Nota delle neoelette Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra, Cécile Kyenge e Giuditta Pini. Il nuovo Parlamento è quello con il più alto numero di elette, senatrici e deputate entrate nella massima istituzione democratica che possono, e devono, tentare di rendere l’Italia un Paese davvero per donne. I temi sono tanti: dal lavoro con il suo carico di diseguaglianze alle carenze del sistema del welfare, dalla mancanza di un vero diritto di cittadinanza per tutti fino alla drammatica emergenza della violenza sulle donne. Occorre un deciso cambio di rotta, ma il cambiamento deve essere prima di tutto di tipo culturale. “Ratifichiamo la Convenzione di Istanbul” dicono le nuove parlamentari modenesi del Pd. Ecco la nota congiunta di Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra, Cécile Kyenge e Giuditta Pini:
Il cammino per rendere l’Italia un Paese per donne è ancora lungo. Le riforme da affrontare per consegnare agli italiani una democrazia compiuta, che rappresenti donne e uomini, devono partire dal lavoro e dalle carenze del welfare, passando per un diritto di cittadinanza per tutti, per arrivare fino alla violenza portata alle estreme conseguenze del femminicidio. E’ sotto agli occhi di tutti che la crisi economica ha acuito le già gravi difficoltà delle donne a entrare nel mercato del lavoro. Il tasso di occupazione femminile è in Italia di 12 punti inferiore alla media europea. Tra le donne è maggiore l’incidenza del lavoro a termine e parasubordinato e difficilmente occupano posti di vertice. La retribuzione netta mensile è inferiore di circa un quinto a quella degli uomini. Le difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro si acuiscono quando il carico di lavoro di cura (per figli e anziani) si fa elevato: solo 4 madri su 10 riprendono a lavorare dopo la gravidanza. Ogni anno, in questo periodo, ci si domanda il significato attuale della Festa della donna. L’8 marzo può essere l’occasione per riflettere su questi dati che ci dicono quanto sia importante mettere in atto politiche di conciliazione. Politiche che puntino alla creazione di asili nido, all’attuazione di politiche di cura per disabili e non autosufficienti, ad una maggiore flessibilità nell’organizzazione del tempo di lavoro. Ma occorre anche che il lavoro di cura e domestico sia meglio distribuito fra donne e uomini. In Italia, nonostante le lotte, le conquiste e le aperture, nelle coppie con figli, questi impegni ricadono sulle donne per il 72,1%. L’8 marzo ci invita allora anche a riflettere sull’urgenza di un mutamento culturale, che coinvolga anche gli uomini. Ed è in questa logica che il lavoro e le carenze del welfare diventano temi che si intrecciano con l’emergenza drammaticamente attuale della violenza contro le donne. Non sono temi slegati: le statistiche confermano quanto la ricattabilità economica sia un fattore importante nelle mancate denuncie del proprio aguzzino e le donne immigrate, senza veri diritti, sono su questo fronte ancora più fragili. Questi temi dovrebbero essere parte di una legge di sistema che riporti le cittadine al centro degli interessi e dell’attività politica. Ora, in un momento di instabilità istituzionale, è necessario garantire le emergenze. E’ per questo che lanciamo una proposta che può sembrare una provocazione. L’Italia deve ratificare la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Potrebbe essere questo il primo atto del nuovo Parlamento – che per la prima volta vede un così alto numero di elette – per dimostrare la capacità di inserirsi in un percorso europeo che guardi non solo alla finanza ma anche ai diritti. Un diritto di cittadinanza la donna è più fragile.
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