Napoli oggi è di cenere. Un incendio durato più di tredici ore ha quasi totalmente raso al suolo Città della scienza, polo scientifico inaugurato nel 2001 e anima della sua rinascita dopo gli anni del potere doroteo. O così avrebbe dovuto essere. I 160 dipendenti che da undici mesi non percepivano lo stipendio oggi non sanno più nemmeno se e quando ricominceranno a lavorare. Di quel gioiello culturale della periferia occidentale di Napoli, oggi resta poco. Uno scheletro sul mare. Completamente distrutto lo Science center, il planetario, sei capannoni per dodicimila metri quadri e danni per oltre venti milioni di euro. Nulla sembra sopravvivere a Napoli. Mi ostino però a non credere a questa percezione. Resta il teatro, da lì bisognerà ripartire, e Corporea, cantiere fermo da tempo, l’ultima parte di museo che doveva rappresentare il corpo umano.
Chi non c’è stato, non può immaginare la bellezza di questo luogo: per descriverla bisognerebbe saccheggiare Virgilio, che di questa baia è il nume tutelare.
BAGNOLI è ai piedi della collina di Posillipo, sente l’alito della meravigliosa isola di Nisida, luogo incantevole, paradiso naturale che nessuno è riuscito a violare, nemmeno l’acciaieria — o piuttosto ciò che ne resta — che sembra ormai armonizzarsi al territorio, come archeologia industriale. Aver finora miracolosamente salvato questa zona dalla speculazione edilizia permette anche di poter leggere, attraverso Bagnoli, i capitoli dell’avventura napoletana: i sogni della città e le sue maledizioni, l’idea e il suo fallimento.
Bagnoli, Italsider, Città della scienza: territorio chiave per capire il Mezzogiorno. L’Italsider era stato il sogno di riscatto, l’idea che attraverso l’industrializzazione si potesse rilanciare il sud Italia, emanciparlo, costruire una classe operaia che acquisisse consapevolezza politica. Così un luogo meraviglioso venne trasformato in un’immensa fabbrica. L’acciaio ha bisogno di stare vicino al mare, e questa lingua di terra con il fuoco ci ha sempre avuto a che fare: con il fuoco degli altiforni. Il fuoco rovente della lega inattaccabile: l’acciaio.
Ma Bagnoli per le nuove generazioni non è l’Italsider: è il contrario. È un’area da salvare anche dai fallimenti di una sinistra finita sotto le macerie del muro di Berlino. È riappropriarsi di un territorio che secondo la storia recente di quei luoghi aveva enormi probabilità di diventare terra di conquista del cemento. Il sogno della Città della scienza sembrava essere stato realizzato perché la sua costruzione aveva sottratto quell’area alla speculazione edilizia. Lì, per la prima volta, avevo ascoltato il suono di una dinamite diversa che doveva servire a far saltare le
ciminiere e non a uccidere persone oppure a distruggere i negozi di chi non si piegava al racket.
La riconversione di quell’area sembrò davvero cambiare tutto. C’è un libro che ha raccontato questa epica del lavoro come redenzione, divenuta poi tentativo di salvare quel territorio: “La dismissione”, di Ermanno Rea. Il protagonista, Vincenzo Buonocore, è un ex operaio dell’Italsider che ha creduto nel lavoro e ha creduto nella «bellezza » di quel luogo convertito da gioiello naturalistico in acciaieria. E dinanzi alle fiamme ho pensato proprio agli ex operai dell’Italsider e a tutti coloro che avevano creduto prima nell’industria e poi nella cultura come leve per emancipare questa terra dal sottosviluppo e dal crimine. E ne sono rimasti delusi.
Un territorio che è riuscito a sopravvivere all’acciaio, alla speculazione politica, resistendo a quella edilizia, una terra che aveva costituito nella mia adolescenza il sogno realizzato di un Mezzogiorno completamente diverso da quello che avevano vissuto le generazioni precedenti, il sogno di vedere un luogo dove i bambini potevano stare vicino al mare e studiare la fisica, dove potevano giocare imparando le scienze, cosa che avevo visto fare solo in Germania. Era davvero un segno di speranza concretissima e ci aveva dato anche la percezione che una volta adulti ci saremmo realizzati non lontano dalla nostra terra. Così non è stato. Ma di quel sogno era rimasto almeno lei, la Città della scienza. Il suo museo.
Città della scienza non è però stata soltanto bellezza, un luogo dove la scienza diveniva vita. Città della scienza doveva resistere anche alle manate della politica, perché era diventata un succulento boccone delle clientele. Dall’arte alla musica tutto doveva passare sempre attraverso il filtro della politica che era per forza di cose legata ad Antonio Bassolino. Spessissimo quindi la macchina di Città della scienza è stata utilizzata come un’estensione del potere politico, e quindi scambi di favori, posti e lavoro, voti. Di tutto questo è stata vittima e di questo centinaia di persone sono testimoni. La prima grande tragedia che ha vissuto Città della scienza è stata politica e ha coinciso
con il passaggio da una politica riformista e realmente meridionalista, come provava a essere quella del primo Bassolino, alla seconda terribile parte della politica bassoliniana fatta di corporazioni, potere, scambio, sprechi.
Chi sia stato a darle fuoco solo le inchieste potranno dimostrarlo: ma certo era facile accedervi, era un luogo labirintico probabilmente difficile da monitorare. È ovvio il sospetto che possano essere state le organizzazioni criminali: la camorra ha innanzitutto un interesse nella bonifica dei territori contaminati dall’amianto a Bagnoli, l’area Eternit. Ma la camorra non ha da guadagnarci nulla direttamente, se non l’affronto, il gesto simbolico. Lì non si può realizzare il suo sogno, costruire condomini di lusso. Almeno per ora.
E allora chi è stato? Le organizzazioni criminali? Qualcuno che voleva incassare soldi delle assicurazioni e così trovare soluzione ai debiti? Ci sono anche ipotesi ancora più impervie. All’interno di Città della scienza vi era la possibilità da qualche anno di aiutare piccole imprese nella fase di
start up, di poter prendere in affitto a canoni vantaggiosi alcuni locali. Tra queste la SSRI (acronimo di Sicurezza Sistemi Reti Informatiche) un’azienda che si occupa anche di prestare consulenza alla Procura della Repubblica di Napoli. Lavoro che implica la possibilità di custodire presso il proprio ufficio e quindi presso Città della scienza, memorie fisiche sottoposte a sequestro per lo svolgimento di indagini? Qualcuno voleva forse distruggere prove? Per ora tutte queste sono solo ipotesi frutto di rabbia mentre si è asfissiati dal senso d’impotenza ben più soffocante dei fumi di ieri notte.
La verità è che Città della scienza ini-
zia a bruciare prima di questo rogo, inizia a bruciare quando non viene portata avanti la bonifica di tutta l’area. Inizia a bruciare quando la pressione politica non la fa crescere, non le permette il necessario sviluppo e la lascia incompiuta, come un bel sogno interrotto a metà. Spero che questa cenere sia elemento per ricostruire, per ricostruire meglio. Per ricostruire una città su cui nessuno può mettere le mani.
Spero insomma che questa città perennemente ferita a morte, trovi ancora una volta la forza di rialzarsi. Ma per farlo questa volta deve davvero chiudere con il suo passato più recente,
con uomini, con poteri, con aziende, figli di quella riforma diventati poi tiranni di un territorio. E allo stesso tempo deve trovare un nuovo corso non fatto di proclami ma costruito nella difficile e certosina concretezza che non porta a soluzione immediate ma a percorsi lungimiranti il cui inizio, però, non può che partire oggi. Napoli lo merita, i napoletani hanno i talenti per farlo. Sotto la cenere sta la brace ardente.
La Repubblica 06.03.13