«Che cosa succederà in Spagna e in Europa quando non ci sarà più la leva della svalutazione e l’industria tedesca con la moneta unica si imporrà dovunque grazie ai suoi enormi aumenti di produttività?» tuonava l’euro-scettico Gerard Schroeder nel 1997 contro Helmut Kohl, il grande europeista che voleva quella moneta per un’Europa federale e integrata. Sono trascorsi sedici anni, è arrivata la grande crisi dell’euro (che non passa).
Nella profonda depressione che soffoca la Grecia, nella recessione che scuote Portogallo, Grecia e Italia, i disoccupati Ue sono oltre il 12% e i debiti in pervicace ascesa nonostante la sferza costante del rigore.
Dopo responsi elettorali che regolarmente hanno bocciato i Governi in carica premiando partiti populisti, anti-europeisti o anti-sistema, la risposta a quella domanda allora tanto scandalosa non appare più così univoca e ovvia.
Certo, si potrebbe ragionevolmente affermare che, ci fosse stato ancora Kohl, la crisi non avrebbe preso la brutta piega che ha preso, la Germania non avrebbe messo in liquidazione cultura e sensibilità europee, il bilancio non si sarebbe ridotto per la prima volta nella storia del 3,5% in termini reali nell’Unione che non cresce ma la solidarietà, vera, avrebbe attenuato i contraccolpi delle necessarie cure di austerità. Salvando lo spirito di famiglia, evitando di approfondire la drammatica frattura Nord- Sud dentro l’euro e l’Europa.
La storia non si fa con i se e con i ma. A Berlino oggi regna Angela Merkel, espressione della nuova Germania riunificata, egoista, nazionalista, tronfia dei propri successi, insofferente ai “paria” del Mediterraneo. Il suo epitome è l’antagonista del cancelliere alle elezioni di settembre, l’ex-ministro socialdemocratico delle Finanze Peer Steinbrueck, che non non prova neanche a mostrarsi all’altezza della sua ambizione politica ma, forse per questo, si ritiene in diritto di scaricare insulti su due protagonisti delle elezioni italiane.
Verbali o no, le intemperanze tedesche verso il Sud purtroppo non sono nuove. Se però si vuole davvero tenere insieme l’euro, forse è venuto il momento di scrivere una carta dei diritti e dei doveri dei suoi membri. Qualcosa di più di un galateo ma meno di una Costituzione, per ora off-limits nella Ue.
I doveri dei Paesi dell’arco mediterraneo attualmente sono chiarissimi: rigore nei conti e riforme strutturali a largo spettro per recuperare competitività e crescita. Tutti li stanno rispettando, sia pure a fatica. In cambio dovrebbero aver diritto a un’iniezione di solidarietà: investimenti europei nella crescita economica collettiva e nel lavoro. Non come benevolo premio di incoraggiamento ma a indispensabile tutela dell’interesse generale alla stabilità. Perché senza una crescita solida e duratura, deficit e debiti del Sud salgono invece di scendere rendendo inutili tanti sacrifici.
Il primo dovere del Nord dovrebbe essere il rispetto reciproco, contraltare del suo diritto alla disciplina da parte di tutti i partner. Il secondo dovrebbe essere quello di riconoscere che su questa crisi ha marciato alla grande, rifinanziando il proprio debito a costo zero e sulle spalle dei partner più poveri, carburando la competitività della sua industria a danno dei concorrenti più deboli, anche grazie al differenziale dei tassi Nord-Sud e al crescente drenaggio di cervelli in fuga dalla desertificazione industriale e occupazionale di paesi tramortiti da rigore e recessione.
Il terzo dovere è quello della memoria: nel 2003, quando era il grande malato d’Europa e Schroeder diventato cancelliere lanciò il suo grande programma di riforme per guarirla, la Germania insieme alla Francia organizzò il “golpe” contro il patto di stabilità e le sue regole, nella consapevolezza che non sarebbe riuscita a fare riforme e disciplina di bilancio insieme. Quel colpo di mano è ritenuto da molti il principio degli attuali guai dell’euro. Ma perché, se i tedeschi allora non ritennero possibile fare entrambe le cose insieme, oggi le pretendono dai propri partner già strutturalmente più deboli di loro?
In un’economia sempre più integrata e interdipendente, il quarto dovere dovrebbe essere quello del graduale riequilibrio dell’abnorme deficit corrente tedesco combinato con la rinuncia al totem dell’euro forte per definizione. Entrambi i tasti restano però intoccabili a Berlino.
Questo breve (non esauriente/elenco di alcuni fondamentali diritti e doveri che dovrebbero regolare la convivenza tra europei mostra in modo evidente che nessuno ha il monopolio dei torti e delle ragioni in Europa. Per questo Nord e Sud dovrebbero sforzarsi di intendersi. Non di cannibalizzarsi economicamente e finanziariamente. E men che meno di sputare sentenze politiche dal basso di ignoranza e pregiudizi su società e sistemi democratici altrui.
In caso contrario, quel vecchio interrogativo di Schroeder finirà un giorno per trovare una sola risposta: distruttiva. Per continuare a fare sacrifici, tutti i popoli hanno bisogno di vedere una luce in fondo al tunnel dell’Europa. Altrimenti non serve biasimare i populismi che si alimentano.
Il Sole 24 Ore 01.03.13