Italiani piu’ incerti e tristi a causa della crisi: fino al 2011 quasi la meta’ della popolazione di 14 anni e piu’ dichiarava elevati livelli di soddisfazione per la propria vita nel complesso, indicando punteggi compresi tra 8 e 10 (su una scala da 0 a 10). Ma nel 2012 la quota dei soddisfatti e’ scesa dal 45,8% dell’anno prima al 35,2%. Lo certificano l’Istat e il Cnel nel “Primo rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile in Italia”.
Aumentano anche i divari territoriali e sociali nella diffusione del benessere soggettivo e se ne creano di nuovi. La soddisfazione per la propria vita decresce in misura maggiore nel Sud, attestandosi al 29,5% (contro il 40,6% del Nord), e tra le persone con titolo di studio piu’ basso e peggiori condizioni occupazionali. Nonostante il contesto non facile, nel 2012 una prospettiva di miglioramento per il futuro viene indicata da un quarto della popolazione di 14 anni e piu’. Una dimensione fondamentale della qualita’ della vita, quella del tempo libero, pur essendo ritenuta molto soddisfacente da una quota di popolazione non elevatissima (15,6%), non sembra essere coinvolta nella flessione della soddisfazione per la vita nel complesso registrata nel 2012. Anzi, rispetto all’anno precedente la quota di coloro che si dichiarano molto soddisfatti per il proprio tempo libero cresce su tutto il territorio nazionale, con una dinamica piu’ favorevole nel Nord e nel Mezzogiorno.
L’andamento positivo rilevato a livello nazionale riguarda anche altri ambiti della vita quotidiana che coinvolgono le relazioni amicali e familiari. La soddisfazione riguardante la propria situazione economica registra invece un netto peggioramento: a fronte di una stabilita’ al 2,5% della quota di chi si dichiara molto soddisfatto, aumenta non solo quella di chi e’ poco soddisfatto (dal 36,1% al 38,9%), ma anche la quota di chi non e’ affatto soddisfatto della propria situazione economica (dal 13,4% al 16,8%), a scapito di quella di chi e’ abbastanza soddisfatto (dal 45,9% al 40,3%).
Peggiora, in Italia, la condizione lavorativa soprattutto tra donne e giovani. I dati, gia’ tra i piu’ critici dell’Ue27, sono ulteriormente peggiorati negli ultimi anni a causa della crisi. Il tasso di occupazione, nella classe 20-64 anni, e’ sceso dal 63 per cento del 2008 al 61,2 per cento del 2011, mentre quello di mancata partecipazione e’ salito dal 15,6 per cento al 17,9 per cento.
Donne, giovani e Sud sono particolarmente penalizzati: il tasso di occupazione per loro e’, rispettivamente, del 49,9 per cento, 33,8 per cento tra i 20-24enni e 47,8 per cento. Il tasso di mancata partecipazione al lavoro e’ del 22,6 per cento, 41,7 per cento e 32,1 per cento. La costante incidenza dei lavoratori a termine per piu’ di 5 anni (19,2 per cento) denota una condizione d’instabilita’ che non si attenua. La mancata stabilizzazione dei contratti investe soprattutto i giovani (dal 25,7 per cento del 2008 al 20,9 per cento del 2011). Anche la presenza di lavoratori con bassa remunerazione (10,5 per cento) e di occupati irregolari (10,3 per cento) rimane stabile, mentre aumenta la percentuale di lavoratori sovra-istruiti rispetto alle attivita’ svolte (dal 15,4 per cento del 2004 al 21,1 del 2010). Tuttavia, i lavoratori italiani hanno una percezione positiva della propria condizione (voto medio 7,3).
Non mancano le disuguaglianze nell’accesso al lavoro, territoriali, generazionali e di cittadinanza, ulteriormente accentuate con la crisi. Fa eccezione il divario occupazionale tra uomini e donne, dal momento che la crisi ha colpito maggiormente il settore edile e manifatturiero, che impiega quasi esclusivamente uomini. Eppure il divario di genere resta tra i piu’ elevati d’Europa: il tasso di occupazione 20-64 anni passa dal 72,6 per cento maschile al 49,9 per cento femminile.
Le donne, intanto, continuano a fare i conti con un sovraccarico di ore dedicate al lavoro, retribuito o meno: il 64 per cento lavora piu’ di 60 ore a settimana, compreso il lavoro di cura. Resta inoltre stabile al 72 per cento il rapporto tra il tasso di occupazione delle donne con figli in eta’ prescolare e quello delle donne senza figli. “Le condizioni peggiori delle donne meridionali fanno supporre che ad alimentare l’insoddisfazione sia anche la carenza di servizi” scrivono i curatori del rapporto.
La crisi non ha penalizzato complessivamente la partecipazione al lavoro degli stranieri (scesa dal 69,8 per cento al 66,2 per cento), ma ha inciso molto sui tassi maschili. È inoltre rilevante e in aumento lo svantaggio nella qualita’ dell’occupazione rispetto agli italiani: l’incidenza di occupati sovra-istruiti e’ piu’ che doppia (42,3 per cento contro il dato degli italiani al 19 per cento).
L’Italia e’ sempre piu’ anziana: il nostro paese e’ tra i piu’ longevi d’Europa, ma questo non va di pari passo con un aumento della qualita’ della sopravvivenza, soprattutto per le donne. In media, infatti, oltre un terzo della loro vita e’ vissuto in condizioni di salute non buone.
Va peggio nel Mezzogiorno, dove a una vita mediamente piu’ breve si aggiunge un numero minore di anni vissuti senza limitazioni. Se al Nord le donne a 65 anni possono contare di vivere in media ancora 10,4 anni, al Sud il dato scende a 7,3. Calano, nel lungo periodo, la mortalita’ infantile (34,2 ogni 10mila), da incidenti stradali (1,1 ogni 10mila) e da tumori (9,3 ogni 10mila). Tuttavia, la mortalita’ infantile registra una crescita nell’ultimo anno per gli immigrati. Aumentano i decessi per demenza senile e malattie del sistema nervoso: dal 20,7 ogni 10mila del 2006 al 25,8 ogni 10mila del 2009).
Non aiutano i comportamenti a rischio adottati dalla popolazione. L’obesita’ e’ in crescita (nel 2001 42,4% di persone di 18 anni, diventate 44,5 per cento nel 2011) e i sedentari sono il 40 per cento delle persone di 14 anni e piu’. Tra questi, si mantengono forti disuguaglianze sociali: sono il 48,4 per cento tra le persone di 25-44 anni con basso titolo di studio e il 24,5 per cento tra i coetanei con titolo di studio alto.
L’abitudine al fumo in 10 anni ha registrato solo una lieve flessione: nel 2001 i fumatori erano il 23,7 per cento della popolazione di 14 anni e piu’, nel 2011 sono il 22,7 per cento, quota stabile dal 2004. Cresce tra i giovani il consumo di alcool: nel 2011 il 15,4 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni e il 16,1 per cento di quelli tra i 20 e i 24 anni ha adottato almeno un comportamento a rischio nel consumo di alcol.
L’Italia non riesce ancora a garantire un’istruzione adeguata. La quota dei Neet, gli under30 che non studiano ne’ lavorano, sale dal 19,5% del 2009 al 22,7% del 2011. Gli under34 laureati sono il 20,3%, contro il 34,6% dell’Ue. I diplomati sono il 56 per cento in Italia contro il 73,4 europeo. Il tasso di abbandono scolastico e’ al 18,2%, mentre nell’Ue27 si ferma al 12,3.
Le donne sono mediamente piu’ istruite e formate degli uomini: il 57,2% sono diplomate, contro il 54,8 degli uomini. Le 30-34enni laureate sono il 24,7%, mentre gli uomini si fermano a quota 15,9%. Il tasso di partecipazione alla formazione continua e’ al 6%, mentre per gli uomini e’ del 5,3. Ancora: l’abbandono scolastico si ferma al 15,2%, inferiore rispetto al 21 per cento maschile. Oltre alle differenze di genere sono presenti anche differenze territoriali. Nel 2011 la quota di di 25-64enni con almeno il diploma superiore e’ del 59 per cento al Nord e al 48,7% a Sud, mentre i Neet sono il 31,9% nel Mezzogiorno, il doppio della quota relativa al Nord (15,4%).
La famiglia e’ un fattore di grande influenza: nei casi in cui i genitori hanno al massimo la scuola dell’obbligo l’abbandono scolastico arriva al 27,7%, mentre in presenza di genitori laureati si riduce al 2,9. Infine, e’ in forte calo la partecipazione culturale delle persone: dal 37,1% del 2011 al 32,8% del 2012. “Un miglioramento del livello d’istruzione e del livello di competenze- scrivono i curatori del Rapporto- che intervenga a ridurre le disuguaglianze territoriali e sociali e garantisca maggiori opportunita’ ai giovani provenienti da contesti svantaggiati appare una priorita’ nel nostro paese”.
Negli ultimi 5 anni la crisi ha avuto profonde ripercussioni sul tessuto sociale italiano, causando l’aumento delle disuguaglianze e delle differenze territoriali e riducendo la gia’ scarsa mobilita’ sociale. La percentuale di individui in famiglie senza occupati e’ passata, tra il 2007 e il 2011, dal 5,1 per cento al 7,2 per cento. Ne hanno fatto maggiormente le spese i giovani under25, per i quali il dato e’ cresciuto dal 5,4 all’8 per cento, e il Mezzogiorno, dove dal 9,9 si e’ passati al 13,5 per cento. Parallelamente, si e’ registrata una diminuzione del 5 per cento del potere d’acquisto dal 2007 al 2011. Il complessivo peggioramento del benessere economico e’ certificato da Istat e Cnel, nel loro primo rapporto sul benessere equo e sostenibile in Italia.
Fino al 2009 i colpi della crisi sono stati parati grazie al potenziamento degli interventi di sostegno al reddito e al funzionamento delle reti di solidarieta’ familiare. Questo ha permesso di mantenere stabili i tassi di poverta’ e deprivazione grave (rispettivamente al 18,4 per cento e al 7 per cento). Ma poi l’equilibrio si e’ rotto. Nel 2011 la grave deprivazione e’ aumentata di 4,2 punti, passando dal 6,9 per cento all’11,1 per cento, preceduta da un incremento, nel 2010, del rischio di poverta’ nel Centro (dal 13,6 per cento al 15,1 per cento) e nel Mezzogiorno (dal 31 per cento al 34,5 per cento) e da un aumento della disuguaglianza del reddito (il rapporto tra il reddito posseduto dal 20 per cento piu’ ricco della popolazione e il 20 per cento piu’ povero dal 5,2 sale al 5,6).
Le famiglie hanno tamponato la progressiva erosione del potere d’acquisto intaccando il patrimonio, risparmiando meno e, in alcuni casi, indebitandosi. La quota di persone in famiglie che hanno ricevuto aiuti in denaro o in natura da parenti non coabitanti, amici, istituzioni o altri e’ passata dal 15,3 per cento del 2010 al 18,8 per cento del 2011 e, nei primi nove mesi del 2012 la quota delle famiglie indebitate e’ passata dal 2,3 per cento al 6,5 per cento.
da Redattore Sociale