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"Le forze di un Papa", di Claudio Sardo

Ci sono eventi che mettono i cronisti davanti a una storia più grande di quella che solitamente raccontano e commentano. Le dimissioni di Papa Benedetto dal soglio pontificio sono questo. E non tanto perché in duemila anni di vita della Chiesa di Roma i precedenti si contano sulla punta delle dita. Non è certo Celestino V il metro di L’impressione piuttosto è che il Papa teologo, rimasto ormai senza le forze che lui stesso ritiene necessarie per proseguire il ministero, abbia posto anzitutto alla Chiesa, e quindi al mondo, una domanda cruciale e drammatica sulla fede nella modernità, sulla comunione nel secolo dell’individualismo, sul ruolo delle istituzioni nel divenire della società. Una domanda posta con la libertà che nessuno pensava potesse prendersi un Papa. Peraltro un Papa che ha avuto non pochi problemi di comprensione con il mondo contemporaneo.
Da marzo Benedetto XVI non sarà più Pietro. Ma continuerà a pensare, a pregare, a vivere nella comunità dei cristiani, dunque a condividere la testimonianza e la fede. E il suo magistero non è svanito, anzi per molti aspetti resta incompiuto, e continuerà a vivere nella Chiesa-comunità mentre un nuovo Papa si affiancherà al vecchio. Non sarebbe stato possibile un gesto come quello a cui ieri abbiamo assistito senza il Concilio Vaticano II, senza la sua novità, senza che fossero abbattute le barriere di una sacralità separata che impedivano di guardare la sacralità del mondo. Forse le forze mancanti al Papa non sono solo quelle dovute all’età o alla malattia: forse le forze mancanti riguardano la capacità di tutta la Chiesa di procedere sulla strada del Concilio, di tenere insieme la Verità con le antenne e le sofferenze del mondo, di conservare lo spirito critico verso il moderno senza perdere la carità. Forse il Papa ha preso questa decisione perché ha percepito la straordinarietà del momento, e anche delle decisioni inedite che la Chiesa dovrà assumere per rinnovare se stessa e contribuire a rilanciare un umanesimo, nel tempo in cui i mercati, la finanza, le tecnoscienze sembrano aver conquistato il potere sull’uomo.
Viene persino da chiedersi se ciò che si sta aprendo in Vaticano è un conclave, o addirittura un Concilio. Viene da chiedersi se Papa Benedetto abbia colto la necessità di un confronto a questa altezza, arrivando alla conclusione che, per compiere il passo, è necessario appunto un nuovo Papa, un nuovo «pronunciamento dello Spirito». In fondo l’allontanamento dalla Chiesa di tante persone soprattutto nelle società più ricche e secolarizzate, lo scandalo della pedofilia in diversi continenti, persino il caso clamoroso del corvo vaticano – che ha portato al Papa sofferenze indicibili – sono fenomeni che alludono ad un conflitto irrisolto tra la Chiesa e un mondo dove le reti di solidarietà si stanno corrodendo, dove la politica rischia di essere solo immanenza (solo presente, senza passato e senza futuro), dove il valore e il desiderio dell’individuo si misurano con la ricchezza economica.
Ma la Chiesa cosa fa? Cosa riesce a testimoniare? Quanto è coerente? Che capacità di comunione, di carità, di fratellanza, di povertà esprime? Papa Benedetto per anni ha cercato di offrire alla società ormai multi- culturale e multireligiosa, e anche alla cultura laica, un terreno di confronto sulla ragione dell’uomo. Spesso è stato inseguito, ingiustamente, da un pregiudizio di anti-modernità. Ma il moderno non è subalternità alla vulgata dominante. Senza spirito critico non c’è l’uomo, né la comunità. La fede religiosa può essere un antitodo al liberismo dominante. E all’individualismo radicale che ne è l’essenza culturale.Queste dimissioni sono certamente un atto di libertà. Un gesto personale, che appartiene anzitutto al legame inscindibile tra la coscienza di un Papa e la Chiesa. Ma da oggi questo gesto è una sfida alla Chiesa e un interrogativo a quel mondo che intende ancora coltivare un pensiero critico. Tra i temi irrisolti del post-Concilio c’è sicuramente la collegialità dei vescovi e dunque il governo mondiale della Chiesa. Fin qui si è cercato di far convivere la centralità della Curia romana con il parziale coinvolgimen- to del Sinodo, con la relativa autonomia del- le Conferenze episcopali, con l’apertura ai laici nella gestione delle comunità locali. Qualcuno ha detto in questi anni – il cardinal Martini lo disse anche alla vigilia dell’ultimo conclave – che sarebbe stato necessario aprire un nuovo Concilio per ridare slancio evangelico della Chiesa. Non un Vaticano III, disse Martini, ma concili tematici. Compreso uno sulla famiglia e sui temi che riguardano la morale sessuale. La collegialità della Chiesa da marzo avrà un testimone che nessuno potrà dimenticare: il vecchio Papa dimissionario che vive accanto al nuovo Papa. È impossibile dire cosa accadrà. Certo, siamo davanti a un bivio storico. Che riguarda i credenti e l’attualità della loro fede. Ma che non può lasciare indifferente chi cerca un riscatto dell’uomo sulla povertà, la solitudine, l’ingiustizia, la sudditanza ai poteri che si ritengono indiscutibili.

L’Unità 12.02.13