attualità, politica italiana

"Se all’estero l’Italia resta un rompicapo", di Cesare Martinetti

Berlusconi è come Houdini, un «illusionista», scrive il quotidiano israeliano «Yediot Ahronot». Grillo invece è certamente l’uomo «più divertente d’Italia» ma anche un «estremista molto pericoloso» sentenzia il «Financial Times». Gli stranieri che con sprezzo del pericolo osservano da vicino le elezioni italiane oscillano tra questi due interrogativi: ma davvero Berlusconi può tornare al governo?
E l’altro: Grillo chi? Un comico? La risposta alla prima domanda è un’invocazione: no, please. Alla seconda, lo sgomento: com’è possibile?
Ecco, ci risiamo con l’Italia rompicapo, una politica incomprensibile per chi è abituato a schieramenti chiari, due, tre partiti al massimo, una lotta politica che si fa sui contenuti dei programmi, un confronto tra leader che avviene in pubblico, faccia a faccia in televisione, candidati premier che se perdono si ritirano. Tutti molto più giovani dei nostri. Obama (52 anni) ha battuto a novembre Mitt Romney che ne aveva 65, François Hollande (58 anni) ha superato l’anno scorso Nicolas Sarkozy (57). A Londra David Cameron, premier britannico, è entrato al numero 10 di Downing street a 44 anni. Angela Merkel è diventata la prima cancelliera donna della Bundesrepublik a 51 anni.

E invece, ai poveri stranieri che vogliono osservare le cose italiane tocca quest’anno un supplemento di supplizio: ancora non tutti hanno capito il fenomeno Berlusconi e già bisogna cimentarsi su un nuovo enigma italiano, Grillo.

Lizzy Davies, inviata del «Guardian» di Londra, ha fatto un reportage nell’enigma viaggiando nel cuore dell’Emilia e la conclusione è piuttosto ragionevole: chi vota Grillo vuole «facce nuove e spera in una nuova politica». «Le Monde» definisce oggi Grillo il «saltimbanco che spariglia il gioco». Il corrispondente da Roma Philippe Ridet si lascia suggestionare dalle movenze dell’attore: «…a 64 anni appare come l’uomo solo che lotta contro una classe politica chiusa e blindata e sembra un Nettuno in giaccone bianco che sfida gli elementi».

In America, dove il gioco si fa duro, i toni sono decisamente più radicali: Roma brucerà, l’Italia intera farà la fine della Venezia dei dogi. Sulle televisioni straniere, a differenza delle nostre, Grillo si concede, alla Cnbc, per esempio, e annuncia la rivoluzione imminente. Il commento della Reuters è che, se queste sono le premesse, «Roma brucerà indipendentemente dai risultati elettorali, perché nessuno avrà il coraggio di affrontare i mali all’origine della crisi che ha fatto dell’Italia un’economia debole».

A conti fatti Grillo risulta più facilmente decrittabile di Berlusconi: uno è la rivolta, ma l’altro vent’anni dopo la sua scesa in campo? Il «New York Times» scrive senza mezzi termini che un successo del Cavaliere sarebbe «un disastro per l’Italia» specie se dovesse risultare il «kingmaker» pronto a negoziare l’appoggio al governo per proteggere le sue aziende e i suoi interessi personali.

Come spiegare a chi ha un sistema elettorale elementare che invece da noi ci si è operosamente accaniti nel renderlo non solo incomprensibile, iniquo, ma soprattutto paralizzante? È in questa trappola che è finito anche Mario Monti, uno che invece agli stranieri era risultato comprensibilissimo, e non solo perché parla ottimamente inglese, francese e tedesco. Mai un premier italiano aveva ottenuto l’unanimità di Monti al momento dell’investitura. Ma il professore ha indebolito in questa campagna elettorale il suo capitale e, riconosceva ieri un quotidiano certamente amico come il «New York Times», non è riuscito neppure a convincere gli elettori italiani.

Può – agli occhi di uno straniero – un uomo come Monti che gode della stima unanime dei leader del G20 battersi con affanno per arrivare al 10 per cento? È in questa anomalia che, evidentemente per forzare i toni della giungla elettorale, il professore ha fatto ieri sera un’infelice battuta sulla Merkel dicendo di dubitare che la Cancelliera «voglia che un partito della sinistra vada al governo in un grande paese dell’Unione europea». In sé, è un’ovvietà, perché frau Merkel è una politica di destra e non si augura mai la vittoria della sinistra. Ma attribuire un giudizio ad un capo di governo straniero per farne un uso interno (indebolire Bersani, un avversario) esce dal galateo internazionale e consegna Monti alla tradizione enigmatica e indecifrabile della politica italiana.

La stampa 21.02.13