Caro direttore, «la cultura non è al centro della campagna elettorale» è il lamento che in questi giorni si leva sempre più spesso. Una considerazione più che fondata, che purtroppo non riguarda solo la politica: quanto abbiamo dovuto aspettare perché il sistema dell’informazione si accorgesse della tragedia di Sibari? Per questo, la proposta-appello lanciata da Roberto Esposito e Ernesto Galli della Loggia per l’istituzione di un ministero della Cultura, in luogo dell’attuale ministero dei Beni culturali, va salutata con favore, se può servire a smuovere l’opinione pubblica. Certo, il problema non può essere ridotto a mera questione nominalistica: Esposito e Galli della Loggia osservano giustamente che l’Italia attraversa una crisi che è, nel profondo, una crisi culturale, e che c’è bisogno di ridefinire «un’idea di Paese». Questo però è un problema che investe la politica nel suo complesso, e da cui il Pd si sente investito in tutte le sue articolazioni. Ci vuol più di un ministero (e di un ministro, attualmente vacante), ci vuole un governo che ne sia consapevole, ed è il governo al quale il Pd sta lavorando. Per questo ormai da anni abbiamo guardato alla cultura prima di tutto come a un diritto dei cittadini, un bene comune da curare con amore, ma anche come a una possibile via d’uscita dalla crisi.
Investire sul sapere, sulla creatività, sulla cultura è indispensabile per rendere più forte non solo la democrazia italiana, ma un sistema industriale che ha bisogno di puntare sull’innovazione e non sulla ragionieristica riduzione di costi, da scaricare ovviamente sul mondo del lavoro. Non aver valorizzato i giovani formati dalle nostre università è la ragione per cui i loro padri, descritti come ipergarantiti, sono oggi anch’essi precari come i loro figli, perché precarie sono le mille imprese in crisi per cui lavorano. Imprese che per rilanciarsi avrebbero bisogno di un Paese che le aiuti a innovare. Per invertire questo declino serve dunque una scelta decisa. E servono politiche di riforma serie, che rimettano al centro la cultura e che consentano alla Repubblica di garantire l’applicazione dell’articolo 9 della Costituzione. Quindi interventi che interrompano il declino a cui il disinteresse ha destinato archivi e biblioteche statali, siti archeologici e patrimonio culturale. Esattamente quelle proposte che Stella nell’editoriale di ieri giustamente invoca e che avrebbe trovato già elaborate nel dettaglio, se solo le avesse cercate nel programma del Pd sulla cultura, o semplicemente utilizzando Google.
Certo, constatarne l’esistenza avrebbe smentito la sua tesi, per la verità ormai di scuola: quella del disinteresse dell’intera politica per questi temi. Ma per fortuna dell’Italia e della cultura, è una tesi infondata.
da Il Corriere Della Sera