A leggere alcuni interventi sul preside elettivo, così come si è sviluppato in queste settimane su ScuolaOggi, ci si imbatte in una strana idea di scuola e di democrazia nei ragionamenti di quanti tentano di riproporre la questione (che, in verità, da un po’ non faceva capolino nel dibattito sulla scuola. E in effetti si avvertiva la mancanza, soprattutto in questi tempi).
L’idea sottesa ai discorsi dei “favorevoli” sembra essere quella che la scuola non sia una istituzione della nostra repubblica, ma appartenga agli insegnanti.
Una idea decisamente stravagante.
Né valgono, sull’argomento, i confronti con l’università o addirittura con la magistratura o con altre istituzioni. Troppo diverse ne sono le missioni e la loro collocazione nell’impalcatura statuale.
(C’è una frase di Morin, in La testa ben fatta, che riassume bene il punto di vista che qui si vuole rappresentare; suona grosso modo così”: La scuola è troppo importante per lasciarla solo nelle mani di chi la fa.)
Né può valere al riguardo il confronto con altri paesi europei dove il preside è elettivo (pochi in verità e non in tutti i “gradi”); soprattutto perché si tende a dimenticare che, in genere, il ruolo delle munipalità, in queste realtà, ha più gioco che non le preferenze degli insegnanti e che, comunque, l’organizzazione ha peculiarità che da noi non si danno.
Si vuole ignorare, nei ragionamenti dei “favorevoli”, che la figura del dirigente nella nostra legislazione è sì figura della articolata comunità scolastica – e in quanto tale ne coglie bisogni ed attese e se ne fa portavoce -; ma è anche figura istituzionale; nel senso che è chiamata a garantire l’unitarietà del sistema e l’attenzione ai principi costituzionali di eguaglianza ed equità sociale in fatto di istruzione e formazione.
L’idea della ‘elettività’ proposta si fonda, tra l’altro, su un equivoco: che si possa cioè dirigere una scuola – soprattuto con il passaggio all’autonomia e con i nuovi dimensionamenti (ma non solo) – senza competenze specifiche e complesse (da quelle relazionali e didattico-organizzative a quelle amministrative e gestionali, ecc.), che, solo per qualche e modesto tratto, appartengono alla figura docente. Competenze per la cui formazione si richiede una preparazione specifica e una specifica modalità di selezione.
In realtà, questa proposta del preside elettivo, per come viene ricucinata appare piuttosto come un diversivo di cui nessuno sente il bisogno (immaginate, se avete voglia di esercitarvi con idee eccitanti di futuro, i cambiamenti legislativi di non poco peso da mettere in campo, le situazioni di fatto con cui fare i conti, i problemi di una transizione che non può che essere lunga).
Non riuscendo comunque a capire cosa c’entri in questo caso la democrazia con la elettività del capo di istituto, mi piace pensare, sull’argomento dissotterato, ad altre ragioni inespresse e probabilmente sottese, ma forse più reali.
Le ragioni che vengono in mente potrebbero ad esempio riguardare un certo modo di interpretare il proprio ruolo, da parte di alcuni dirigenti, che può sollevare dubbi e problemi a chi ha una visione democratica del fare scuola; fondata cioè sul coinvolgimento, sul “contare” di più, sull’essere co-protagonisti nelle scelte e nelle pratiche che hanno più valore.
E qui i riferimenti potrebbero essere a concezioni della dirigenza scolastica, diciamo così, monocratiche (“il capo sono io e comando io”); o anche a certe visioni manageriali, molto centrate su gestioni dirigistiche e traguardi rigidamente intesi, e poco sulla partecipazione e l’attenzione ai processi; o ad altre ancora.
Se il discorso diventa questo – possibili visioni sbagliate o inadeguate del proprio ruolo e della propria funzione, da parte di aree dei dirigenti, rispetto ad una idea di scuola democratica e responsabile – allora sì che la questione potrebbe avere un suo senso. E potrebbe valere la pena approfondire.
Soprattutto se legata al dibattito sulla leadership nel mondo della scuola e sulla valorizzazione della figura dell’”insegnante non solo insegnante” (che è poi quella che fa la differenza anche oggi – il valore aggiunto più consistente – sul fronte della qualità del funzionamento delle scuole).
Le scuole che funzionano meglio – e garantiscono una maggiore continuità nella qualità della gestione – non sono forse quelle dove si tende a realizzare una leadership a cui concorrono, da protagonisti – una pluralità di soggetti (dai collaboratori del DS alle figure di presidio di settori strategici del fare scuola – funzioni strumentali e altre -, dai coordinatori dei dipartimenti disciplinari ai coordinatori delle classi….)?
Se allora l’intento degli ‘interventi a favore’ è quello di far diventare l’insegnante più protagonista riconosciuto (e sottolineo: riconosciuto) nel funzionamento complessivo della scuola, se, cioè, la visione che si ha in mente è quella di una leadership democratica, “distribuita” – come si dice -, allora il terreno di ricerca e di sperimentazione non può che essere comune a quanti vogliono uscire dall’attuale declino del nostro sistema di istruzione.
Anche perché potrebbe ben intrecciarsi con il tema della conseguente rivisitazione del profilo dirigente nella scuola.
Personalmente è questo di cui avverto il bisogno e l’urgenza.
Per la prossima legislatura, coltiviamo speranze. Come Sergio Endrigo la “rosa bianca”.
da ScuolaOggi 21.02.13