Questa volta, l’arcobaleno che apparve dopo la pioggia due anni fa tra le guglie della cattedrale a salutare la vittoria di Giuliano Pisapia non c’è. Non ancora, dice Pierluigi Bersani. Ma arriverà. Ed è a quella manifestazione, a quel risultato strappato nella culla del berlusconismo e della Lega, che ha pensato il segretario del Pd. Lo ha fatto da lì, è da una (stessa) piazza Duomo gremita da almeno 30mila persone che il centrosinistra ha voluto lanciare la volata. Ancora una volta è questo l’epicentro politico della sfida. Ed è «da qui che partirà la svolta», ha esortato il candidato premier. Dal «luogo da cui, nel bene e nel male è sempre partito tutto, gireremo una pagina ventennale. Noi tireremo fuori dal buio la Lombardia e l’Italia ». E la foto finale è di gruppo. Tutti insieme, i leader della coalizione: Bersani, Nichi Vendola, Bruno Tabacci, insieme al sindaco Pisapia e al candidato al Pirellone Umberto Ambrosoli. Con un uomo in più a giocare quella che è diventata una doppia partita decisiva: Romano Prodi salito (dopo quattro anni) a sorpresa sul palco di Milano per chiedere di votare «uniti» per il governo del Paese e della Regione.
Prima Milano, poi la Lombardia e l’Italia. Eccola la scalata a cui punta il centrosinistra. E a tracciare analogie tra la manifestazione- concerto di ieri e la piazza Duomo colorata di arancione di Pisapia sono stati gli stessi protagonisti. A cominciare dal sindaco che è salito sul palco con lo stesso leggio del 2011, quello della vittoria alle Comunali. Scaramanzia. «E ho proprio le stesse calze rosse di allora», ha scherzato. «Dopo avere liberato Milano liberiamo la Lombardia per costruire l’Italia che vogliamo. Con Ambrosoli saremo fieri di essere lombardi e con Bersani non ci vergogneremo più di essere italiani », ha scaldato la piazza. E alla Liberazione ha fatto riferimento anche Bruno Tabacci. Il leader di Centro Democratico è partito proprio dal 1945, strappando applausi.
Ricordando Giovanni Marcora, il comandante partigiano “Albertino” che, ha detto, considera il suo maestro. Un’evocazione che, per il candidato al Pirellone, è stata invece l’appello finale. «Il 25 Aprile quest’anno arriva a febbraio. Non abbiamo bisogno di continuità ma di una nuova prospettiva. La Lombardia ha l’occasione di scrivere una pagina di storia come quella di tanti anni fa», ha scandito Umberto Ambrosoli.
Perché qui, nella regione degli scandali della sanità e della giunta Formigoni caduta dopo l’arresto di un assessore arrestato per aver comprato voti dalla ‘ndrangheta, il centrosinistra vuole il cambiamento. Vuole «smacchiare il giaguaro», per dirla con Bersani. E quando la cita, la sua famosa espressione, è uno sventolio
di bandiere. «Se in Lombardia si va al voto anticipato è perché le ronde padane non hanno fermato la ‘ndrangheta», ha attaccato. E ha anche stilato una sua classifica: «Al primo posto nell’hit parade di chi ha raccontato la balla più grossa metto Maroni. Ha proposto di stampare una moneta lombarda e io l’ho ribattezzata il “marone”, ma si ricordi che i soldi che deve darci indietro, 4 miliardi del condono tombale e 4 miliardi e mezzo delle quote latte, ce li deve dare in euro». E dopo Prodi (una sorpresa vera, assicurano dietro le quinte, organizzata dai Democratici lombardi e da quelli emiliani), che ha parlato della tenuta della coalizione, anche il leader del Pd ha puntato sull’unità. L’alleanza non salterà. «Ci siamo presentati con una nostra foto di gruppo. Non ho visto foto di Berlusconi, Maroni e Storace o Fini, Casini e Monti». Quegli accordi, è stata la sua previsione, «si frantumeranno ». Anche Vendola ha messo il suo sigillo: «Nel futuro governo non sarò un elemento di disturbo ma garanzia di governabilità e stabilità. Non sarò quello che rincorrerà Bersani per tirarlo per la giacchetta». Poi nel retropalco i due si fanno fare una foto insieme: «Siamo una coppia di fatto».
La Repubblica 18.02.13