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Harlem Désir Il segretario del Ps francese: «Unire gli europeisti. La vittoria del Pd favorirà la svolta», di Umberto De Giovannangeli

«La costruzione di una Europa sociale, solidale, capace di coniugare rigore e crescita, è oggi il grande spartiacque tra progressisti e conservatori nei singoli Stati e a livello sovranazionale. Occorre chiudere definitivamente la stagione fallimentare dell’iper rigorismo della destra. Ed è attorno a questa svolta, di idee, di cultura, di progetto, che occorre ridefinire le alleanze». A sostenerlo è Harlem Désir,53 anni, segretario generale del Ps francese. Il leader dei socialisti francesi sarà tra i protagonisti del meeting «A common progressive European vision. Renaissance for Europe: peace, prosperity and progress», che si terrà sabato prossimo a Torino. Un nuovo europeismo è il terreno di incontro tra culture politiche diverse ma che hanno, come punto d’incontro, la consapevolezza, rimarca Dèsir, «che occorre definire nuove priorità nell’agenda comune, puntando con forza sulla crescita. Una crescita fondata su investimenti in settori strategici, quali la green economy, l’istruzione, le grandi infrastrutture. È il riformismo del Terzo millennio, quello che ha portato alla presidenza della Francia Francois Hollande e, mi auguro, Pier Luigi Bersani alla guida del prossimo governo italiano».
Lei sarà tra i leader europei protagonisti del meeting di Torino. Perché, in un’ottica europeista, è importante un successo elettorale del centrosinistra italiano e del suo leader, Pier Luigi Bersani?
«Perché significherebbe il rafforzamento di quella linea europeista, di una Europa sociale, solidale, partecipativa, che ha portato Francois Hollande all’Eliseo. Bersani è parte importante della definizione di una visione progressista dell’Europa, che rompe con l’iperrigorismo che ha segnato il ciclo conservatore. Occorre un salto di qualità nella definizione di una nuova governance europea che sia all’altezza della sfida decisiva: quella della crescita. L’Europa deve ricominciare ad essere sinonimo di speranza, di solidarietà, di nuove prospettive in un mondo messo in crisi dal dominio dei mercati finanziari. Su questo terreno, c’è una forte assonanza tra Hollande e Bersani. Francia e Italia possono insieme cambiare le priorità». L’Europa come centro dell’azione politica.
«Non può essere altrimenti. Cercare soluzioni nazionali per uscire dalla crisi non è solo sbagliato, è qualcosa di anacronistico. Vuol dire non fare i conti con i processi di globalizzazione, le cui dimensioni sono tali da non permettere a nessun Paese europeo, da solo, di poter competere. L’Europa è al centro della crisi mondiale, perché la destra non è stata capace di attaccare la speculazione, smantellando così lo stato sociale e aggravando la situazione. Abbiamo una grande responsabilità verso la Grecia, la Spagna e gli altri Paesi attaccati dalla speculazione finanziaria e la risposta a questa crisi deve essere europea, un’Europa differente che discuta di crescita e solidarietà, che disponga di una moneta comune e di una finanza comune, partecipe di un’avventura comune…».
In questo contesto, come s’inquadra il discorso pronunciato l’altro giorno a Strasburgo da Hollande. C’è chi ha parlato di una «svolta»…
«Non si tratta di una svolta, ma di un rafforzamento dell’impegno per l’Europa, sull’Europa, che Hollande ha portato avanti già in campagna elettorale e che sta caratterizzando la sua presidenza. Se di “svolta” si deve parlare, questa è rispetto alle fallimentari politiche conservatrici portata avanti dalla destra in Europa. L’Europa delineata da Hollande è un’Europa che abbia un di più di solidarietà, di equità, di politica comune non solo in campo economico e sociale, ma anche in ambiti determinanti quali la politica estera e di sicurezza. E questo, in chiave sovranazionale, significa anche, come riaffermato da Hollande a Strasburgo, porre un freno all’austerità e ai tagli al bilancio dell’Ue. Ciò non significa rifiutare tout court tagli alla spesa, significa che questi eventuali tagli non devono minare la crescita».
Qual è la sfida più impegnativa che i progressisti hanno da affrontare?
«I progressisti europei devono farsi portatori di una idea di crescita che prefiguri, in prospettiva, una nuova idea, una nuova concezione dello sviluppo».
La nuova visione dei progressisti investe «solo» la sfera dei diritti sociali? «No, La sfida riformista deve riguardare anche il campo, non meno importante, dei diritti civili. Penso, ad esempio, al diritto al matrimonio per coppie dello stesso sesso. La Francia sta marciando in questa direzione, come dimostra il recente voto all’Assemblea nazionale sulle nozze gay. Così come è importante, quando si parla di una estensione dei diritti di cittadinanza. il diritto al voto, a livello locale, per i residenti stranieri».
Per tornare all’Europa equa, sociale, solidale. Cosa debba essere lei lo ha delineato con nettezza. Ma cosa non dovrebbe più essere, oltre l’abbandono dell’austerità assolutizzata? «L’Europa che guarda al futuro, e che attorno a questa visione cerca di aggregare lo schieramento più ampio, è una Europa che deve avere orgoglio di sé, del proprio ruolo in un mondo globalizzato. E per questo non può essere una Europa che si accontenti di essere solo un mercato, o una somma di trattati. Un’Europa che sia altro e di più, sul piano politico, di una sommatoria di nazioni».

L’Unità 07.02.13