Sono sorprendenti già i numeri: 189 paesi nel mondo, oltre 70 città in Italia, 13mila organizzazioni femminili coinvolte, e milioni di donne e uomini che hanno aderito, dal Bangladesh a Roma, dal Dalai Lama alla pacifista Vandana Shiva, da Yoko Ono a Robert Redford, da Charlize Therona Anna Hathaway, Jessica Alba a Michelle Hunziker. Si stima che il 14 febbraio saranno un miliardo: donne e uomini insieme a ballare nelle piazze e nelle strade del mondo per One billion rising, il flash mob planetario contro la violenza sulle donne, la prima iniziativa mondiale per affermare il diritto alla vita e alla dignità delle donne, anche in paesi come l’Italia dove, nel 2012, ne sono state uccise 127 per mano maschile. «Un miliardo è il numero di donne violate nel mondo: è un’atrocità. Ma un miliardo di donne che danzano per strada nel mondo è una rivoluzione», dice Eve Ensler, 59 anni, indomita autrice dei celeberrimi Monologhi della vagina, manifesto della sessualità femminile e atto di denuncia delle violenze, tradotto in 48 paesi, e da vent’anni, nei “Vday” “recitato” in tutto il mondo. Capelli neri corti, viso luminoso, infaticabile viaggiatrice per la causa delle donne, Eve Ensler, ad aprile in libreria con Nel corpo del mondo sulla sua esperienza col cancro, è la promotrice di One billion rising, che in pochi mesi ha mobilitato le donne di tutti gli angoli del pianeta in una protesta planetaria che cresce di minuto in minuto. «Uno tsunami», dice raggiante la Ensler.
Cosa accadrà esattamente il 14 febbraio?
«L’invito è di ballare in strada, in piazza o dove si vuole. In Italia, a Roma dalle 18.30 lo si farà alla Casa Internazionale delle Donne e in piazza del Popolo, a Milano in galleria Vittorio Emanuele… Ogni città si sta organizzando con la sua creatività. In Butan dove andare per strada è illegale, le donne accenderanno le lampade».
Sul web c’è chi ha criticato l’idea di ballare su una cosa orribile come la violenza contro le donne…
«La violenza tiene le donne nella paura. Il ballo è il modo più diretto per dire che quel corpo che gli uomini vogliono ferire non si piega. Chiaro, poi, che quel ballo servirà per chiedere leggi che preservino i diritti delle donne e educazione nelle scuole. Per chiedere che vengano arrestati gli uomini che vendono le ragazzine di otto anni nelle strade del Messico o quelli che in un anno hanno ucciso 700 donne in Guatemala. E ancora
per denunciare che il commercio dei metalli per cellulari e computer in Congo finanzia una guerra dove si stuprano e violano le donne, o additare capi di governo, e mi riferisco a Berlusconi, che perpetuano una cultura che offende
il corpo della donna».
One billion rising
è anche la prova che la violenza contro le donne è un orrore planetario.
«È un’epidemia, la prima causa di mortalità delle donne nel mondo. E il perché ha tante risposte. La prima è il patriarcato: un sistema di dominio che ha come strumento la violenza. E poi l’ignoranza sul sesso, in tutte le culture: gli uomini pensano ancora che il sesso sia saltare addosso a una donna e l’amore una forma di possesso. E poi c’è la chiesa: i preti cattolici che dicono che le donne con le gonne corte sono responsabili delle violenze… ».
Lei ha subìto violenza. Vuole parlarne?
«Fu mio padre. Ha abusato di me ed è stato violento per molti anni. Mi ha quasi ucciso, un paio di volte. Ho passato anni a chiedermi perché. Mio padre aveva per me un amore esagerato che non sapeva controllare. Beveva e usciva fuori di testa. Quando smise di abusare perché ormai ero una teen ager, diventò violento. Se uscivo con i ragazzi mi picchiava,
mi frustava».
Come ha superato quelle crudeltà?
«Scrivere mi ha molto aiutato e poi parlare e incontrare altre donne. Vorrei poter dire che il mio è
stato un caso raro ma non è così. In giro per il mondo di storie così ne ho sentite… La violenza è nella famiglia, sono i padri, fratelli, compagni, mariti. Importante per me è stato anche il femminismo, che ha dato una visione, una cultura alle donne. E lo fa ancora oggi. Vedo una bella energia in particolare nelle donne africane, indiane, asiatiche».
Ma nonostante questo la violenza non si ferma.
«Perché è la forma di intimidazione degli uomini per spingere noi donne indietro. Dobbiamo essere audaci: la porta l’abbiamo socchiusa, ora dobbiamo aprirla».
Il 14 febbraio lei dove ballerà?
«In Congo. Lì da sei anni abbiamo costruito un posto meraviglioso chiamato la “Città della gioia” dove vengono accolte le donne violate dalla guerra per riconquistarle alla vita. È un centro rivoluzionario per l’Africa. Il Congo è uno dei posti al mondo dove stanno accadendo le peggiori atrocità sulle donne, ma anche quello dove le donne stanno più provando a rialzarsi. E io voglio essere con loro».
da La Repubblica