Un presunto uomo di Stato, che ha avuto l’onore di guidare per tre volte il governo di un Paese democratico, ieri ha organizzato una gazzarra davanti al Tribunale di Milano schierando i deputati e i senatori Pdl contro la magistratura che lo indaga per reati comuni e portandoli addirittura a rumoreggiare di fronte all’aula del processo Ruby. La scena finale resterà nelle memorie peggiori del Paese, con i parlamentari in fila contro lo Stato come dei caimani in versione Lacoste, che purtroppo trasformano in piazza l’Inno di Mameli in una marcia antirepubblicana ed eversiva.
L’ordalia finale di un leader soffocato dalla sventura costruita con le sue stesse mani – nella dismisura degli abusi e della corruzione, all’ombra dell’impunità – ha travolto infine i sedicenti moderati della destra, cancellandoli in un’omologazione estremista che annulla ogni autonomia di destino per il Pdl, costretto all’identificazione fanatica col destino padronale, nella vita come nella morte politica.
La verità è che non c’è più politica, in questo salto nel cerchio di fuoco che tutto consuma, compresi (per fortuna) i piani di qualche statista per arrivare ad un governo Pd-Pdl. Ma prima ancora, l’avventurismo berlusconiano brucia ogni ruolo istituzionale della destra, qualsiasi condivisione riformista, persino l’agibilità del Parlamento, che infatti Alfano minaccia di abbandonare come protesta per “l’emergenza democratica”.
Ci aspettavamo che Napolitano non ricevesse al Colle chi dopo aver chiesto udienza al Quirinale trascina il Parlamento in piazza. Ma dal Capo dello Stato Alfano e Berlusconi impareranno che il Quirinale non è un quarto grado di giudizio. Così come dovranno capire che in democrazia non si porta il potere legislativo in strada contro il potere giudiziario. E soprattutto che la legge è uguale per tutti, anche per chi alza la voce perché non può dire la verità sugli scandali che lo avvolgono: e maschera la sua disperazione politica da prova di forza, trasformando un partito in un bullo collettivo,
come se la democrazia fosse una taverna.
La Repubblica 12.03.13
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La sfida di Silvio al Colle “Fermare le udienze o ci difenderemo e sarà il caos”, di CARMELO LOPAPA e UMBERTO ROSSO
Non gli è piaciuta affatto quell’irruzione al Palazzo di giustizia di Milano. Giorgio Napolitano, mentre in tv scorrevano le immagini della clamorosa protesta berlusconiana, si è fatto chiamare al telefono Gianni Letta. Parole dure, dal capo dello Stato, che avrebbe fatto notare come la materia della giustizia sia un tema troppo delicato, come occorra «senso di responsabilità» e «rispetto delle istituzioni» per affrontarlo.
Quanto avvenuto è stato vissuto dal Colle né più né meno che come uno sgarbo. Tanto più perché gli eventi precipitano dopo che Alfano aveva chiesto e ottenuto un colloquio col capo dello Stato per domani. Pare che al Quirinale ci sia stata perfino la tentazione di annullare il tutto, superata poi dalla decisione di non gettare altra benzina sul fuoco. Di certo permane la sorpresa, per la chiamata in causa del capo dello Stato come “garante” per vicende processuali il cui iter è tutto e soltanto nelle mani della magistratura. Già. Perché alle 11 di oggi Alfano, Cicchitto e Gasparri avanzeranno una vera e propria proposta politica, con offerta annessa. Messe a punto, neanche a dirlo, col Cavaliere ricoverato. «Ci rivolgeremo a lui in qualità di presidente del Csm e di supremo garante delle istituzioni» ha spiegato il segretario Pdl ad alcuni dei dirigenti presenti a Milano a margine della «occupazione» del Tribunale. «E in quella veste gli chiederemo di fermare i processi e le inchieste che rischiano di trasformarsi in un vero e proprio golpe ai danni di Berlusconi». Tradotto: uno stop di due-tre mesi, i prossimi. Una sorta di lodo Alfano a termine, una moratoria «limitata, giusto a questa fase politica delicata e rischiosa per il Paese». Settimane cruciali in cui il leader che rappresenta il 30 per cento dell’elettorato pretende di avere mani libere dalle udienze per giocarsi tutte le sue
carte. Nella partita per la formazione del nuovo governo, ma soprattutto quella ritenuta ancor più importante, in prospettiva, per l’elezione del presidente della Repubblica.
Non solo. A Napolitano, con tutti i riguardi del caso, verrà chiesto anche di intervenire, forte della sua moral suasion, nei confronti della Procura di Napoli che si avvia a spron battuto verso il giudizio immediato a carico di Berlusconi. Se non verso una — da loro temutissima — richiesta di arresto che grillini e democratici al Senato già nelle chiacchiere da Transatlantico a Palazzo Madama
sognano di approvare. «La situazione è insostenibile, presidente, siamo in emergenza democratica » sarà la premesse di Alfano, elencando la sequenza di processi al traguardo e di inchieste nascenti. Se nulla cambierà, «allora reagiremo adeguatamente, diserteremo le Camere, sarà il caos».
Di contro, verrà offerta la disponibilità al via libera a un esecutivo del presidente, fosse pure una prorogatio a Monti, «per senso di responsabilità». Ma il piano messo a punto da Berlusconi dal letto della clinica è articolato. A Napolitano i pidiellini chiederanno anche la disponibilità a una riconferma alla più alta carica dello Stato. È dal presidente uscente che ormai i berlusconiani si sentono «garantiti» in forza della sua terzietà. Di certo, molto più di quanto non si possano sentire al sicuro con un Prodi, giusto per fare un nome tra quelli finiti già nel frullatore. «Diciamo no a un presidente di sinistra scelto da un Parlamento magari sciolto da qui a qualche settimana».
Tutto è in bilico, tutto pericolosamente a rischio, per il futuro personale e politico del Cavaliere. Furente ieri mattina quando in rapida sequenza da Napoli giunge notizia della richiesta di giudizio immediato (sono le 12.30) e da Milano dell’invio di una nuova visita fiscale. È a quel punto che Angelino Alfano lo chiama e ha la conferma che bisogna abbandonare la linea morbida. «Non è più momento di stare a guardare, servono i fatti» si inalbera il capo. Vince la linea dei duri alla Santanché e Verdini. Soddisfatta la deputata a fine giornata: «Non c’è più spazio per le colombe, adesso tutti falchi o rischiamo di fare la fine dei piccioni ».
Ma di fronte al teorema della «persecuzione giudiziaria» di Berlusconi e ad una raffica di simili richieste, non potrà che esserci il muro del Quirinale. «Sanno bene quel che il presidente potrà fare», mettono le mani avanti al Colle in vista dell’incontro di stamattina, anticipando appunto che non è nei poteri e nelle intenzioni di Napolitano garantire immunità, o «perdoni» presidenziali. Se il capo dello Stato nonostante tutto ha deciso di confermare l’appuntameno con Alfano, nato da formale richiesta venuta dal secondo partito in Parlamento, non vuol dire certo chiudere un occhio di fronte ad una violenta campagna «in cambio» di una disponibilità del Pdl al varo di un nuovo governo. E il capo dello Stato, se il partito di Berlusconi nel colloquio non cambierà i toni, potrebbe anche intervenire apertamente.
12.03.13
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L’ultima grande sceneggiata delle donne del Cavaliere “Abbiamo disobbedito a Silvio”, di NATALIA ASPESI
CAMMINANO piano, ondeggiando, stretti uno all’altro, forse il luogo maestoso gli incute soggezione, addirittura paura, non si sa mai, con tutti quei severi carabinieri in giro, e le transenne, a impedire che qualcuno, anche gli onorevoli, tenti di entrare nell’aula, del resto vuota. Naturalmente il fior fiore dei pidiellini si sono sobbarcati questa fatica per protestare contro la «magistratura politicizzata» e il suo «accanimento giudiziario» (le frasi sono sempre quelle) che è quella milanese: peccato che lo sia anche quella napoletana, che proprio mentre arrancano nel labirinto del palazzo, fa sapere che processerà Berlusconi per direttissima.
Come si sa, il Cavaliere è ricoverato al San Raffaele da venerdì, giorno in cui Ilda Boccassini doveva pronunciare la sua requisitoria e formulare la richiesta di condanna. Accolto quel giorno il legittimo impedimento per uveite (occhi rossi, dolenti e lacrimosi), sabato per il processo Mediaset altri magistrati non hanno creduto ai fumosi certificati e hanno mandato il medico fiscale, che non ha trovato l’ex premier così grave da non poter assistere a un’udienza. Ma ieri, il patatrac, tanto che Formigoni si è sentito in dovere di esclamare, «per il tribunale anche un malato in coma irreversibile è trasportabile!». Non è mai capitato, ma chissà. Troppo per il partito delle Libertà, tanto che i suoi neoeletti, in riunione a Milano hanno deciso di prendere la Bastiglia della giustizia milanese, soprattutto contro chi aveva osato richiedere e questa volta ottenere per il processo Ruby, la visita fiscale, il sostituto procuratore Sangermano e il procuratore aggiunto Boccassini, quella che la mente più fine delle signore pdl, Daniela Santanchè, ha chiamato ieri con la massima scempiaggine, «l’Ingroia con la gonna»: essendo la Boccassini non solo non in sintonia con quel magistrato, ma addirittura in pantaloni.
A un certo punto della riunione di partito, non sapendo forse di cosa discutere senza la presenza elettrizzante di Berlusconi, il patriottico Alfano ha incitato la truppa in pesante cappotto malgrado il tepore primaverile: «Tutti a Palazzo di Giustizia!». Mancavano bandiere e stendardi, e un avanzare ardito da Quarto Stato: comunque tutti a piedi, nella speranza, frustrata, di trascinare con loro qualche volontario incuriosito. Poi davanti alla scalinata infinita, sotto la grande foto di Falcone e Borsellino, i coraggiosi onorevoli si sono messi a semicerchio e si sono fatti fotografare
come per le gite scolastiche, e hanno anche incongruamente accennato all’Inno di Mameli. Poi su, senza tralasciare nessun microfono o iPhone: raccontando un’Italia che pur essendo in cattive acque per conto suo, nelle loro parole è un immenso gulag degli anni ’50.
Le definizioni sono allarmanti, ma ormai la fantasia horror in difesa del capo è stata superata da tempo, e quindi è ripetitiva, non lascia traccia, suscita qualche sbadiglio, anche tra gli astanti disinteressati allo straordinario evento: un tribunale assediato al suo interno, da gente che, una volta lì, non sa assolutamente cosa fare, se non filarsela a testa bassa dopo una ventina di minuti. Ma intanto, Carfagna ha deplorato «il solito gruppo di magistrati fuori controllo», mentre la Biancofiore, più Abu Ghraib, grida «Siamo alla tortura!», banale come sempre Capezzone, «E’ in atto un assedio alla democrazia! »; la Bernini è apocalittica: «C’è una macchina da guerra per la sistematica distruzione fisica morale e politica del leader più amato dagli italiani!». Oratoria la Ronzulli: «Si metta l’animo in pace la magistratura militante di sinistra!». Fantasioso Scilipoti: «Ci sono gli estremi di denuncia per abuso di ufficio!». Galan preveggente e malaugurante: «Con questa persecuzione ci sono due possibilità, la prima è scappare, la seconda andare in carcere!». Gelmini con gli occhi rossi di commozione assicura, «per una volta gli abbiamo disubbidito! ». Si perché lui, l’ammalato Silvio non voleva assolutamente, glielo aveva proibito, di manifestare, in un momento così delicato del Paese, meglio concentrarsi su come governarlo, loro che hanno avuto il voto di 8, oppure 9, oppure10 milioni di italiani (ognuno aveva una cifra sua). Ma loro, i suoi neoeletti, tra cui sovrabbondano i rieletti, non hanno voluto sentire. E per la prima e ultima volta nella loro carriera pidiellina, han fatto di testa loro. Diciamo che anche da un punto di vista politico, il centinaio e passa di berlusconiani che occuperanno il nuovo parlamento, è fermo lì, alla sinistra malvagia: non si sono accorti o ancora non sono entrati nel loro linguaggio di battaglia, i grillini, e la loro promessa di spazzare via tutti e di essere d’accordo con l’esclusione di Berlusconi dalle cariche istituzionali e non contrari al suo arresto. In ogni caso, scomparsi i manifestanti, estenuati per le ore e ore di attesa i giornalisti, i magistrati, i cancellieri, i carabinieri e i rari curiosi, finalmente i responsabili della visita fiscale hanno detto, sì il dottor Berlusconi ha un legittimo impedimento di salute. Spettacolo ridicolo, casino inutile, tutti a casa; l’avvocato difensore Ghedini, più verde del solito per la soddisfazione, annuncia che l’imputato malato ne avrà per 15 giorni.
La Repubblica 12.03.13