Saranno al massimo 6.417 a Taranto, 23 a Torino, 67 a Patrica (Frosinone) e 39 a Legnaro (Padova). Per tutti è stata chiesta la cassa integrazione straordinaria per due anni (a rotazione e a partire dal 3 marzo) per consentire all’Ilva di mettere a punto il risanamento ambientale previsto dall’Autorizzazione integrata.
L’annuncio è di ieri. I vertici dello stabilimento siderurgico hanno fatto due conti sulla produzione partendo «dall’assetto di marcia degli impianti nel corso della ristrutturazione». Risultato: si produrranno ogni giorno circa 18 mila tonnellate di acciaio nel periodo di fermata dell’altoforno 1. Circa 10 mila, invece, quando saranno fermi contemporaneamente gli altiforni 5 ed 1. Numeri decisamente inferiori alle 30 mila tonnellate al giorno realizzabili «in pieno assetto produttivo» e che giustificano, secondo l’azienda, il ricorso a una cassa integrazione così estesa.
Ed è proprio l’estensione dei lavoratori coinvolti il primo dei punti criticati dai sindacati di categoria, tutti concordi nel trovarli «esagerati». Donato Stefanelli, segretario generale della Fiom- Cgil di Taranto, mette in discussione lo strumento stesso della casa integrazione: «Non siamo d’accordo perché prima di parlare di ammortizzatori, l’Ilva deve dare conto del piano industriale e del piano di investimenti» dice. Cosimo Panarelli, segretario della Fim-Cisl tarantina parla di «numeri elevati, eccessivi». E aggiunge: «Vero che l’Ilva ci dice che quelle sono le cifre massime e quindi i cassintegrati potranno essere anche meno, però restano comunque imponenti». «Numeri eccessivi» anche per il segretario provinciale Uilm, Antonio Talò. Che annuncia di voler lavorare su tre punti chiave: ridurre drasticamente quella cifra («è ragionevole pensare alla metà»), garantire una «rotazione vera che divida il disagio fra i lavoratori» e trovare «una integrazione di sostegno al reddito» per gli operai coinvolti. «O si ragiona su queste tre cose o l’azienda non avrà il nostro appoggio» promette Talò che rappresenta circa 3.200 tesserati (il sindacato con più iscritti) nello stabilimento, dove oggi risultano assunti in 11.457.
Del futuro dei lavoratori alla luce dell’annuncio Ilva di ieri, i sindacati discuteranno in un incontro previsto per domani al ministero del Lavoro, appuntamento fissato inizialmente con un altro ordine del giorno ma che non potrà non tener conto degli sviluppi delle ultime ore. Non ultimo l’investimento che l’azienda della famiglia Riva annuncia di voler mettere sul piatto della bilancia nel suo piano di ristrutturazione aziendale, due miliardi 250 milioni di euro. E si chiederanno garanzie anche su un altro dettaglio messo a fuoco dalla stessa Ilva ieri: alla fine di questa cassa integrazione non ci sarà «nessun esubero di natura strutturale». Cioè non ci saranno licenziamenti, assicurano i vertici aziendali, certi che «si perverrà gradualmente ai livelli produttivi programmati e al richiamo in attività di tutto il personale sospeso».
Tutto questo mentre sono quanto mai aperti i tanti fronti giudiziari sul caso Ilva, sotto accusa per disastro ambientale. L’ultimo riguarda la vendita dei prodotti finiti e semilavorati che la procura aveva sequestrato il 26 novembre scorso. I quattro custodi giudiziari dei beni (un miliardo e 700 mila tonnellate) sono stati incaricati di venderli per evitarne il deterioramento ma l’incasso della vendita (dagli 800 milioni al miliardo) rimarrà, secondo la disposizione del giudice delle indagini preliminari Patrizia Todisco, sotto sequestro.
E c’è un possibile nuovo terreno di scontro fra l’Ilva e i magistrati di Taranto. Nei giorni scorsi gli avvocati dello stabilimento hanno presentato alla procura generale della Cassazione e al ministero di Grazia e Giustizia una segnalazione per far presente a Roma «forti anomalie» che riguardano il Tribunale del Riesame di Taranto. In pratica è la contestazione per alcune decisioni prese nei mesi scorsi ma senza nessuna richiesta specifica di intervento, anche se i legali sanno benissimo che una segnalazione come quella, di solito, è l’anticamera di un’ispezione ministeriale.
Il Corriere della Sera 20.02.13