attualità, politica italiana

Lite tra la Boccassini e Ingroia “Vergogna, non sei come Falcone” “E tu pensa prima di parlare”, di Piero Colaprico

Finché Antonio Ingroia non ha “sconfinato”, Ilda Boccassini lo ha ignorato. Ma quando il neo-candidato ha accostato il suo nome a quello di Giovanni Falcone, Ilda Boccassini ha deciso che non era più il caso di tacere: «Ma come ha potuto Antonio Ingroia paragonare la sua piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro — sottolinea Ilda Boccassini — esiste una distanza misurabile in milioni di anni luce. Si vergogni». Una frase dura, che arriva all’indomani di una delle dichiarazioni di Ingroia a margine delle polemiche per le candidature: «Anche Falcone — diceva Ingroia — ha subito le critiche più forti dai colleghi magistrati ».
In serata Ingroia partecipa a
Ballarò
e la sua non è una risposta altrettanto dura: «I miei maestri mi hanno insegnato a misurare le parole, Ilda Boccassini non ha letto le mie dichiarazioni. Quando sono entrato in politica, ho percepito una stizzita reazione, e questo ne è la riprova. Lo stesso era accaduto a Falcone, quando era andato al ministero. Prima di sparare a
zero bisogna informarsi, non mi sono certo paragonato a Falcone».
Liquidare questa giornata come se fosse una questione che ha a che fare con la politica, o con i personalismi dentro la magistratura, sarebbe sbagliato. Se Ilda Boccassini affida al Tg de
La7
la sua frase sui «milioni di anni luce» di differenza, e l’affida senza una ripresa in video o la registrazione della voce, è perché ritiene «la misura colma». Ingroia, rivendicando il diritto dei magistrati ad esprimere le opinioni, ha spesso partecipato in passato a programmi tv, a comizi, a incontri di partito, a conferenze, non evitando di rispondere sulle indagini in corso. Anche quando Ingroia parlava di Paolo Borsellino definendolo un suo maestro, Boccassini ha taciuto. Da ieri ha messo fine alle diplomazie.
A palazzo di giustizia, tra i detective, di lei si dice: «La dottoressa è una che parla con gli atti», intentendo gli atti giudiziari. Le cronache registrano negli ultimi trent’anni pochissime sue interviste; qualche incontro pubblico, specie con gli studenti; e anche i
dialoghi informali con pochissimi “estranei” sono sempre rimasti informali (o sono finiti). «Da quando è procuratore aggiunto all’antimafia — dice uno dei suoi investigatori — è cambiata la musica per i magistrati del dipartimento. Lei sta qui dalla mattina alla sera e nessuno osa fare più il “copia e incolla” con gli atti della polizia giudiziaria, se lei li becca…». Boccassini è dunque una che «non molla». Ha indagato nella Palermo delle stragi e, tornata a Milano, ha insieme con Giuseppe Pignatone a Reggio Calabria messo in una morsa le famiglie di ‘ndrangheta del Nord.
Ingroia ha estimatori e detrattori. Ma tra i fatti incontrovertibili
c’è che mentre le inchieste su quello che combina Cosa Nostra oggi a Palermo e in Italia sembrano languire, l’ex procuratore aggiunto palermitano si è dedicato soprattutto a riesaminare il “passato”: come la trattativa, circa vent’anni fa, tra Stato e mafia, che tante critiche ha suscitato per i titoli di reato ipotizzati, per le telefonate registrate tra il Quirinale e l’ex ministro Nicola Mancino, per l’utilizzo dei documenti falsificati da Ciancimino jr. In ogni caso, Ingroia tra Guatemala per l’Onu e Roma per la politica, ha mollato il “fronte” della procura antimafia. E quando uno con questo curriculum — rispettabile finché si vuole, ma diverso dal suo e da quello di Falcone — s’è messo nello stesso solco di un martire, e di «quel» martire che Cosa nostra ha eliminato per paura nei confronti di uno che non mollava la presa, Boccassini s’è indignata. E ha chiamato
La7,
come fece quando morì per infarto Loris D’Ambrosio, magistrato e collaboratore del presidente della Repubblica, e lei disse: «Era un galantuomo». Ed era anche lui citato nell’inchiesta firmata Ingroia.