È incredibile assistere ancora una volta all’immediata genuflessione dell’intero mondo politico, economico e massmediatico del paese dinanzi alle “sentenze” delle agenzie di rating. Questa volta è avvenuto dopo che la Fitch, la più piccola delle “tre sorelle”, ha declassato l’Italia da A- a BBB+. Appena tre tacche sopra il livello di “spazzatura”! Perché il messaggio fosse chiaro e subito recepito, Fitch ha aggiunto anche un “outlook negativo”, cioè una prospettiva di futuro peggioramento. Le motivazioni del declassamento non ci sembrano davvero profonde. Sono le seguenti: «Il risultato inconcludente delle elezioni rende improbabile che l’Italia possa avere un governo stabile nelle prossime settimane.
La crescente incertezza politica e il rallentamento delle riforme strutturali costituiscono un ulteriore choc negativo per l’economia reale nel mezzo di una profonda recessione». Si prevede una probabile contrazione di 1,8% del Pil e l’aumento del debito pubblico al 130% nel 2013. Fitch afferma che «un governo debole sarebbe più lento e meno capace di rispondere a choc economici interni ed esterni». Le considerazioni di Fitch sono purtroppo quelle che un qualsiasi cittadino italiano quotidianamente fa. La differenza sta negli effetti deleteri del rating sulla nostra economia e sulla finanza pubblica.
Non si tratta quindi di ignorare le difficoltà in cui versa l’economia e la politica del nostro paese, ma di chiederci perché tanta sudditanza di fronte alle agenzie di rating.
Si ricordi che esse sono delle imprese private. Sarebbe auspicabile che le autorità economiche, sia italiane che europee, ridimensionassero la portata delle loro valutazioni.
In merito si rammenti che il governo Obama all’inizio dello scorso febbraio ha denunciato per frode la Standard & Poor’s, la maggiore delle tre agenzie, chiedendo un risarcimento di 5 miliardi di dollari. Dopo aver analizzato ben 30 milioni di documenti in 4 anni, il ministero di giustizia americano ha concluso che la S&P ha manipolato i rating sui derivati, sui titoli strutturali e su altre operazioni finanziarie, soprattutto quelli legati alle ipoteche immobiliari, coprendo i rischi reali e in questo modo aiutando a creare una gigantesca bolla speculativa. Nel nostro paese, invece, c’è chi ancora sottovaluta le indagini della procura di Trani nei confronti delle agenzie di rating.
Secondo noi fa bene la procura, in considerazione anche del fatto che negli Usa una Commissione d’indagine del senato afferma che «la crisi non è stato un disastro naturale, bensì il risultato di alti rischi, prodotti finanziari complessi, conflitti di interesse coperti, il fallimento degli organi di controllo, il ruolo delle agenzie di rating e dello stesso mercato che hanno permesso e guidato gli eccessi di Wall Street». «I rating gonfiati hanno contribuito alla crisi finanziaria mascherando i veri rischi dei titoli ipotecari», scrive ancora la Commissione.
Già nel 2010 la Financial Crisis Inquiry Commission (Fcic), la Commissione indipendente di indagine sulla crisi voluta dal Congresso, indicava le agenzie come gli attori principali del collasso finanziario. Affermava: «Noi sosteniamo che il fiasco delle Agenzie di rating sia stato un elemento essenziale del meccanismo distruttivo finanziario. Esse sono state le promotrici chiave del meltdown finanziario, cioè della dissoluzione sistemica. Non si sarebbe potuto vendere i titoli ipotecari, che sono stati al cuore della crisi, senza il loro timbro di approvazione. Gli investitori si sono ciecamente fidati dei loro giudizi. In alcuni casi il loro rating era obbligatorio. La crisi non sarebbe potuta accadere senza le Agenzie di rating.
Tra il 2007 e il 2008 il loro rating prima ha fatto salire i mercati e poi, con l’abbassamento repentino delle loro valutazioni, li ha fatti precipitare».
La recente legge di riforma finanziaria americana, la “Dodd-Frank”, stabilisce che le agenzie di rating hanno carattere commerciale e pertanto devono possedere i requisiti e sottostare ai controlli previsti per le banche di investimento.
Nonostante le disposizioni della citata legge, la loro arroganza è enorme. Tanto che la S&P accusa il governo di violazione del primo emendamento della Costituzione americana che garantisce la libertà di parola. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, la S&p avrebbe speso ben oltre 3 milioni di dollari nelle azioni di lobby per annacquare la riforma Dodd-Frank.
Il potere delle agenzie di rating sembra maggiore finanche di quello delle banche. Sembrano possedere l’autorità di una “loggia superiore”. D’altronde in certi momenti cruciali della storia passata anche gli oracoli furono “istituzioni” più potenti degli stessi imperatori e degli eserciti in quanto incidevano sugli orientamenti culturali dei popoli oltre che sulle strategie operative dei governanti.
da Europa Quotidiano 15.03.13