Il quadro che esce dal voto è a tinte fosche. Sembrano scomparire, oggi ma forse anche n el futuro prossimo, le risorse civiche indispensabili per affrontare le grandi emergenze storiche. Con il 30 per cento dei voti al Senato e con il 27 per cento alla Camera, Berlusconi appare come il Cavaliere dell’ingovernabilità. Fa ovunque il pieno dei consensi rimasti fedeli alla destra e approfitta in qualche modo del successo dell’antipolitica di Grillo per imporre una drammatica cura dimagrante alla sinistra.
È cresciuta in fretta un’onda anomala imprevedibile nelle sue dimensioni che vede un Paese (ancora?) europeo dividersi tristemente tra chi aspetta il postino con l’assegno dell’Imu e chi attende i mille euro al mese come suo agognato reddito di cittadinanza. Dopo il tecnico è tornato il comico e promette sfaceli per la tenuta della democrazia parlamentare. Tutti hanno dimenticato in gran fretta le colpe della destra per il disastro del Paese e hanno cancellato d’incanto le indelebili responsabilità del Cavaliere nella catastrofe economica.
L’immagine simbolo di questa campagna elettorale rimane quella di Berlusconi che con il fazzoletto immacolato pulisce la sedia di Travaglio. Non era affatto un gesto di disprezzo contro un suo inflessibile censore, era semmai a suo modo un atto di riconoscimento e di tributo. Proprio in quella trasmissione cominciò la sua vistosa rimonta nei sondaggi. Anche alla grande campagna mediatica
favorevole a Grillo, il Cavaliere deve guardare per sempre con un immenso senso di riconoscenza.
Una rivoluzione passiva, questo è stato il capolavoro architettato con astuzia da Berlusconi che ha saputo far lavorareperluianchegli avversari più indomiti. Ha utilizzato il clima infamante da anni imperante contro la «casta» e i suoi misfatti, e l’ordine di resa intimato da Grillo a tutto il ceto politico, per piegare le residue resistenze del centrosinistra. E così, nella riesumazione dell’eterna
battaglia tra politica e antipolitica, il dramma è stato consumato. La rivolta contro i partiti del malaffare e il grido incontenibile di dolore contro i privilegi della rappresentanza politica hanno riconsegnato un ruolo di primo piano a un Berlusconi il cui semplice ricordo turba i sogni di tutte le più influenti cancellerie europee.
Con l’inopinata riapparizione del Cavaliere, favorita ancora una volta dall’egemonia conquistata dal lessico dell’antipolitica contro cui la politica non sa adattare strategie efficaci di contenimento, l’Italia mostra di non essere più una nazione moderna, in grado di governare il proprio destino. Ha fatto fallimento la capacità delle élite dell’innovazione di raggiungere un seguito di massa in un Paese che vede una maggiore frantumazione dell’offerta politica marciare insieme alla polarizzazione delle scelte, che viene riconquistata attorno all’asse politica-antipolitica.
Berlusconi per un verso, almeno alla Camera, rischia anche lui di essere catturato dalla morsa della frantumazione dell’offerta elettorale che vede Grillo su percentuali molto alte e secondo alcune proiezioni strappa il secondo posto. Per un altro, con delle opzioni polarizzanti (fisco, Imu) riesce ad attirare attenzione e nuovi investimenti di senso.
Le elezioni si sono svolte attorno a due linee di frattura principali. La prima è quella vecchio-nuovo, politica-antipolitica, società civile-casta, protesta-istituzioni. E qui Berlusconi riesce, se non a sfondare come ai bei tempi, almeno a contenere i danni, perché non è su questo piano scivoloso che egli può soffrire la concorrenza. La seconda linea di divisione è stata quella giocata sul fisco, sul rigore, sugli imperativi ferrei dell’euro. E proprio qui il Cavaliere, come «cappellaio matto» che gioca beffardamente sulla pelle del Paese, con le sue proposte assurde ha trovato ancora il modo di incantare una società in disarmo. Berlusconi torna a creare scompiglio e ad allarmare il mondo. E l’Italia non è più una nazione credibile dopo il crollo delle élite dell’economia, dei media, della politica.
L’Unità 26.02.13