Un taglio del 90%. Non proprio la risposta che gli studenti si aspettavano dal ministro Profumo durante il negoziato che stanno portando avanti in questi giorni sul nuovo decreto sul diritto allo studio. A denunciarlo è Luca Spadon, portavoce del sindacato studentesco Link, durante l’assemblea che ieri Left ha organizzato per porre alla coalizione di centrosinistra alcune questioni cruciali per salvare la ricerca e l’università italiana. E Spadon, per dimostrare che l’apertura del ministro rischia di essere solo un bluff, ha portato le tabelle ministeriali con gli impegni di bilancio per gli anni 2013/2015.
E i dati parlano chiaro. Per il 2013 sono a disposizione sul bilancio Miur, per il pagamento delle borse di studio, quasi 103 milioni di euro. Per il 2014 ed il 2015 invece i milioni diventano poco meno di 13. Un taglio del 90%, una doccia fredda per gli studenti che solo ieri hanno incontrato il ministro per discutere del contestato decreto. Se i soldi rimanessero così pochi, il crollo delle iscrizioni denunciato pochi giorni fa dal Cun sarebbe destinato ad aggravarsi. Anche gli studenti dei Giovani Democratici hanno voluto denunciare il regresso che sta attraversando l’università italiana: «Senza politiche per gli studenti l’università é destinata ad un lungo ed inesorabile declino» ci dice Enrico Lippo della Run, che ieri faceva parte della delegazione che ha incontrato il ministro.
E c’è chi il declino lo vuole fermare, chi invece lo vuole accelerare, come il popolarissimo partito nato su Facebook. E ieri nell’affollatissima sala del Piccolo Teatro Eliseo la parola declino è risuonata molte e troppe volte. «È necessario assumere il dato del declino italiano come un dato strutturale, solo avendo questa consapevolezza si possono mettere in campo misure efficaci per invertire la rotta». Daniela Palma, economista ricercatrice dell’Enea ha le idee chiare in materia. Dalle pagine del blog keynesblog, ha provato a lanciare l’allarme più volte ma, come il grande economista inglese, l’ingiusta accusa di estremismo fa finire nel cassetto qualsiasi proposta di riforma.
Il mondo della conoscenza ha dimostrato però che è in grado di fare proposte per riformare il sistema e non per affossarlo. E di portare avanti queste proposte con una carica «ideologica» almeno pari a chi in questi anni ha attaccato senza sosta il sistema pubblico dell’istruzione. E i nomi di Alesina, Giavazzi e Zingales sono risuonati più volte ieri in sala: «Secondo Zingales non possiamo permetterci di essere un paese che si occupa di biotecnologie, dovremmo pensare ai cinesi e agli indiani che vogliono visitare Roma, Venezia e Firenze. Queste sono le idee che hanno affumicato l’aria negli ultimi anni». Così Giuseppe de Nicolao, dell’Università di Padova e redattore della rivista Roars, che combatte da mesi una battaglia culturale in difesa dell’università italiana.
Sono molti a chiedere che di queste materie non se ne occupi nuovamente un rettore, ma piuttosto chi in questi anni ha denunciato con forza i problemi da risolvere, così come sono in molti a ricordare che, tra tanti errori fatti, l’ultimo governo dell’Ulivo ha aumentato a livelli oggi inimmaginabili la dotazione finanziaria per questo comparto. La richiesta è quindi di ripartire da lì, riportando il finanziamento a quanto fu deciso dal presidente Prodi, non solo per salvare quel patrimonio di saperi, conoscenze e persone che è l’università italiana ma per invertire la rotta e riportare l’Italia al posto che le compete.
A rispondere alle sollecitazioni di ricercatori, sudenti e docenti c’erano ieri Umberto Guidoni per Sel e Walter Tocci per il Pd ma Left ha voluto invitare anche Stefano Fassina proprio per parlare del nesso fondamentale tra il sapere e lo sviluppo. E Fassina ha voluto anche prendersi degli impegni «Servono subito atti simbolici che invertano la tendenza e politiche di lungo periodo per aprire una nuova stagione. Non chiedeteci anche voi il programma dei primi 100 giorni. Tutte le categorie, dai pensionati minimi alle donne di Se non ora quando, ci chiedono un impegno per i primi giorni di governo. Al mondo della conoscenza serve un impegno che duri anche più di 100 giorni. Vi prometto il massimo impegno a correggere la rotta».
l’Unità 13.02.13
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