Il premier ungherese ha voluto modifiche che limitano i poteri dell’Alta Corte e tagliano pesantemente le libertà Ignorate le preoccupazioni dell’Europa. Per l’opposizione e per gli esperti internazionali è un addio allo Stato di diritto
«Spero di no, ma forse un giorno potrebbe divenire necessario sostituire la democrazia con un altro sistema». Parole sue, dell’anno scorso. La Weltanschauung di Viktor Orbán, classe 1963, carriera iniziata nella gioventù comunista sotto il vecchio regime, poi dissidente radicale, oggi premier-autocrate ungherese, alto dirigente del Partito popolare europeo, al sodo è tutta qui. Ieri dalle parole è passato ai fatti. Sfidando l’Europa e l’intero mondo libero, come ama fare sempre più. A Budapest il Parlamento dominato dal suo partito (la Fidesz), ha approvato modifiche alla Costituzione che secondo esperti ungheresi e internazionali sono «un addio allo Stato di diritto e alla separazione dei poteri». Un golpe bianco annunciato. Invano il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, gli ha chiesto di ripensarci, e ha espresso «preoccupazione per trattati e spirito dell’Europa e primato del Diritto». Rotto solo da qualche migliaio di giovani in piazza il silenzio scende sull’Ungheria, il silenzio del Nuovo Ordine.
Laureato in legge ma spregiudicato verso l’idea occidentale di Diritto, sposato e padre di cinque figli e cattolico praticante dichiarato ma, mormorano a Budapest fonti diplomatiche, duro in casa e amico degli oligarchi, Orbán ama mostrare di non aver paura. Con lui, nulla a Budapest è più come prima. La stessa Costituzione nazionalista da lui voluta e imposta nel gennaio 2012 è umiliata e annullata, scrive Die Welt, il quotidiano liberalconservatore tedesco più vicino ad Angela Merkel.
Esautorata per vendetta la Corte costituzionale che ricusava leggi liberticide ora diventate articoli della Costituzione, via libera a limiti alla libertà d’espressione se offende una non meglio definita «dignità della nazione magiara», frontiere chiuse come un nuovo Muro di Berlino ai laureati che sognano di fuggire dalla povertà cercando lavoro all’estero, senzatetto criminalizzati se vivono e dormono in strada, campagna elettorale vietata sui media privati, cioè i pochi ultimi media indipendenti. Quelli su cui per volere di Orbán vigila come un Grande fratello stalinista di destra la Nemzeti Mèdia-es Hìrkoezlési Hatosàg, l’autorità di controllo sui media, mentre il governo nega frequenze e gli oligarchi tolgono pubblicità. E poi: chi si ama e convive senza sposarsi né avere figli, omo o etero che sia, non ha la stessa dignità della famiglia etero ufficiale. E il vecchio Partito comunista, da cui scaturì dopo il 1989 (come altrove all’Est) il Partito socialista oggi prima forza d’opposizione, alleato a Strasburgo di Pd, Spd tedesca, Ps francese, New Labour o socialdemocratici finnici e svedesi, è organizzazione criminale. Minaccia di processi politici travestiti da altro.
«L’Europa politica e dell’euro è un fallimento, il nostro modello euroasiatico si rivelerà vincente », ecco un altro estratto recente dell’Orbán-pensiero. Ieri il premier in Parlamento si è spinto a dire che «al popolo interessano le bollette troppo care che pagano alle multinazionali, non la Costituzione». Ancor più chiaramente, ha parlato il suo uomo di mano Làszlò Koevér, presidente del Parlamento: «Il capitale internazionale, la Ue, gli Usa, conducono una guerra fredda contro l’Ungheria perché rifiutiamo la camicia di forza liberal, ma sono improbabili compromessi con chi accetta persino matrimoni omosessuali».
Recessione, disoccupazione specie giovanile (dati Ue) a livelli greci: Orbán dà la colpa all’Europa, e chiede investimenti a Cina, Iran, Azerbaijan. Riscrive la Storia: riabilitato l’ammiraglio Horthy, il dittatore antisemita alleato più fedele di Hitler, via le statue di intellettuali, nobili o borghesi riformatori, dal “conte rosso” Karoly Mihaly che affrancò i servi della gleba al poeta Attila Jozsef amico di Thomas Mann. Chi sa se Orbán ha dimenticato il monito d’un suo professore all’università, «attento, ragazzo, lei è più assertivo d’uno stalinista». I giovani lo sfidavano in piazza ieri sera, cantavano «Viva la libertà ungherese », l’inno del Risorgimento. Strade sbarrate per loro, dai reparti antiterrorismo. Mi spezzo ma non mi piego, pensa forse Orbán.
La Repubblica 12.03.13