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Bersani: Con noi si cambia. Basta promesse da chi ha fallito, di Simone Collini

«Serve un programma di ricostruzione, non battute propagandistiche. Quelle non ce le possiamo più permettere». Pier Luigi Bersani va al rush finale di questa campagna elettorale chiamando alla mobilitazione il popolo delle primarie («È la nostra arma atomica») e illustrando le misure che intende realizzare in caso di vittoria. Ci sono però anche un paio di messaggi chiari che il candidato premier del centrosinistra lancia all’indirizzo degli «inseguitori». Il primo, a uso e consumo di Silvio Berlusconi: «Non permetterò a chi ha fallito, a chi ha portato l’Italia sul ciglio del burrone di fare impunemente altre promesse». Il secondo, per Mario Monti, che dopo l’uscita sul Montepaschi ha datato la nascita del Pd al 1921: «Una battuta da Berlusconi con il loden. Monti non dimentichi dov’è il pericolo, se la prenda con il problema, non con l’unica possibile soluzione. Chi pensa in prospettiva di non escludere una possibilità di collaborazione oggi deve fare attenzione, perché alcune uscite possono rendere tutto molto difficile».

Si sorprende se in campagna elettorale si fanno promesse e si attacca l’avversario politico?
«Mi sorprendo se in una situazione come questa, in cui viviamo la peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi, il tema al centro della campagna elettorale non è come ne veniamo fuori. Vedo invece che da parte degli inseguitori si cerca il colpo propagandistico. Grillo che promette a tutti mille euro al mese per tre anni, Berlusconi e Monti che assieme in una giornata hanno tolto più di 30 miliardi di tasse sul 2014».

Dice che non è possibile?
«Se lo fosse, ebbene il governo è ancora in funzione, può intervenire per alleviare almeno qualche situazione di maggiore difficoltà. Bisogna smetterla con questo modo di fare, la situazione è troppo difficile per continuare con le promesse. O con gli attacchi all’avversario, come sembra aver suggerito qualche guru americano».

A giudicare dalla reazione che ha avuto, sembra le abbia bruciato più la battuta di Monti sul Pd nato nel ’21 che quella su voi e M ps: è così?
«Guardi, su Montepaschi io sono perché si vada fino in fondo, perché sono certo che gli sviluppi della vicenda ci consegnerebbero una riflessione su tre questioni. E cioè come si regolano i derivati, come mai in Italia non esiste il reato di falso in bilancio e come si utilizza lo scudo fiscale per operazioni non lecite. Tre questioni su cui in questi anni c’è stato, tra la destra e noi, il più duro degli scontri. Quanto alla battuta di Monti sul Pd, francamente è deplorevole, da Berlusconi con il loden, una battuta che non si può permettere chi ha avuto un reale sostegno da parte nostra».

Ora il Pd per lui è un avversario politico, non crede?
«Il nostro avversario è la destra, è chi ora prova a portare avanti una cancellazione della memoria e dopo aver fallito continua con le promesse. Noi non permetteremo che chi ha governato dieci anni, in una situazione economica più semplice, e non ha abbassato le tasse, ora torni a promettere chissà cosa. E non permetteremo a Pdl e Lega, che hanno coperto gli evasori delle quote latte facendo così pagare ai contribuenti italiani 4 miliardi e mezzo di euro, di parlare ora di alleggerimento fiscale. Lo dico a Berlusconi: non azzardarti a promettere adesso quel che non sei mai stato capace di fare».

Per il Pd un abbassamento delle tasse non è un obiettivo?
«L’obiettivo è favorire consumi e occupazione, una cosa che si può fare abbassando il carico fiscale per i redditi medio bassi, i lavoratori, i pensionati, e sostenendo gli investimenti che danno lavoro».

Perché non sia anche questa una battuta propagandistica dovrebbe dire dove si trovano le risorse per farlo.
«Si trovano in una riqualificazione della spesa pubblica, in una riduzione dei tassi interesse, in un’alienazione del patrimonio pubblico, e soprattutto in un’operazione per aumentare la fedeltà
fiscale».

Anche qui: come?
«Facendo girare meno contante, rendendo tracciabili tutti i movimenti finanziari per far emergere la ricchezza, cominciando a chiamare evasione alcune delle cose che oggi si chiamano elusione, perché ci sono caroselli troppo facili su cui girano i soldi tra Italia, estero e di nuovo Italia».

Insomma meno tasse per tutti voi non lo direte?
«Meno tasse per chi ha bisogno di consumare e per chi ha voglia di investire. E bisogna rendere più progressive le imposte che ci sono, a partire dall’Imu, che non dovrebbe essere pagata da chi ha versato fino a 500 euro. E poi diciamo che va tolto il peso dai beni strumentali delle aziende e va caricato sui patrimoni più rilevanti. Operazioni che possono dare sollievo ai consumi per i redditi più bassi e sollecitare gli investimenti, e alle quali andranno affiancati una drastica operazione di
semplificazione per l’attività economica e l’allentamento selettivo del patto di stabilità per i Comuni, una ripresa delle politiche industriali in tutti i settori, una quota di investimenti pubblici e l’utilizzo dei fondi strutturali. Questo è un programma di ricostruzione, che non può essere la battuta propagandistica perché siamo già oltre questo tipo di possibilità».

Come giudica le proposte di Monti sul tema del lavoro?
«Stiamo perdendo posti di lavoro a ritmo di 250 mila l’anno. Credo che il problema oggi non sia quello di come si licenzia, ma di come si crea lavoro. E questo non è solo questione di regole, ma soprattutto e finalmente di rilancio dell’attività economica».

Come risponde a chi, in Italia, sostiene che all’estero si tifa per un Monti-bis?
«Che certe sollecitazioni di pareri esterni a fini interni sono decisamente stucchevoli. La discussione vera che c’è in Europa è che l’Italia è troppo grande per essere salvata, che deve trovare la strada per sé e per l’Europa, e che questo non può avvenire senza un rapporto tra governo e popolo. Il resto sono leggende metropolitane, come si vedrà anche dall’appuntamento che faremo nel fine settimana a Torino insieme a leader e capi di Stato e di governo progressisti provenienti da tutta Europa. Dopo Francia, Romania, Olanda, Repubblica Ceca, è chiaro che sperano possa venire dall’Italia un’ulteriore spinta verso politiche diverse da quelle perseguite negli ultimi anni a livello comunitario».

Diverse in che senso?
«Quella di stabilità è una politica di medio periodo, mentre un intervento sul lavoro è una politica urgente, da applicare immediatamente. I progressisti pensano questo. E non solo i progressisti ma tutto il mondo si aspetta che dal voto in Italia esca una risposta chiara, precisa, che porti stabilità. E la formula che uso io so che viene ben compresa: ci vuole qualcuno che abbia il 51% e che però si comporti come se abbia il 49%. All’estero vogliono un’Italia stabile, con una guida sicura, ma che sia in grado di suscitare anche una riscossa più ampia di quella che può esprimere il solo vincitore».
Hollande, in Francia, ha nominato un sottosegretario all’Economia sociale e solidale: pensa a qualcosa di analogo per l’Italia?
«Certamente sul piano di azione di governo, lo sguardo sui grandi temi sociali ci sarà. Ho già detto che nella Sala verde di Palazzo Chigi intendo ricevere non soltanto rappresentanti di Confindustria
e dei sindacati ma anche esponenti del mondo dell’associazionismo, del volontariato».

Il presidente della Cei Angelo Bagnasco dice che “la madre di tutte le crisi è l’individualismo”:
condivide?
«Alla grande. L’individualismo è l’elemento che ha portato a questo disastro, e non solo in Italia. Abbiamo perso la materia prima, l’idea che ci si salva assieme. Da noi abbiamo visto cosa ha prodotto il leghismo, anche a livello psicologico, sulla divisione dei territori, sull’azione di incoraggiamento delle corporazioni. Bisogna riprendere il grande tema della solidarietà, del progetto comune, dell’unità nazionale, bisogna dare una forte scossa da questo punto di vista perché l’atomizzazione, l’idea che ciascuno si salva da solo, è arrivata a livelli molto preoccupanti».

Il Parlamento francese ha approvato l’articolo 1 della legge sul matrimonio gay: prospettive per l’Italia?
«La legislazione tedesca ci indica la strada che consente di regolare le unioni civili delle coppie omosessuali senza provocare traumi».

Veniamo all’iniziativa che avete fatto insieme, lei e Matteo Renzi, venerdì: qual è il messaggio principale che lei vorrebbe rimanesse agli atti?
«Più che un messaggio, lì abbiamo raffigurato quello che siamo. Ho letto sui giornali titoli come pace, tregua. Macché. Anche nel corso della campagna per le primarie, anche nel confronto aspro, noi abbiamo lavorato per il Pd e quindi per l’unico rinnovamento politico vero che si è visto fin qui in Italia. Noi siamo l’alternativa ai partiti personali. Noi non siamo esposti alla domanda che invece si può rivolgere a tutti gli altri. Cosa c’è dopo Berlusconi? E dopo Monti? Dopo Grillo, dopo Ingroia? Noi siamo un partito unito, plurale e aperto. E siamo gli unici ad esserlo, in l’Italia».

C’è chi ha fatto notare che il principale partito della sinistra italiana non farà il comizio di chiusura in un luogo simbolo come piazza San Giovanni, da cui parlerà invece Grillo.
«Noi in questo rush finale non parleremo da una sola piazza. Faremo una grande operazione di gazebo, in migliaia di piazze, in tutto il territorio italiano. Noi siamo ovunque, le primarie ci hanno consentito di scegliere candidati in tutti i territori. A noi non servono conigli tirati fuori dal cappello, mettiamo in moto la nostra forza, che gli altri non hanno, e cioè il popolo delle primarie. Lanceremo questo tipo di offensiva perché è la nostra arma atomica, la nostra chiave, quella che ci farà vincere».

Qualche giornale ha titolato sul “patto” che avrebbe stretto con Renzi, visto che lei ha detto che fatto questo giro si riposa e il sindaco di Firenze ha tanta strada davanti.
«Ma no, nessun patto. Quello che dico è che dopo Bersani c’è il Pd. A me tocca un compito, ma tutti quanti devono sentirsi un carico sulle spalle perché noi siamo il partito riformista del secolo nuovo, e oltre a lavorare per il governo, per costruire l’alternativa dopo venti anni di berlusconismo, dobbiamo impegnarci per dare all’Italia un sistema politico stabile, che oggi non c’è. Il Paese andrà in rovina senza di esso. Il Pd rappresenta un presidio riformista nuovo, originale. Tocca alle nuove generazioni, nei prossimi anni e decenni, lavorare per costruire un sistema politico stabile».

da unita.it

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