Riprendere la voce per evitare la catastrofe. Alberto Asor Rosa in realtà la sua voce e la sua penna non ha mai cessato di usarle, e oggi crede fermamente che si debba «fare di tutto, con tutte le forze, a tutti i costi, perché il centrosinistra esca dal voto con una maggioranza autosufficiente».
Quale scenario vede? Il centro studi di Mediobanca parla di un nuovo ritorno alle urne, stile Grecia. È questo?
«Quanto alle previsioni non so, faccio riferimento a impressioni che si possono avere in superficie da ciò che si legge sui giornali e si vede in televisione. È chiaro che un eventuale ritorno al voto sarebbe una catastrofe e non è da escludere ma bisogna fare di tutto per evitarlo. Questo è uno dei motivi del nostro appello che sono scritti esplicitamente nel testo. Il ritorno alle urne rappresenterebbe l’ingresso dell’Italia nella fase più oscura della sua storia».
Perciò gli intellettuali sono usciti dal silenzio? Lei ha lanciato la Piattaforma Toscana per la difesa del paesaggio e dell’ambiente e Rodotà la Commissione sui beni comuni, la giustizia e il reddito di cittadinanza.
«Le cose fatte da Stefano Rodotà e da me, insieme ad altri, con la costituzione di una rete di comitati per la difesa del territorio appartengono ad una medesima sfera, una sfera diciamo extra istituzionale cresciuta negli ultimi anni anche in considerazione del fatto che la sfera istituzionale, la sfera dei partiti, è risultata in gran parte impenetrabile da quest’altro mondo. In questa nuova sfera le divisioni partitiche e di voto contano poco e non a caso si è parlato di società civile che si autorganizza. Sono stato invitato venerdì scorso al Teatro Valle da Rodotà e ci sono molti punti di contatto tra ciò che stiamo facendo perciò ho preso l’impegno a rivederci presto. Ciò non impedisce ad alcuni di noi io e Rodotà ma anche Piero Bevilacqua e gli altri che hanno sottoscritto l’appello di pronunciarci anche sulla politica partitica e istituzionale invece di rimanere silenziosi su questo». Lei non ha mai rinunciato a essere molto critico verso il centrosinistra e verso il suo maggiore partito, che cosa è cambiato?
«Su questo devo rispondere per me anche se cerco di interpretare anche il pensiero degli altri che hanno aderito all’appello al voto per il centrosinistra. Sono persuaso che nessuno intenda sottoscrivere toto corde la politica e gli orientamenti delle formazioni che costituiscono il centrosinistra, per intenderci né il Pd né Sel. Il nostro ragionamento non è un’apertura di credito illimitata. È la sottolineatura dell’urgenza di una scelta che renda possibile aprire le porte a una discussione complessiva degli assetti del centrosinistra italiano nel suo complesso. È la scelta di una strada per riaprire una discussione che oltre al Pd e a Sel riguardi anche i tanti movimenti che agiscono nella realtà sociale del Paese».
Parla di «Cambiare Si Può»? A chi non vuole andare a votare? A chi vi rivolgete?
«Cambiare Si Può è uno dei movimenti, ce ne sono anche altri che si battono per la difesa dei territori, per cause di diritto, nella grande battaglia per l’acqua bene comune. C’è un universo complesso, che si vede ma che non è rappresentato, perché le forze politiche non lo hanno saputo cogliere. Vincere le elezioni per me, per noi, potrebbe significare riaprire un discorso strategico di più vasta portata. L’appello si rivolge alla cittadinanza nel suo complesso». Si rivolge anche agli elettori di Grillo? «I firmatari scartano come prodromica alla catastrofe di cui parlavo all’inizio una affermazione di Grillo. Distinguerei però la predica del populismo insurrezionale dalla massa dei consensi che in questo momento riceve perché i partiti “tradizionali” non hanno saputo raccogliere lo spirito che la anima o perché identificati con un debito istituzionale. Si può lavorare in questo senso e con l’appello ci siamo rivolti anche a coloro che tra demotivazione e protesta non vedono un’altra strada rispetto al catastrofismo grillino». Siamo tornati a declinare il concetto di catastrofe. Negli anni scorsi lei parlava soprattutto di «potere affaristico-delinquenziale». È ancora il protagonista di ciò che rischiamo?
«Ne è una delle componenti. La decadenza italiana ha prodotto effetti a grappolo. Uno che emerge di continuo dalle procure è rappresentato dalla rottura diffusa di ogni regola sia etica sia politico-istituzionale. Anche per questo c’è bisogno di reagire con una fase di buon governo».
Rischia ancora la dissolvenza il nostro sistema democratico?
«Queste elezioni sono un passaggio decisivo per questa parte della vicenda. Direi che queste votazioni tendono a determinare con esattezza se andremo ancor più verso la dissolvenza del sistema politico-istituzionale italiano e in buona sostanza della democrazia o se riusciremo a fare il giro di boa attorno all’ostacolo. Vorrei aggiungere una cosa».
Cosa?
«Sarei moderato sugli obiettivi da raggiungere. Quello che si può sperare di conseguire non è un grande successo ma un’inversione di rotta. Che può avviare, con forza di volontà e attenzione, un processo di mutamento della realtà politica e istituzionale. Il voto non è un punto d’arrivo ma di partenza».
L’Unità 19.02.13
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Bersani: «Con Grillo e Pdl si va alla deriva» Il leader Pd contro le sparate dell’ex comico: «È antipolitica, come tutti i populismi è di destra». Renzi contro Ingroia: «Tradisce i giudici perbene. In Guatemala hanno stappato champagne», di Simone Collini
C’è una cosa, dei sondaggi che continuano a ricevere, che li preoccupa. Non sono le intenzioni di voto degli elettori di Lombardia e Sicilia, anzi. Né è la possibile rimonta di Berlusconi, che nonostante i suoi annunci di «sorpasso» si è da tempo arrestata. Ciò a cui i vertici del Pd guardano con molta attenzione è il dato degli indecisi. E a come modificandosi questo, si modifichi la percentuale di possibili consensi per Beppe Grillo. Il timore è che una fetta consistente di elettori delusi dalla politica opti non per l’astensione ma per il voto di protesta. Non a caso, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, la strategia comunicativa in parte avrà una correzione e si intensificherà l’offensiva nei confronti delle «sparate» del comico genovese.
Muovendosi tra Gioia Tauro, Vibo Valentia e Cosenza, Pier Luigi Bersani ne dà una prima dimostrazione, parlando sì del fallimento della destra alla prova del governo, dei danni provocati soprattutto nel Mezzogiorno da un ventennio di Berluscon-leghismo, della totale mancanza di credibilità dell’ex premier, ma mettendo in guardia anche dal pericolo rappresentato dalle tesi propinate di piazza in piazza da Grillo. «Io capisco le ragioni di tanta gente che è arrabbiata, ma questa gente non puoi prenderla in giro», dice il leader del Pd, accusando il leader del Movimento 5 Stelle di voler lucrare sulla sfiducia e anche disperazione che investe tanti per arrivare a una situazione di instabilità e ingovernabilità. «Grillo è uno che non ha mai risposto ad una domanda in vita sua e questo ci porterebbe fuori dalle democrazie, è uno che tranquillamente dice via dall’euro, non paghiamo i debiti, mille euro a tutti per tre anni, e questo ci porta verso la Grecia». E ancora: «Chi ha i soldi, chi è miliardario, può anche vincere sulle macerie, ma la gente normale non può essere presa in giro. Io dico che ci vuole un governo di cambiamento, ma un governo ci vuole. Non si possono invocare le macerie». E poi, visto che da diversi studi è emerso che una quota di elettori di M5S viene da sinistra, il leader del Pd dedica questo passaggio alla questione della collocazione politica di Grillo: «È antipolitica, che come tutti i populismi finisce sempre a destra».
Che non si tratti di un semplice sfogo di Bersani ma di una strategia precisa lo dice il fatto che anche il resto del gruppo dirigente del Pd va all’attacco del comico. Compreso Matteo Renzi, che ironizza sul nome e sull’annullamento dell’intervista a Sky dicendo: «Più che Grillo mi sembra un coniglio, per aver deciso di non andare in tv».
Il sindaco di Firenze, che domani parteciperà con Bersani e Rosario Crocetta a un’iniziativa elettorale a Palermo, non nega che su alcune questioni Grillo abbia «ragione», però sottolinea subito dopo che «il suo metodo non è democratico». Dice Renzi, che non risparmia bordate a Ingroia perché «tradisce il lavoro di tanti giudici perbene» («in Guatemala quando se n’è andato hanno stappato una bottiglia di quello buono») e ha dato vita a «una lista di collocamento dei leader falliti della sinistra»: «Non mi stupirei se Grillo fosse il terzo o addirittura il secondo partito alle prossime elezioni, ma il voto a Grillo mette a posto la coscienza non il Paese».
IL PATTO CON I CITTADINI
Per mettere a posto il Paese o, come dice Bersani, per «aggiustare l’Italia», servono quello che il leader del Pd definisce «un governo da combattimento», e anche «serietà e verità, non le favole che da più parti continuano a propinarci». Per questo, al di là degli aggiustamenti per alzare il tiro su Grillo, non modificherà né il messaggio fondamentale di questa campagna elettorale né la strategia delle alleanze.
Ecco perché a Monti, che dice di non avere niente in comune con la coalizione di centrosinistra, e a Casini, che dice che i progressisti di oggi sono uguali all’Unione di Prodi, replica in modo duro. «La coalizione che guido e di cui fa parte anche Vendola, ma non solo, ha stretto un patto davanti a 3 milioni e 200 mila persone. Siamo gente seria, non è pensabile che chi non ha preso nessun impegno paragonabile al nostro, parli tutti i giorni di Vendola». E poi: «L’Unione erano 12 partiti e non c’era il Pd, che è di gran lunga il primo partito del Paese. Noi abbiamo fatto le primarie di coalizione, abbiamo un documento che certifica l’accettazione di una cessione di sovranità, siamo in una situazione del tutto diversa. La nostra coalizione è solida e durerà, le altre no».
NO A BALLETTI SUL CONFRONTO TV
Ora Bersani va al rush finale continuando ad alternare le trasferte nelle regioni chiave per ottenere la maggioranza al Senato (oggi è in Lombardia, domani in Sicilia, dopodomani in Campania) con i passaggi televisivi (oggi su La7 in prima serata e a “Porta a Porta” in seconda serata). Non è invece intenzionato a cedere né alle pressioni di Berlusconi per fare un faccia a faccia televisivo a due né a quelle di Monti per fare un confronto a tre. «Sono disponibilissimo a un confronto con tutti. Cosa vuol dire confronto a due, a tre? Finiamola con il balletto. Ogni giorno qualcuno se ne inventa una», sbotta davanti ai giornalisti che a Gioia Tauro gli chiedono cosa risponda a ex e attuale premier. «Sono aperto al confronto con tutti. Se accettassi non saprei come rispondere agli altri candidati, come Giannino o Ingroia. Sono disponibilissimo al confronto, così come abbiamo fatto durante le primarie, ma con tutti. Questa è una posizione chiara e logica». E Monti che insiste sul confronto soltanto con i due dati dai sondaggi in testa? «Vorrei tranquillizzare Monti che io non ho problemi a fare il confronto tv. Però un conto sono i sondaggi, un conto sono le elezioni. Tutti devono avere pari condizioni, diamoci qualche regola civile».
L’Unità 19.02.13