attualità, politica italiana

"Il Pd ora pensa a un governo capace di sparigliare le carte", di Simone Collini

Esclusa l’ipotesi di Grande Coalizione con Berlusconi. Cautela anche sulle ipotesi di voto anticipato, l’onere della proposta spetta a chi ha vinto alla Camera. E adesso? Due cose sono chiare: al Senato c’è una situazione di ingovernabilità e la prima mossa per tentare di superare la situazione d’impasse spetterà al Pd, che ha preso il premio di maggioranza alla Camera. Fine. Per il resto, la confusione regna sovrana. Ed è difficile capire come si possa evitare quello che da più parti viene definito uno scenario in stile Grecia.
In campo ci sono sostanzialmente tre ipotesi. La prima: si torna a votare soltanto in un ramo del Parlamento, quello in cui è impossibile si determini una maggioranza, cioè il Senato. È un’ipotesi di scuola, ma non percorribile, tra le altre cose perché si metterebbero di traverso le forze (Pdl e Movimento 5 Stelle) che non hanno preso il premio a Montecitorio e che però hanno una nutrita pattuglia di senatori. La seconda ipotesi: la Grosse Koalition, o governo di unità nazionale, insomma un nuovo esecutivo sostenuto da Pd, Pdl e centristi. Anche questa ipotesi però non appare percorribile, stando a quanto dicono in queste ore i vertici democratici: perché è impossibile riaprire un canale di dialogo con Berlusconi dopo una campagna elettorale come questa e perché un nuovo governissimo rischierebbe di far aumentare ancora di più i consensi per Grillo, come del resto hanno dimostrato queste elezioni.
Resta una terza ipotesi, quella che in queste ore appare la più accreditata e che però arriva soltanto fino a un certo punto, quanto a chiarezza. E cioè che Bersani, leader della coalizione che ha preso il premio di maggioranza alla Camera, vada al Quirinale a fare una proposta di questo tipo: gli si dia l’incarico per formare un governo in grado di prendere la fiducia alla Camera e di tentare poi di ottenere lo stesso risultato anche al Senato. Ma il punto è: un governo per fare cosa? E qui le interpretazioni, anche all’interno dello stesso Pd, si diversificano. C’è chi sostiene che questo esecutivo dovrebbe rimanere in carica soltanto per il tempo necessario perché le forze parlamentari eleggano il nuovo Capo dello Stato (orientativamente a metà aprile) e approvino una nuova legge elettorale per poi tornare in tempi rapidi al voto (a fine giugno). E c’è chi sostiene che invece questo governo, seppur di minoranza, debba cercare di approvare le riforme necessarie al Paese cercando sui singoli punti di costruire la maggioranza anche al Senato, coinvolgendo nella discussione non soltanto il fronte moderato di Monti, ma anche i gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle. E questa è la linea che sembra intenzionato a seguire Bersani.
Non è casuale che il vicesegretario del Pd Letta, appena visto il dato che fotografava una situazione di ingovernabilità al Senato, a metà pomeriggio si fosse lasciato andare a questa battuta: «Se le cose stanno così, il prossimo Parlamento sarà ingovernabile. Si farà subito una nuova legge elettorale e si torna a votare». Salvo poi rettificare in serata: «Il ritorno al voto immediato non pare a oggi la prospettiva da perseguire e abbiamo fiducia che il Capo dello Stato possa aiutare a trovare le soluzioni migliori».
LA PROPOSTA SPETTA A CHI VINCE
Questa è la linea che sosterrà Bersani nelle prossime ore, convinto com’è che ritornare immediatamente alle urne non sia la prospettiva che può mettere l’Italia al riparo dai guai vissuti dalla Grecia. «Il centrosinistra ha vinto alla Camera e per numero di voti anche al Senato. È evidente a tutti che si apre una situazione delicatissima per il Paese», è la nota che il leader Pd fa diramare a notte fonda. «Gestiremo le responsabilità che queste elezioni ci hanno dato nell’interesse dell’Italia».
Al di là delle prospettive politiche e dell’ipotesi che si riesca a costruire delle convergenze al Senato che vadano oltre i gruppi del centrosinistra e di Scelta civica, c’è anche la Costituzione a impedire che si torni in tempi rapidi alle urne.
Tra gli elementi da tener presenti c’è che il mandato di Napolitano al Quirinale scade il 15 maggio, e che una volta insediate le Camere ed eletti i presidenti dei due rami del Parlamento, deputati e senatori dovranno procedere all’elezione del nuovo Capo dello Stato. Secondo il costituzionalista Stefano Ceccanti non si potrebbe però procedere allo scioglimento delle Camere e a nuove elezioni perché a quel punto saremmo nel semestre bianco. Non era questo il caso con questa legislatura, visto che l’articolo 88 della Costituzione recita: «Non può esercitare tale facoltà (di scioglimento, ndr) negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura». Con l’insediamento delle nuove Camere entreremmo però nella diciassettesima legislatura, e il caso sarebbe diverso. C’è allora l’ipotesi che il nuovo Capo dello Stato si insedi e proceda subito allo scioglimento? Sarebbe discutibile. E in ogni caso, prima che si vada al voto devono passare dallo scioglimento almeno 45 giorni. E a meno che il Parlamento non abbia proceduto speditamente, rischiano di non esserci i tempi per una finestra elettorale a fine giugno.
RENZI OSSERVA DA LONTANO
Nel Pd si guarda con attenzione all’eventualità di andare in tempi rapidi a nuove elezioni pensando agli interessi del Paese (in Grecia si è visto quanti danni ha provocato una situazione simile a quella che stiamo vivendo oggi) ma anche alle strategie di partito. Nel gruppo dirigente del Pd neanche si vuole discutere, in queste ore, dell’ipotesi che il risultato elettorale possa far prendere in considerazione a Bersani l’ipotesi di dimissioni anticipate (il leader del Pd aveva detto già in campagna elettorale che a prescindere dal risultato delle urne non sarebbe stato lui il segretario del partito col prossimo congresso). Però sono già in molti, dentro ma soprattutto fuori il Pd, a iniziare a dire che con Renzi vincitore alle primarie sarebbe andato in onda tutto un altro film. E anche nel fronte bersaniano si deve ammettere a denti stretti che in caso di nuove elezioni anche a breve non sarà l’attuale segretario a giocare il ruolo del candidato premier del centrosinistra.
Renzi in queste ore ha scelto di mantenere il basso profilo, rimanendo in silenzio (commenterà il risultato elettorale dopo che lo avrà fatto Bersani, hanno spiegato i suoi stretti collaboratori) e facendo filtrare soltanto un messaggio: la maggioranza, se non c’è, va ricercata e costruita. Insomma, il sindaco di Firenze ostenta calma e si guarda bene dal dare l’impressione di fremere per andare alla sfida elettorale. Ma anche questa, nelle prossime ore, è una questione che il gruppo dirigente del Pd dovrà affrontare.

L’Unità 26.02.13

1 Commento

I commenti sono chiusi.