C’è una proposta shock che può essere raccolta solo da uno schieramento che vada da Monti a Vendola passando per Bersani. Perché è questa l’unica potenziale coalizione del dopo voto che avrà in Parlamento i numeri per farlo e che può essere credibile nel prendersi questo impegno. Si tratta di porre un freno all’autonomia irresponsabile di Regioni ed enti locali, spacciata per federalismo dalla Lega Nord, per tagliare davvero i costi della politica
locale. Eper impedire che scandali come quelli dei festini nel Lazio e dei rimborsi per la ristrutturazione della casa di Bossi in Lombardia possano ripetersi. Occorre permettere al Parlamento italiano di porre un tetto alle spese dei consigli regionali, provinciali e comunali in termini di compensi ai consiglieri, convegni, spese di rappresentanza e rimborsi ai gruppi consiliari. Oggi questo non è possibile. I principi del cosiddetto federalismo fiscale inseriti nella nostra Costituzione con la riforma del Titolo V sanciscono, all’articolo 119, che gli enti locali hanno piena “autonomia finanziaria di entrata e di spesa”. Dato che sono state decentrate le spese, ma non le entrate, questo significa che i politici locali possono spendere liberamente i soldi raccolti da altri livelli di governo senza temere di venire per questo puniti dagli elettori. Questo principio “federalista” impedisce che governo e Parlamento possano porre limiti alla spesa pubblica delle Regioni e degli enti locali. Si possono porre vincoli ai saldi di bilancio, come ad esempio stabilito nell’ambito del patto di stabilità interno. Si possono anche fissare per legge limiti massimi al numero di consiglieri, come fatto dal Governo Monti. Ma è incostituzionale imporre limiti di spesa complessivi o su voci specifiche, come, ad esempio, le spese degli organi elettivi, l’unico modo per porre davvero un freno ai costi della politica locale. Perché i tetti al numero di cariche elettive, fissati in base al numero di abitanti, non impediscono ai consigli di gonfiare i compensi o le spese per i gruppi consiliari. E stranamente moltissimi Comuni hanno un numero di abitanti appena sopra la soglia che permette di avere un consigliere in più, mentre sono pochissimi i Comuni al di sotto di queste soglie.
Questa autonomia irresponsabile è un’anomalia italiana, imposta dal federalismo della Lega Nord, che, non a caso, continua a non correggersi. Quando Maroni propone che “i territori si tengano una quota delle loro imposte”, quelle che in gergo si chiamano “compartecipazioni”, chiede in realtà agli elettori di firmare un assegno in bianco e di consegnarlo ai futuri consiglieri della Lombardia. Gli amministratori locali potranno, infatti, continuare a decidere su quanto concedersi come remunerazione, quanto dare ai propri gruppi consiliari, se rimborsare anche i festini, le creme da viso e i lecca lecca, senza che ci sia alcun vincolo imposto dall’esterno, cioè da chi non riceve questi soldi. Sono questi gli incentivi perversi del federalismo leghista, sostenuto con la spada sguainata e rivolta verso il cielo dalla coalizione che oggi propone Berlusconi a Palazzo Chigi.
Basterebbe tornare al vecchio articolo 119 della Costituzione, che poneva un argine alla discrezionalità dei politici locali stabilendo che l’autonomia finanziaria delle Regioni può essere esercitata “nelle forme e nei
limiti stabiliti da leggi della Repubblica”. Contestualmente si potrebbe fissare per legge un limite alle spese dei consigli regionali, magari azzerando quelle dei gruppi consiliari che hanno dimostrato troppa fantasia, per usare un eufemismo, nell’utilizzare queste risorse. Si limiterebbe così l’autonomia irresponsabile, liberando risorse per altri impieghi delle risorse pubbliche, dunque per l’autonomia locale vera, quella che serve ai cittadini anziché ai politici. Si dirà che le modifiche costituzionali richiedono tempo, ma il solo annuncio di questo intervento può essere immediatamente efficace quando accompagnato dall’impegno di tutti i governatori che ci stanno a rispettare fin da subito questi vincoli, nell’ambito delle intese previste dall’articolo 117 della Costituzione.
È una proposta contro “il localismo amorale”, contro gli sprechi, la corruzione e i clientelismi della politica locale. Al contrario delle altre proposte shock, è fattibile perché non comporta nuovi impegni di spesa, ma al contrario risparmi. Ed è a prova di imitazioni e rilanci, come quelli cui stiamo assistendo nella gara a promettere tagli alle imposte. Infatti, secondo le simulazioni del voto al Senato e alla Camera, una potenziale
coalizione Monti-Bersani-Vendola è l’unica che può avere i numeri in Parlamento per varare una legge di modifica costituzionale. Inoltre, sono queste formazioni quelle che possono vantarsi di avere fatto i maggiori sforzi per migliorare la selezione dei candidati, sia attraverso le primarie che con i filtri alle candidature imposti da Bondi. In effetti, come mostra l’analisi delle liste elettorali che verrà presto ospitata su lavoce.info, il Pd è il partito che ha maggiormente rinnovato le proprie pattuglie parlamentari, mentre Sel e Lista Civica non hanno candidati soggetti ad azione penale. Vero che le primarie hanno anche rafforzato il peso dei politici locali, tra cui molti ex sindaci e consiglieri regionali e comunali. Ma è nel loro stesso interesse prendere oggi un impegno di fronte a tutti gli elettori a limitare il localismo amorale, rappresentato ai massimi livelli in altre liste presenti a queste elezioni. Perché porre argini alla discrezionalità dei politici locali, farli rispondere del loro operato di fronte agli elettori, serve a porre argini all’antipolitica che altrimenti rischia di travolgere tutto, anche i bravi amministratori e gestori della cosa pubblica nei territori.
La Repubblica 09.02.13