratore Giancarlo Caselli – di buona parte della politica e della cultura a delegare alle forze dell’ordine e alla magistratura le soluzioni di problemi che la politica non sa o non vuole risolvere, fino anche alla lotta alla mafia». Per il figlio di Pio La Torre, Franco «questa partecipazione significa una straordinaria voglia di riscatto dal sistema politico-mafioso che chiede il Paese e che la classe politica non capisce». Alla fine un lungo applauso e poi largo alle canzoni di Mannoia e alla sua «Io non ho paura».
L’Unità 17.03.13