Per me le stragi degli anni ‘92-’93 sono le stragi dell’anti Stato. Ora che sono finiti i lavori della commissione antimafia (con la relazione del presidente Pisanu, che pure ha provato a ricostruire la storia di quel passaggio) dobbiamo dire che l’obiettivo più ambizioso – quello di una ricostruzione storica, prima ancora che giudiziaria – non è stato centrato.
Che cosa è stata la stagione delle stragi di mafia in quel fatidico tornante della vita italiana dei primi anni Novanta? Proverò (l’ho fatto intervenendo in commissione) a mettere insieme una analisi di quello che è avvenuto, di quali piani e progetti si sono intrecciati in una vicenda segnata dalla trattativa tra Stato e mafia. La mia opinione è che probabilmente ci sono stati, come succede nella vita, piani paralleli, ma che uno è stato più grande dell’altro. Il piano più grande dell’altro è stato il modo attraverso il quale la mafia ha cercato – ed è riuscita – di contribuire a un disegno più grande di lei. Il disegno di una «stabilizzazione » politica di questo Paese.
Spesso si parla della mafia e del terrorismo come di agenti di destabilizzazione, invece sono elementi fondamentali di stabilizzazione nel senso che quando il Paese tende a cambiare, arriva qualche soggetto che vuole conservarlo esattamente così com’è.
Per dire questo parto da alcune affermazioni raccolte in Antimafia o fatte altrove di grande interesse. La prima è audizione in commissione del dottor Chelazzi: «I fatti di strage – diceva – sono sette (si riferisce a quelli del 1993) e hanno occupato 11 mesi». Facendo notare che per durata e dimensione si tratta di eventi mai avvenuti prima, Chelazzi ricorda che quelle stragi «erano da ricondurre all’intendimento incontenibile di Cosa nostra di indurre le istituzioni dello Stato a recedere, in qualche modo a rivedere determinate decisioni che si erano tradotte in atti normativi e che avevano contrassegnato le linee guida dell’azione di contrasto alle organizzazioni criminali». Ma poi aggiunge: «Tuttavia poi bisogna spiegare meglio, bisogna andare più in profondità per capire come questa finalità, o meglio questo obiettivo, ha prodotto che si colpissero determinati obiettivi e non altri; che si agisse non in Sicilia ma fuori della Sicilia… perché tra un fatto e un altro intercorrono in alcuni casi pochi giorni e in altri un periodo di tempo lungo. C’è da spiegare, infine, la ragione per la quale non è stato replicato un certo attentato che fallisce, quello allo stadio Olimpico».
Il procuratore Vigna il 30 maggio 2010 in una intervista afferma: «A distanza di tanti anni continuo a non credere che quello che è accaduto fuori della Sicilia sia frutto di una pensata di Cosa nostra (…). Cosa nostra non si è mossa da sola … il 1993 – aggiunge – è anche l’anno dello scandalo dei fondi neri del Sisde, del tentato golpe di Saxa Rubra, dell’esplosivo sul rapido Siracusa-Torino piazzato da un funzionario dei Servizi di Genova, di un ordigno inerte di via dei Sabini a Roma e del black-out a Palazzo Chigi». Insomma l’anno delle deviazioni interne allo Stato.
Ancora – e finisco le citazioni – il dottor Grasso, ascoltato sempre in commissione il 27 ottobre 2009: «Non c’è infatti dubbio che tali azioni – si riferisce agli omicidi di Falcone e Borsellino – siano state commesse da Cosa nostra, però rimane l’intuizione, il sospetto – chiamiamolo come vogliamo – che ci sia qualche entità esterna che abbia potuto agevolare o nell’ideazione o nell’istigazione le attività di Cosa nostra, o comunque dare un appoggio».
La mia opinione è che queste siano le stragi dell’anti-Stato. Le stragi del 1969 venivano chiamate (secondo me sbagliando) le stragi di Stato. Quelle come questa sono invece più correttamente definibili come le stragi dell’anti-Stato. Viene utilizzata la mafia e naturalmente non è un’utilizzazione cieca. Mettiamo insieme gli elementi: c’è la mafia, che viene colpita per la prima volta severamente. C’è un sistema politico che non è stato in grado di garantire in Cassazione la cancellazione delle sentenze di condanna (per la caduta della corrente andreottiana che paga con l’assassinio di Lima e poi con quello di Salvo). C’è la crisi del sistema politico: spariscono i partiti, alcuni dei quali erano stati, per alcune loro componenti, riferimento storico della mafia.
La mafia vuole il ripristino di un regime di convivenza durato fino agli anni Ottanta e chi muove la mafia vuole una stabilizzazione politica. Questa è la mia convinzione. Oggi sappiamo, infatti, che ci sono state cose che non sono spiegabili. Davvero pensiamo che potesse avere una logica lo sviluppo degli eventi di questi due anni dentro una semplice dinamica di trattativa volta a raggiungere il risultato di ottenere dieci revisioni in più o in meno dell’articolo 41-bis? Mi chiedo: perché loro uccidono Falcone in quelmodo? Perché Riina richiama il commando da Roma? Se volevano punire Falcone lo potevano uccidere per strada, invece no: organizzano qualcosa che nella storia della mafia non ha paragoni. L’attentato di Capaci era un gigantesco atto di terrorismo dimostrativo, che doveva intervenire in un momento strategico (crisi del sistema politico ed elezione del presidente della Repubblica) in qualche misura per condizionarne l’esito.
Potevano non sapere che un atto di questo genere avrebbe determinato un irrigidimento? Poi, meno di due mesi dopo, il 19 luglio del 1992, decidono di fare l’attentato in via D’Amelio. Possono pensare che lo Stato non reagisca?
È chiaro che c’è qualcosa di più e che abbiamo vissuto in quegli anni un’alterazione della dinamica naturale del corso politico della nostra storia. Sappiamo che sono intervenute varie mani. Abbiamo avuto depistaggi giganteschi e sistematici: solo 17 anni dopo abbiamo scoperto che sull’attentato a Borsellino era stata costruita una falsa verità, per iniziativa di pezzi dello Stato.
Vi è stata una trattativa? Sì che c’è stata una trattativa, ormai lo sappiamo, ma adesso, siccome ci sono, i soggetti
di questa trattativa dicano chi ha dato l’indicazione politica di farlo. Dicano chi ha condotto questa trattativa con un capo della mafia come era Ciancimino.
Dicano chi ha dato l’indicazione politica.
Non c’è logica nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio, se non quella che ho cercato di descrivere. E poi c’è tutto il resto: i suicidi, come quelli di Biondo e di Gioè, la sparizione dell’agenda di Borsellino. Quanto spariscono le agende in Sicilia! Ne sparì un’altra, quella sulla quale Ignazio Salvo aveva scritto il numero diretto del senatore Andreotti, il presidente del Consiglio: è sparita anche quella.
da L’Unità
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