Il Governo mette a rischio l’ente di ricerca per gli alimenti e la nutrizione. L’Inran
è stato sciolto con la rozza spending review a luglio dell’anno scorso, e collocato presso l’ente di ricerca per l’agricoltura (Cra), ma la norma era scritta male e si dovuto modificarla con la successiva legge di stabilità, rinviando l’attuazione ad un decreto ministeriale che ancora non è stato emanato. Da circa 8 mesi, quindi, l’attività di ricerca è paralizzata, oltre 200 ricercatori non possono lavorare, da marzo rischiano di non ricevere Io stipendio e anche di perdere importanti progetti europei. L’Istituto si occupa di ricerche di grande interesse sociale: 1) l’influenza delle tecniche di coltivazione, di conservazione e trasformazione sulla qualità nutrizionale degli alimenti; 2) gli effetti sulla salute per la prevenzione delle malattie, anche a livello del genoma, con studi di frontiera a livello internazionale; 3) l’analisi dei consumi e l’educazione alimentare; quest’ultima competenza è stata appositamente ignorata dalla Gelmini che ha affidato alle industrie del settore, in evidente conflitto di interesse, la consulenza nelle scuole pubbliche. In tutti i Paesi civili, invece, gli istituti di ricerca per la nutrizione sono chiamati a garantire valutazioni indipendenti dai produttori, a suggerire terapie per le patologie sociali come l’obesità e a promuovere interventi per migliorare la qualità del cibo. Se non esistesse da quasi 80 anni un Istituto così bisognerebbe inventarlo. Soprattutto nel Paese della dieta mediterranea che proprio nella sua civiltà alimentare potrebbe realizzare un brand di successo, come si era impegnato a fare con la prossima Expo milanese. Ma queste considerazioni non hanno neppure sfiorato le menti dei sapientoni che hanno motivato l’accorpamento col rigore della spesa pubblica. Che si possa risparmiare con queste sciabolate è un falso inventato da Tremonti e prolungato dal suo sodale Grilli, cioè dai massimi responsabili della crescita della spesa pubblica negli anni Duemila. Infatti, l’Inran si è portato dietro tutti i costi precedenti senza poter ottenere alcun risparmio dall’integrazione, perché le attività del Cra sono molto diverse. Anzi, la paralisi dell’attività di ricerca rischia di far perdere importanti finanziamenti che l’Ue renderà disponibili per un progetto strategico sul rapporto tra nutrizione e salute. Non solo, l’operazione serve a mettere polvere sotto il tappeto. Nel trasferimento, infatti, non sono stati allocati i fondi per gli stipendi, i quali però dovranno essere pagati in virtù delle leggi esistenti e di conseguenza spetterà al nuovo governo trovare i soldi necessari. La polvere riguarda anche il taglio del 90% delle borse di studio nascosto da Profumo, i fondi per il personale degli atenei e per i bandi del Prin, per circa un miliardo di curo solo nel campo della ricerca. La vicenda dell’Inran, quindi, non solo mortifica un’eccellenza italiana, ma è anche emblematica di un miope metodo di governo: nessuna attenzione alla qualità delle politiche pubbliche, tagli che peggiorano il bilancio statale e tanta sicumera priva di meriti. Molti errori si potevano evitare se avessero dato ascolto al dibattito parlamentare senza ricorrere al voto di fiducia. Per Monti questo è il riformismo innovativo, ma assomiglia alla vecchia politica. Spetterà al Pd puntare su ciò che non si è mai fatto prima: la scienza come risorsa per la società, la qualificazione della spesa pubblica, il lavoro appassionato dei ricercatori. Ne riparleremo anche dopo le elezioni. Intanto, però, chiediamo di risolvere la situazione dell’Inran. Abbiamo telefonato al ministro Catania, ma non ci ha risposto perché è impegnato nella campagna elettorale dell’Udc. Ora è finita e speriamo possa dedicarsi a trovare i soldi per gli stipendi e per finanziare la ricerca. Sono pur sempre i doveri di un tecnico al governo.
L’Unità 23.02.13