«Non si vende a qualsiasi prezzo» aveva assicurato mesi fa il presidente esecutivo di Telecom, Franco Bernabè, quando il percorso per cedere La7 era ancora alle battute iniziali. Eppure quello con cui Urbano Cairo si è aggiudicato ieri la rete televisiva, o «la patata bollente» come lui stesso l’ha definita, è sicuramente un prezzo d’occasione. Un milione di euro tondo tondo, è il prezzo con cui l’editore ha acquistato la testata intorno alla quale si attaccano da anni tutte le speranze italiane di un terzo polo televisivo in chiaro.
Una testata che passerà di mano corredata di preventiva ricapitalizzazione per arrivare a una posizione finanziaria netta di almeno 88 milioni. Più la sottoscrizione a favore di Cairo di un contratto di fornitura di capacità trasmissiva di durata pluriennale. Più la rinuncia da parte di Telecom ai crediti finanziari vantati nei confronti di Ti Media per un importo complessivo pari a 100 milioni.
LE CONDIZIONI D’ACQUISTO
Le condizioni accettate dal consiglio d’amministrazione di Telecom Italia per portare a termine l’operazione rettificano l’impegno di Bernabè. La7 doveva essere ceduta a qualsiasi costo, anche se le fasi finali della vendita hanno coinciso con le conclusioni della campagna elettorale, visto che tenerla accesa costava al gruppo perdite da 100 milioni di euro all’anno. Ti Media, la società del gruppo che controlla l’emittente, ha infatti chiuso l’esercizio 2012 con una perdita netta di 240,9 milioni di euro, in peggioramento di 157,1 milioni rispetto al rosso di 83,8 milioni del 2011. L’indebitamento è salito a 260 milioni. La Borsa non ha apprezzato i dettagli dell’operazione, visto che Ti Media ha chiuso in profondo rosso, in flessione del 6,4% a 0,157 euro. Piatta invece la controllante Telecom (più 0,09%), giù Cairo Communication (meno 0,65%) in linea con l’andamento del listino.
Il neoproprietario l’ex assistente di Berlusconi diventato editore con la passione per il calcio, presidente e proprietario anche della squadra del Torino si è limitato a commentare l’affare con una battuta: «Mi sono preso una bella patata bollente». Si è così conclusa la gara per la tv che alla fine rifiutata l’offerta fuori tempo massimo di Diego Della Valle si era ristretta a una corsa tra il fondo di private equity Clessidra, guidato da Claudio Sposito, e l’editore di magazine e concessionario della pubblicità Urbano Cairo, il favorito, benchè a lungo incerto (a fine anno mancava ancora un’offerta vincolante).
«È importante mettersi velocemente al lavoro per dare slancio alla rete, che ha dei punti di forza notevoli ma anche costi notevoli. Bisogna trovare un equilibrio» aveva preannunciato Cairo a metà febbraio, all’indomani della scelta di Telecom di proseguire le trattative in esclusiva con l’editore piemontese. Ristrutturazione in vista, dunque, per l’emittente televisiva che un tempo si chiamava Telemontecarlo e che nel 2001 diventò La7 dopo l’acquisizione da parte dell’allora Seat-Pagine Gialle. Prima del trasferimento della partecipazione del 100% de La7 (con l’esclusione della quota del 51% di Mtv Italia), la televisione sarà ricapitalizzata «per un importo tale per cui la società avrà, a quella data, una posizione finanziaria netta positiva non inferiore a 88 milioni di euro» e un livello di patrimonio netto pari a 138 milioni. Gli accordi prevedono, inoltre, la sottoscrizione di un contratto di fornitura di capacità trasmissiva di durata pluriennale tra La7 Srl e Ti Media Broadcasting. Infine, Telecom Italia è tenuta a rinunciare al momento dell’intervenuta sottoscrizione del contratto di cessione ai crediti finanziari vantati nei confronti di Ti Media per un importo complessivo pari a 100 milioni. Mentre Cairo, dal canto suo, si è impegnato a non cedere la rete tv per almeno 24 mesi.
FREQUENZE E ANTENNE
Non saranno invece vendute le frequenze digitali e le antenne di trasmissione detenute da Telecom. Il gruppo presieduto da Franco Bernabè ha dunque scommesso che i multiplex digitali abbiano più valore di quello attualmente riconosciuto dal mercato, e che se un giorno dovessero essere espropriati per mettere all’asta le frequenze, il governo dovrà riconoscere a TiMedia almeno quei 350 milioni investiti dalla società nelle frequenze e nell’infrastruttura delle piattaforme digitali.
L’Unità 05.03.13