La Corte europea dei diritti umani, decidendo un ricorso contro l’Austria, ha chiarito, con un’importante sentenza definitiva, alcuni aspetti dei problemi che sono discussi in materia di unioni omosessuali. La Corte, come d’abitudine, ha giudicato un caso concreto ma ha anche fatto il punto indicando alcuni principi tratti dalla Convenzione europea dei diritti umani. Convenzione che lega tutti i Paesi del Consiglio d’Europa, Italia compresa. Nei principi affermati non si tratta di una sentenza innovativa, ma anzi essa conferma e sviluppa posizioni ormai stabilizzate nella sua giurisprudenza: giurisprudenza che, come ha più volte affermato la Corte costituzionale italiana, esprime il contenuto dei vari diritti considerati dalla Convenzione che l’Italia si è obbligata a rispettare.
Il caso riguardava una coppia omosessuale stabilmente unita. Una delle due donne aveva un figlio, nato da una precedente relazione non matrimoniale con un uomo. Il figlio viveva affidato in via esclusiva alla madre, ma teneva contatti con il padre. La compagna chiedeva di poter adottare quel bambino, così da sottolineare il suo inserimento nella vita familiare instauratasi tra le due donne. Il padre del bambino si opponeva. La legge austriaca permette l’adozione congiunta da parte di persone non sposate, conviventi eterosessuali. L’adozione, mentre crea un legame genitoriale con l’adottante, fa cessare quello con il genitore biologico dello stesso sesso dell’adottante. Nel caso sottoposto alla Corte europea dopo il rifiuto opposto dai giudici austriaci, l’adozione richiesta dalle due donne congiuntamente, secondo la legge austriaca, fermo rimanendo il rapporto con il padre, avrebbe fatto cessare il rapporto giuridico tra il bambino e sua madre: conseguenza evidentemente per tutti inaccettabile, perché in contrasto con l’interesse del bambino ed anche con lo scopo che muoveva le due donne ormai stabilmente unite.
La Corte ha ritenuto che il rifiuto dell’adozione richiesta sia stato motivato esclusivamente sulla base del fatto che si trattava di coppia omosessuale. Tale argomento preliminare aveva escluso la necessità di esaminare nel caso concreto se quell’adozione fosse o meno nell’interesse del bambino (criterio sempre prevalente nelle procedure di adozione), in un caso in cui il padre era comunque attento a mantenere un rapporto con il figlio e si opponeva alla richiesta adozione. La Corte ha ragionato sulla base del principio di non discriminazione, affermato dalla Convenzione anche a proposito delle differenze di orientamento sessuale e ha constatato che la domanda di adozione era stata respinta solo per il differente trattamento che la legge austriaca riserva alle coppie omosessuali rispetto alle coppie eterosessuali (entrambe non unite in matrimonio). Donde la violazione del diritto al rispetto delle scelte di ordine familiare, che la Convenzione assicura a tutti, senza alcuna distinzione.
La Corte non ha detto che quell’adozione doveva essere accettata dai giudici austriaci; ha soltanto constatato che il rifiuto era stato motivato esclusivamente sulla base di un argomento discriminatorio, astratto e generale, legato all’orientamento omosessuale della coppia che quell’adozione richiedeva. Nel caso concreto, tenendo conto di tutte le circostanze, i giudici, come avviene per le adozioni da parte di coppie eterosessuali, avrebbero dovuto esaminare se quell’adozione era o non era nell’interesse del bambino e conseguentemente se l’opposizione del padre era o non era da superare.
Il caso a questo punto può interessare solo marginalmente, perché alla fine su quella adozione decideranno i giudici austriaci valutando il preminente interesse del bambino nel contesto specifico in cui vive. Ma l’occasione ha offerto alla Corte la possibilità di mettere in chiaro alcuni principi di ordine generale. Innanzitutto la Corte ha ricordato quanto già in precedenza affermato, che le stabili convivenze di fatto, etero o omosessuali, costituiscono una situazione di vita familiare che richiede di essere rispettata dalle leggi e dai giudici dello Stato. La Corte costituzionale italiana ha in proposito parlato di formazione sociale che merita rispetto e tutela. Ciò però non vuol dire che gli Stati siano obbligati ad ammettere nella loro legislazione anche il matrimonio omosessuale. Altre forme di riconoscimento delle unioni di fatto, etero o omosessuali, sono possibili e idonee a tutelare le esigenze di carattere personale e familiare di coloro che le compongono. E quelle forme, comunque si chiamino nella legislazione degli Stati, possono offrire alle unioni di fatto una regolamentazione diversa e più ristretta di quella conseguente al matrimonio; lo Stato ha una certa discrezionalità nel scegliere il contenuto della regolamentazione (in particolare per quanto riguarda la possibilità di adottare), con il limite generale della ragionevolezza. Ma si tratta di soluzioni per riconoscere e tutelare la vita familiare delle coppie di fatto, che non possono essere diverse a seconda che si tratti di unioni etero o omosessuali. Una diversità di trattamento – come nel caso austriaco giudicato dalla Corte – sarebbe discriminatoria per ragioni di orientamento sessuale e contrario alla Convenzione. La Corte ha constatato che la maggior parte dei dieci Stati europei che ammettono le coppie di fatto all’adozione congiunta, non distingue tra coppie etero e coppie omosessuali e ne ha tratto argomento per negare che vi sia un significativo consenso europeo che giustifichi la discriminazione.
Ai principi enunciati dalla Corte europea possono naturalmente e in vario senso essere opposte ragioni di dissenso. Non può però negarsi che il quadro complessivo si presenta articolato ed equilibrato. Lascia spazio a scelte legislative diverse nei vari Stati, cui impone solo di riconoscere legislativamente la realtà delle coppie di fatto etero e omosessuali, ammettere che esse danno corpo a una vita di famiglia che va rispettata e non imporre un trattamento diverso (discriminatorio) alle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali.
Il Parlamento italiano, nella nuova composizione che attendiamo, avrà di fronte a sé diverse opzioni possibili per adeguarsi ai principi europei che è tenuto a rispettare. Ciò che non gli è permesso è perseverare nell’inerzia.
La Stampa 20.02.13