Altro che quote rosa. Se parliamo di filantropia le donne la sanno lunghissima. Prima di una serie di analisi su un fenomeno che sta modificando la progettualità in ambito sociale e culturale. E che ha visto emergere prepotentemente la figura della “filantropa” come protagonista indiscussa dell’impegno a beneficio collettivo.
La crisi globale ha messo in discussione molte delle certezze, in termini di raccolta fondi e sviluppo di progetti con finalità culturali e sociali. L’opinione comune è ormai concorde su quello che di fatto ormai è diventato un leitmotiv: il settore pubblico ha perso la centralità che gli spettava, mentre all’orizzonte sono apparsi nuovi protagonisti, i filantropi.
Ma che cosa significa esattamente filantropia? Non soltanto elargire denaro, ma avere il coraggio di farsi personalmente carico di un progetto, non solo per quanto riguarda il suo finanziamento, ma soprattutto in un’ottica di vero spirito imprenditoriale, nella ricerca di modelli sostenibili per la soluzione dei problemi, nell’entusiasmo per una causa e nel convincimento che in una situazione come quella attuale i filantropi possano fornire impulsi preziosi per la risoluzione di problemi.
Il fenomeno è affascinante e complesso e nell’ultimo decennio è in crescita il numero delle donne che mostrano uno spiccato interesse e una notevole sensibilità nello sviluppo di progetti sociali e culturali innovativi. Quelli che inizialmente si proponevano come episodi e best practices hanno portato a un effetto a cascata, a una sensibilizzazione progressiva e a un numero sempre più importante e illustre di mecenati desiderose di avere un ruolo determinante e positivo nella società. Negli ultimi anni, infatti, sono sorte numerose nuove fondazioni istituite da donne. La loro provenienza è estremamente variabile: imprenditrici, scrittrici, giudici, casalinghe, tutte unite dalla decisa volontà di essere una forza propulsiva dei grandi mutamenti sociali in atto.
In occasione di una conferenza tenutasi l’anno scorso a Zurigo, l’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer ha dichiarato che “la profonda crisi in corso rappresenta un’opportunità per tutti coloro che siano in grado di ‘cavalcare l’onda del cambiamento’”. Proprio per questo la filantropia femminile non è soltanto pienamente cosciente della crisi ma dispone, in un momento come quello attuale, di nuove possibilità per influire sul tessuto sociale attraverso trasformazioni strutturali. Negli Stati Uniti la filantropia femminile gode di un vasto riconoscimento, tanto che esistono istituti universitari appositamente dedicati solo a questa materia. Il Women’s Philanthropy Institute dell’Università dell’Indiana, ad esempio, ha conquistato fama e reputazione internazionale grazie a studi, pubblicazioni e programmi all’avanguardia. In Germania, nel 2001, nove filantrope si sono unite per fondare filia. die frauenstiftung, adottando il modello progressivo della fondazione collettiva, che incentiva la partecipazione.
Nel mese di aprile 2012 risultavano già coinvolte 58 fondatrici e numerose donatrici pronte a sostenere progetti femminili in tutto il mondo. Fin dalla sua istituzione, filia è anche membro dell’INWF – International Network of Womens Funds. La commissione e gli uffici della fondazione lavorano con entusiasmo e con grande energia per trasformare le condizioni sociali delle donne e delle ragazze di tutto il mondo. “Change, not charity: trasformate il vostro denaro in un mezzo per rafforzare le donne e cambiare il mondo in positivo, nell’interesse delle donne e delle ragazze”: questo è il motto della fondazione.
E in Italia? Anch’essa ha una forza propulsiva non indifferente in tal senso. E i casi non mancano. Per citarne due, Diana Bracco, con l’impegno di Fondazione Bracco che ha assunto un ruolo da protagonista nel sostegno della ricerca e dello sviluppo culturale e sociale, e Maria Vittoria Rava, con il lavoro che, per tacere di tutto il resto, ha svolto nell’Emilia terremotata. Sarebbe dunque sbagliato pensare che queste mecenati abbiano a cuore solo temi femminili. Spesso, come dimostrano questi esempi, nutrono un forte interesse per tutte le cosiddette tematiche difficili (integrazione, disoccupazione, dialogo multiculturale). Le donne rappresentano così una forza motrice significativa di rinnovamento, che investe ampi settori della società e si rispecchia anche nell’attività delle fondazioni o dei soggetti che promuovono.
Se parliamo di arte contemporanea, solo in Italia possiamo vantare esempi illustri di mecenati che ricoprono un ruolo fondamentale nella promozione dell’arte: Nicoletta Fiorucci con il suo Fiorucci Art Trust, Giovanna Furlanetto con la Fondazione Furla, Miuccia Prada con la Fondazione Prada, Rebecca Russo con il suo Centro Videoinsight, Patrizia Sandretto con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Beatrice Trussardi con la Fondazione Trussardi, Anna Zegna con il sogno di una moda sostenibile… L’elenco sarebbe lunghissimo, infinito, se non ci limitassimo in queste poche righe all’Italia e se guardassimo, inoltre, oltre i confini europei o statunitensi. A volte le donne sono chiamate ad armarsi di enorme coraggio per diventare creative e realizzare cambiamenti. Ma a quel punto il loro impegno diventa così deciso che non si rendono neppure più conto di quanto coraggio stiano dimostrando.
Anche gli esempi citati, del resto, confermano soprattutto un aspetto: le donne che sono riuscite a prendere in mano la propria vita e le proprie finanze diventano coraggiose già soltanto in virtù di questa acquisizione. E un Paese ha bisogno di donne coraggiose, anche e soprattutto quando si tratta di sostenere cause di carattere socio-politico.
Da artribune.com