Sono milioni le donne scese ieri in piazza per danzare e dire basta a stupri e femminicidio. «Un miliardo di donne violentate è un’atrocità. Un miliardo di donne che danzano è una rivoluzione » si legge sul sito di One Billion Rising.
LA MANIFESTAZIONE è una di quelle rivoluzioni pacifiche al servizio della civiltà, affinché le donne cessino di essere trattate come semplici oggetti a disposizione degli uomini. Una rivoluzione capace di portare ad azioni concrete per la prevenzione delle violenze, l’educazione dei più giovani e la tutela delle persone più fragili. Azioni che purtroppo sono ancora troppo timide e inefficaci. In tutto il mondo, infatti, i dati delle violenze contro le donne sono terrificanti, anche se in misura variabile a seconda dei paesi. Come se, indipendentemente dai costumi, dalla cultura e dal credo religioso, le donne continuassero ad essere in balia delle pulsioni maschili. Pulsioni sessuali o brutali. Pulsioni distruttive, come direbbe Freud, che si scatenano quando vengono meno le dighe psichiche della civiltà e della cultura, e sembra normale e scontato che certe persone diventino il capro espiatorio di tutto ciò che non va.
Le violenze contro le donne, che si tratti degli stupri o del femminicidio, hanno origini profonde e mille diramazioni. Certe società le legittimano. Altre le tollerano. Altre ancora cercano di contrastarle. Ancora mai, però, si è cercato di fare veramente qualcosa perché si arrestassero, cercando di sradicare tutti quei pregiudizi che circondano ancora le donne. E che permettono ad alcuni uomini di sentirsi giustificati quando umiliano pubblicamente le donne — negando loro competenze e dignità — o addirittura se ne sbarazzano quando diventano scomode o inopportune. Come se, nonostante tutte le battaglie condotte fino ad oggi per promuovere l’uguaglianza, fosse ancora forte l’idea secondo cui le donne sono, in fondo, inferiori agli uomini. Retaggio culturale di un mondo in cui alcune persone — sempre le stesse, sempre gli uomini — avrebbero
il diritto di trattare altre persone — sempre le stesse, sempre le donne — come oggetti, come cose, come mercanzie, come prodotti.
Ironia della sorte, proprio questa notte si è consumata un’altra tragedia al femminile: con quattro colpi di pistola, Oscar Pistorius, il primo uomo
dalle gambe amputate a correre alle Olimpiadi, ha ucciso a Pretoria la sua fidanzata. Certo, Pistorius nega l’intenzionalità del proprio gesto. Avrebbe sparato convinto che fosse penetrato in casa un ladro. E fino a quando le condizioni esatte dell’omicidio non saranno chiarite, non possiamo aggiungere altro. Nonostante la polizia sembri poco convinta dalla versione di Pistorius e sia più incline a credere che si tratti di un femminicidio, viste anche le segnalazioni di precedenti violenze domestiche. Terribile coincidenza nel giorno di San Valentino, che Reeva Steenkamp avrebbe voluto festeggiare con il proprio fidanzato, dopo aver postato nel suo blog un’immagine in memoria di una diciassettenne stuprata e uccisa il 2 febbraio da una gang sud-africana. Terribile coincidenza che mostra a che punto è ancora difficile mettere un termine a questa violenza che si scatena contro le donne, proprio in quanto donne.
Speriamo che le immagini delle danze di ieri possano avere un impatto non solo simbolico su questo flagello contemporaneo. Sarebbe infatti opportuno che le immagini — insufficienti in quanto tali a debellare le violenze — si traducessero in azioni e che le azioni portassero ad un cambiamento culturale profondo. Il messaggio è semplicissimo: le donne sono esseri umani dotati di valore intrinseco, e nessuno dovrebbe osare negarlo, come accade invece ancora oggi. La loro vita non ha un prezzo, a differenza delle cose. Ha sempre e solo una dignità. La dignità delle persone, indipendentemente dal sesso.
La Repubblica 15.02.13