La dichiarazione di Torino, con il sostegno a Pier Luigi Bersani di tutti i leader progressisti europei, costituisce uno degli eventi più importanti di questa confusa campagna elettorale. E proietta il suo significato oltre il voto del 24-25 febbraio se, come speriamo, il segretario del Pd vincerà le elezioni e avrà il compito di guidare il governo italiano.
Innanzitutto non è vero che l’Europa vuole Monti. Le cancellerie europee – come del resto ogni cittadino italiano dotato di buon senso – sanno perfettamente che la vera sfida da noi è tra la sgangherata e pericolosa destra di Berlusconi e la ricostruzione nazionale proposta da Bersani. Persino i leader conservatori, a partire da Angela Merkel, hanno voluto rendere pubblica la loro completa sfiducia verso il Cavaliere e l’accozzaglia Pdl-Lega, incoraggiando Monti ad entrare in gioco e contendere l’elettorato moderato, pur nella consapevolezza che oggi non è in grado di competere per il primato.
L’Italia è parte dell’Europa. L’Italia può risollevarsi dalle macerie della seconda Repubblica solo se collegata all’Europa migliore. E l’Europa non riuscirà a riavere il ruolo che le spetta nel mondo se l’Italia non tornerà ad essere protagonista dell’unità e dell’integrazione. Purtroppo l’ultimo vertice di Bruxelles, sul bilancio 2014-2020, ha scritto l’ennesima mediocre pagina di questo tempo di crisi. Per l’Unione europea è stato un altro passo indietro. Abbiamo bisogno vitale di investimenti sulla ricerca, l’innovazione, le infrastrutture: e invece il budget comunitario è stato ridotto. Si compiacciono gli euroscettici. Sorridono i realisti che ormai non credono più al cambiamento. Invece è necessaria una svolta nel senso dell’Europa, delle politiche comuni. Solo la dimensione europea può premiare lo sviluppo, il lavoro, l’economia reale e sfavorire la rendita, a cominciare da quella speculativa che gioca sul diffe- renziale dei tassi (cioè sullo spread).
L’Europa progressista sostiene Bersani, e ieri gli ha chiesto di riportare l’Italia nel ruolo che ha occupato con Prodi, con Ciampi, con D’Alema, con Amato. Anche tra i leader socialisti c’è chi vorrebbe che Monti partecipasse al governo di ricostruzione nazionale: è stato l’immagine dell’Italia nel dopo-Berlusconi, la prova che il Paese aveva risorse al suo interno per riscattare la vergogna del Cavaliere. Del resto, quest’Europa stanca e tuttora molto al di sotto delle nostre aspettative, quest’Europa che fatica a liberarsi delle ricette liberiste e dei paradigmi anti-sociali dell’austerità, può ripartire solo da una scossa, da un’intesa che coinvolga i grandi Paesi del Continente e le due maggiori famiglie politiche. Una consapevolezza, questa, che non manca neppure a Berlino, dove Bersani appunto è stato accolto con rispetto e attenzione. È possibile che in Germania, dopo le elezioni d’autunno, si formi una Grande coalizione tra Cdu e Spd: in Italia la sola Grande coalizione possibile arriva fino a Monti. Qualunque sia l’esito del voto, piuttosto che governare con Berlusconi, piuttosto che proseguire nella «strana maggioranza», meglio tornare alle urne.
L’Italia ha bisogno di un cambiamento profondo. Perché così va a picco. E così non serve all’Europa. È per questo che il 24 e 25 febbraio quelle italiane saranno elezioni europee. Come lo furono le elezioni francesi vinte da Hollande, le quali segnarono il primo cambio di marcia rispetto alle politiche di rigore. Gli occhi del mondo sono puntati su di noi. Anche fuori dall’Europa, dove ad esempio Obama non perde occasione per sollecitare il Vecchio Continente ad un nuovo sviluppo e ad una crescita qualitativamente innovativa.
Non c’è nulla di propagandistico nel dire che all’estero i più tifano per il centrosinistra. Anzi, è un carico di responsabilità sui progressisti italiani. Una tenaglia rischia di schiacciare il nostro Paese e, insieme ad esso, la possibilità di un rinnovamento europeo: da un lato c’è la destra tecnocratica e liberista, dall’altro la destra populista e localista. Da un lato c’è la conservazione, lo status quo, la continuità sulla linea degli squilbri interni all’Europa, della recessione, dello strangolamento dei Paesi indebitati. Dall’altro la demagogia peggiore, le promesse inverosimili, la protesta urlata, l’illusione del particolare: come se non bastassero le sortite anti-euro di Berlusconi e Grillo, ieri Maroni ha lanciato nientemeno che una moneta «padana». Tutte idiozie. Capaci però di trasformare il dramma sociale di oggi in una condanna senza appello.
Il centrosinistra deve spezzare questa tenaglia, anche perché è la destra liberista, con la sua linea, ad alimentare la destra populista e la sfiducia nella politica come chance di ripresa civile. Il lavoro di ricostruzione è un grande programma di lotta e di cambiamento: chi a sinistra pensa di buttare il voto sostenendo che Bersani, Monti e Berlusconi sono la stessa cosa, in fondo è complice di chi dice che destra e sinistra non esistono più. Il messaggio dei progressisti europei al centro- sinistra italiano è di affrontare con determinazione l’impresa del cambiamento. Ma anche con apertura. Deve cominciare una nuova stagione costituente in Europa e abbiamo bisogno di tutti i sinceri europeisti. La sinistra migliore è stata nella storia quella che ha favorito l’avanzamento di tutta la società. A quella dobbiamo ispirarci. Non per mediare, ma perché i cambiamenti siano davvero profondi e duraturi e producano, oltre al dato economico, un forte riequilibrio sociale e un recupero dello spirito di comunità.
L’Unità 10.02.13