Sempre piu’ laureati disoccupati, anche fra chi possiede un titolo ‘forte’, come gli ingegneri. Crollano anche le retribuzioni di chi ha fatto l’universita’. Un percorso di studi che paga, si’, ma solo nel lungo periodo. È la fotografia scattata dal XV Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati che sara’ presentato ufficialmente domani a Venezia all’Universita’ Ca’ Foscari nel corso del convegno “Investire nei giovani: se non ora quando?”. Le conclusioni saranno affidate a Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia.
AlmaLaurea ha intervistato oltre 400mila laureati post-riforma di tutti i 64 atenei aderenti al Consorzio. La rilevazione 2012 ha coinvolto oltre 215 mila laureati post-riforma del 2011 – sia di primo che di secondo livello – indagati a 1 anno dal termine degli studi, tutti i laureati di secondo livello del 2009 (quasi 65 mila), interpellati a 3 anni dal termine degli studi. Per la prima volta l’indagine ha riguardato anche i laureati di secondo livello (oltre 40 mila) a 5 anni dal termine degli studi.
DISOCCUPAZIONE GENERALIZZATA – Il Rapporto evidenzia che “nell’ultimo anno si sia registrato un ulteriore deterioramento delle performance occupazionali dei laureati. Deterioramento che si riscontra non solo tra i neo-laureati, i piu’ deboli sul fronte occupazionale perche’ con minore esperienza, ma anche tra i colleghi laureatisi in tempi meno recenti”. Ecco i dati: fra il 2011 e il 2012 la disoccupazione fra i laureati triennali e’ passata dal 19 al 23% (si registra un +12% se si calcolano gli ultimi 5 anni). Dato in crescita anche fra i laureati specialistici, quelli con un percorso di studi piu’ lungo (dal 20 al 21%, che diventa un +10% se si calcolano gli ultimi 5 anni) e fra gli specialistici a ciclo unico, come i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza (dal 19 al 21%, +12% in 5 anni). Una tendenza, fa notare AlmaLaurea, “che si registra in generale anche a livello di percorso di studio anche fra i laureati tradizionalmente caratterizzati da un piu’ favorevole posizionamento sul mercato del lavoro, come gli ingegneri”.
RETRIBUZIONI IN CALO – Le retribuzioni ad un anno dalla laurea superano di poco i 1.000 euro netti mensili: 1.049 per il primo livello, 1.059 per gli specialistici, 1.024 per gli specialistici a ciclo unico. Rispetto alla precedente rilevazione, le retribuzioni nominali risultano in calo, con una contrazione pari al 5% fra i triennali, al 2,5% fra i colleghi a ciclo unico e al 2% fra gli specialistici biennali. Se si estende il confronto temporale all’ultimo quadriennio (2008-2012), si evidenzia che le retribuzioni reali sono diminuite, per tutte e tre le lauree considerate, del 16-18%.
TITOLO PAGA, MA NEL LUNGO PERIODO – La laurea paga, ma nel lungo periodo. Anche a causa dei tempi lunghi di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani dottori. Per i laureati intervistati a 5 anni dalla laurea il tasso di disoccupazione si riduce a valori “fisiologici” (6%), nonostante la crisi. A cinque anni, l’occupazione indipendentemente dal tipo di laurea e’ prossima al 90%. Anche per quanto riguarda la stabilita’ del lavoro e il guadagno, tra uno e cinque anni dal conseguimento del titolo si evidenzia un generale miglioramento. Quelli che trovano piu’ facilmente posto sono i laureati in medicina, economia-statistica, ingegneria (oltre il 90% e’ occupato a 5 anni dal titolo). la paga piu’ alta a 5 anni dalla laurea va agli ingegneri (1.748 euro medi). Seguono medici 1.662) e laureati economico-statistici (1.603). La laurea vale di piu’ del diploma: i laureati hanno presentato un tasso di occupazione di oltre 12 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati.
Agenzia Dire 12.03.13
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“VALORE E POTERE DELLA LAUREA”, di CHIARA SARACENO
Chi ottiene una laurea – triennale, specialistica o a ciclo unico – anche in questo periodo di crisi è più avvantaggiato sul mercato del lavoro rispetto a chi si ferma al diploma. Trova più facilmente lavoro e, nel medio-lungo periodo, ottiene una remunerazione più alta. Questo vantaggio competitivo, tuttavia, si è sensibilmente ridotto nel quadriennio 2008-2011. La percentuale di chi è disoccupato a un anno dalla laurea è aumentata di un punto nel quadriennio tra i laureati triennali e di 12 tra i laureati specialistici, e le retribuzioni mensili (attorno ai mille euro al mese) di chi è occupato sono diminuite sia in termini nominali sia, soprattutto, in valore reale. Sono, inoltre, aumentati coloro che hanno un contratto di lavoro atipico ed anche chi non ha contratto regolare. Ci sono buone probabilità che le cose siano ulteriormente peggiorate per chi ha concluso gli studi universitari nell’ultimo anno. È il quadro che emerge dall’ultima indagine Almalaurea sul destino occupazionale dei neo-laureati.
La ricerca sfata anche alcuni luoghi comuni, in primo luogo quello della scarsa spendibilità della laurea triennale perché poco professionalizzante. Se ciò è vero per alcune, non lo è per molte altre, specie nel settore medico e scientifico. Inoltre, a un anno dalla laurea non c’è differenza nel tasso di occupazione tra laureati triennali e specialistici. La disoccupazione e sottooccupazione dei laureati in Italia è piuttosto dovuta alla scarsità della domanda in un sistema produttivo e amministrativo che — anche nel settore pubblico ed anche ai livelli medio alti del management — è largamente controllato da persone con livelli di istruzione medio-bassa,
poco capaci di valorizzare e investire nel capitale umano. Ciò a sua volta spiega perché il sistema Italia sia così poco competitivo, nonostante singole eccellenze, e perché esportiamo lavoratori molto qualificati mentre ne importiamo di poco qualificati. È vero, quindi, che in Italia ci sono “troppi” laureati rispetto alla domanda, ma è la qualità della domanda a fare problema, con il rischio di produrre circoli viziosi senza futuro.
Così, l’Italia è l’unico Paese europeo, insieme alla Romania, ad avere fissato per il 2020 un obiettivo di incidenza dei laureati nella popolazione di 30-34enni largamente inferiore a quello comune europeo del 40%, riducendolo al 26-27%. Ciò significa non investire non solo in sviluppo e innovazione, ma anche in quella larghissima parte della popolazione giovanile che non ha genitori laureati. È solo da qui, infatti, che può avvenire un aumento dei laureati, stante che la minoranza di chi ha genitori laureati di norma si iscrive già all’università e di solito sceglie anche i percorsi più forti. Gli studenti che sono i primi nella loro famiglia ad iscriversi all’università costituiscono oltre il 70% di tutti gli iscritti. Ma sono anche coloro che frequentano più spesso i corsi di laurea meno forti sul mercato del lavoro. E le loro famiglie possono avere più difficoltà a mantenerli agli studi. È una situazione che rischia di svantaggiare soprattutto i maschi nelle famiglie economicamente più modeste, perché da loro ancora ci si aspetta di più che si trovino un lavoro presto. Tra i 30 e i 34 anni ha la laurea solo il 16% dei maschi, a fronte del 25% delle femmine. Invece di lamentarsi di un eccesso inesistente di laureati e della schizzinosità dei giovani italiani, parlamentari e
classe imprenditoriale dovrebbero interrogarsi sulla miopia di una politica dell’istruzione e del lavoro che non forma bene e non valorizza né chi farà lavori manuali né chi dovrebbe e potrebbe contribuire alla innovazione.
La Repubblica 12.03.13
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Lauree e diplomi, processo all’Italia “Imparate da tedeschi e norvegesi”, di Andrea Tarquini
L’Europa ci dà un pessimo rating anche per quanto riguarda la pubblica istruzione. Il sistema va riformato a fondo. I suoi difetti si ripercuotono pesantemente sulla produttività, sull’economia e sugli sbocchi professionali dei nostri laureati e diplomati superiori. Insomma, una delle radici della disoccupazione giovanile, quella sfida che Mario Draghi la settimana scorsa ha definito “una tragedia”, è nel nostro sistema scolastico e universitario. O almeno, così ha raccontato alla Süddeutsche Zeitung Andreas Schleicher, esperto di pubblica istruzione dell’Ocse (organizzazione dell’Onu per la cooperazione e lo sviluppo economico). Chiamato anche “Mister Pisa” perché ideatore del Programma per la valutazione internazionale degli allievi della stessa organizzazione.
È un paradosso, dice Schleicher guardando le nostre scuole e i nostri atenei: nel paese che ospita l’università più antica del mondo, il sistema non funziona. Il cahier des doléances di Schleicher è una lunga lista di accuse. Primo, nella maggior parte degli altri Stati membri dell’Ocse la gamma di offerte di lauree e specializzazioni è più ampia che da noi. E nei paesi più avanzati — la Germania solo in parte, di più e meglio i paesi scandinavi, a cominciare dalla Finlandia col sistema scolastico, tutto pubblico, giudicato il migliore del mondo, e dalla Norvegia — offrono un contatto strutturale e che funziona bene tra lo studio teorico, accademico e la pratica della formazione professionale. «L’Italia», dice Schleicher, «è rimasta legata molto a lungo a un sistema classico, tradizionale, di studi universitari, per questo il numero dei laureati e diplomati non è cresciuto come in altri paesi».
Siamo rimasti decisamente al di sotto della media nell’Unione europea, nota l’esperto con i dati dell’organizzazione alla mano. Più precisamente, quanto a numero di laureati e diplomati solo la Turchia nell’ambito europeo ha risultati peggiori dei nostri.
Ed ecco, almeno secondo “Mister Pisa”, i mali strutturali più gravi del nostro sistema d’istruzione e le loro cause. Primo, molti laureati e diplomati superiori non trovano un’occupazione, o vengono pagati poco e male, «perché le università danno una preparazione accademica, non preparano ad avere successo sul lavoro». Secondo, a differenza che in molti altri paesi europei «non c’è aiuto finanziario dello Stato agli studenti, nulla di paragonabile a sistemi come il Bafög tedesco (che prevede l’erogazione di borse di studio in base al reddito di appartenenza) o quelli scandinavi». Terzo, comunque lauree e diplomi «sono irrilevanti sul mercato del lavoro». Poi un altro difetto strutturale: «Il personale insegnante è numeroso ma poco qualificato rispetto alle esigenze di una società e un’economia moderne». A lungo termine, ammonisce, «si crea un legame tra qualità del sistema della pubblica istruzione e capacità economiche di un paese». Il solito invito rivoltoci a imitare i tedeschi? No, piuttosto finnici e norvegesi: «Hanno un sistema educativo differenziato, personalizzato, molto attento al singolo, sponsorizzato dalle aziende, e rafforzato dalla convinzione della gente che è opportuno continuare a studiare e imparare per tutta la vita».
La Repubblica 12.03.13
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“La laurea non è più una garanzia”, di Claudio Tucci
Buste paga piuttosto leggere (a un anno dalla laurea la retribuzione viaggia intorno ai mille euro al mese), impieghi meno stabili e una disoccupazione in aumento che colpisce anche profili «tradizionalmente caratterizzati da un più favorevole posizionamento sul mercato del lavoro, come per esempio gli ingegneri».
Certo, la laurea rimane un buon investimento (in prospettiva garantisce maggiori tassi di occupazione e salari più elevati). Ma non c’è dubbio che (anche per la crisi) le performance occupazionali dei laureati si siano «deteriorate».
Oggi all’università «Cà Foscari» di Venezia, alla presenza del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, AlmaLaurea presenterà i nuovi dati 2012 (per la prima volta sono stati indagati anche i laureati di secondo livello a cinque anni dal termine degli studi). E se a un anno dalla laurea la disoccupazione fra i diplomati triennali cresce dal 19% al 23%, e dal 20% al 21% fra i laureati specialistici, nel periodo più lungo (a 5 anni dalla laurea, cioè) la disoccupazione si riduce a valori “fisiologici” (6%) e l’occupazione, indipendentemente dal tipo di diploma, sale all’85,8% (a un anno dal conseguimento del titolo è invece al 66%). Di qui l’importanza «di investire in capitale umano», ha sottolineato il direttore di AlmaLaurea, Andrea Cammelli. Che chiede anche di «generalizzare gli stage curriculari» che fanno crescere la probabilità di occupazione del 12% (rispetto a chi non può vantare tale esperienza formativa). Del resto, non è un mistero che in Italia «abbiamo un numero di laureati più basso degli altri paesi», ha evidenziato il rettore della «Cà Foscari», Carlo Carraro: « Bisogna quindi invertire la rotta. E la laurea rappresenta un buon investimento anti-crisi. Nel Nord-Est, per esempio, i laureati occupati sono cresciuti del 5% l’anno negli ultimi 5 anni». Snocciolando ancora i dati del rapporto (che ha coinvolto più di 400mila laureati post-riforma) spicca pure come, a un anno dal titolo, il lavoro stabile (contratto a tempo indeterminato o veri autonomi) riguardi il 41% dei laureati occupati di primo livello (-1% rispetto all’indagine 2011) e il 34% dei laureati specialistici. A 5 anni dalla laurea la stabilità sale al 70% degli occupati. Ma rispetto all’indagine 2008 la stabilità lavorativa ha subito una forte contrazione: -10 punti percentuali tra i triennali e -6 punti tra gli specialistici, per effetto essenzialmente del crollo dei contratti a tempo indeterminato. In crescita invece il lavoro nero (laureati senza contratto): riguarda il 7% dei “colletti bianchi” di primo livello e degli specialisti e il 12,5% dei laureati a ciclo unico (vale a dire i dottori in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza).
A un anno dalla laurea, poi, il guadagno mensile netto è di circa mille euro. Anche qui però, con il tempo, si migliora: a 5 anni dal titolo la retribuzione sale a 1.440 euro al mese. Ma con forti disparità per livello e percorso di studio. Gli psicologi, per esempio, sono ai minimi, con un guadagno di appena 963 euro. Poco meglio fanno i professori con 1.122 euro. Cifre decisamente più elevate si registrano per gli ingegneri (1.748 euro) e per i medici (1.662 euro netti al mese).
Il Sole 24 Ore 12.03.13