I laureati italiani non sono schizzinosi né indolenti. Ora è certificato: l’aggettivo choosy del ministro Fornero, che fece seguito all’ancor più perentorio “sfigati” del suo sottosegretario Martone, non trova riscontro nell’ultimo lavoro sul tema. Lo ha commissionato la Fondazione sussidiarietà, ci hanno lavorato il dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica e il Consorzio AlmaLaurea, che da dieci anni monitora i percorsi formativi e professionali dei neolaureati italiani. Questa volta, chiedendo a 5.730 neolaureati se sono stati disponibili a trasferire la propria residenza in un’altra città o accettare lunghi trasferimenti casa-lavoro, il 53 per cento ha mostrato un’adattabilità elevata con picchi superiori alla media tra gli uomini (63%), gli ingegneri (60%), i residenti al Centro-Sud (60%, dieci punti in più rispetto al Nord), gli autonomi (60%) e i lavoratori precari (60%).
I più “adattivi”, le definizioni sono del dossier, alle esigenze del mercato oggi guadagnano 100 euro al mese in più. Nel concreto, il 54 per cento ha svolto uno stage in Italia, il 9 per cento all’estero. Nei programmi di studio fuori confine primeggiano, ovviamente, i laureati in lingue: uno su tre l’ha fatto. Poi gli agrari: uno su cinque. Decisamente più diffusi gli stage in patria, frequentati dagli psicologi (74%), gli architetti (62,7%) e gli autori di studi politici e sociali (il 60,8%). Fanno poche esperienze, sia in Italia che all’estero, i laureandi e laureati in Legge. L’attivismo universitario (stage nel periodo di laurea, master subito dopo) consente un guadagno netto superiore: 1.381 euro contro 1.263 (l’attivismo è ancora più importante della disponibilità a trasferirsi).
Il lavoro della Fondazione sussidiarietà prende in analisi, quindi, i “tipi” post-universitari. I due blocchi forti sono i “precari in cerca di gloria”, pari al 39,6% e gli “adattivi ma deboli”, il 34,8%. I primi sono stati intraprendenti durante la laurea e hanno un’elevata disponibilità ad adattarsi ai tempi e ai luoghi di lavoro. Sono laureati in atenei del Sud Italia in lingue, ingegneria, economia o statistica. Lavorano nel settore chimico, metalmeccanico, nelle telecomunicazioni, nell’elettronica. Hanno partecipato al programma
Erasmus e hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I “precari in cerca di gloria” hanno già cambiato tre lavori e chiedono ampia autonomia. Provengono da famiglie di ceto medio-basso e oggi guadagnano 1.265 euro al mese.
Gli “adattivi ma deboli” sono stati poco attivi in facoltà, ma ora si mostrano molto flessibili. Sono in prevalenza donne che vivono e lavorano al Nord, nel curriculum non hanno stage né esperienze all’estero. Chiedono, più che stabilità, orari di lavoro adeguati. Occupati a tempo parziale nel commercio, le loro famiglie sono di ceto medio-basso. Guadagnano 1.212 euro. “Le élites intraprendenti” sono il 14,5% e al lavoro chiedono massima soddisfazione. Figli del ceto dirigente del Nord, sono laureati in materie politico-sociali ed economico-statistiche, in ingegneria. Hanno preso master o portato a termine dottorati. Il loro voto di laurea è sopra la media, conseguita presto. Guadagnano 1.352 euro. “I rassegnati”, infine, sono l’11,1%: per lo più donne del Nord, sentono la laurea poco efficace rispetto al lavoro trovato. Provengono da famiglie del ceto medio dipendente e vogliono sicurezza contrattuale. Si sono laureate tardi, e guadagnano 1.164 euro.
da La Repubblica